Si può diventare europei? L’Unione Europea non è uno Stato vero e proprio, non ha una Costituzione in cui riconoscersi, è composta da diversi Stati e ha un complicato modello di governance. Tuttavia, l’Europa ha una storia – anzi è la propria storia – non lineare, non scontata, in larga parte composta da contrasti e guerre, ma unitaria e che negli ultimi sessanta anni si è avvicinata molto a qualcosa di simile alla pace.

È una domanda alla quale è difficile rispondere in modo definitivo e univoco, poiché l’appartenenza a qualcosa di così indefinito come l’Europa non è facilmente articolabile, andando a toccare la nostra identità culturale, politica e sociale più profonda e inindagabile.

Bernard Guetta è un giornalista di fama, noto anche in Italia per collaborazioni su importanti quotidiani e riviste, è esperto di geopolitica, ed è stato corrispondente dall’Unione Sovietica durante gli anni della Guerra Fredda. Il giornalista ricorda così la propria repentina conversione all’europeismo: «È a Erevan (in Armenia n.d.r.), all’indomani della caduta del Muro, che sono diventato l’europeo che sono ancora. Subito e prima di ogni altra cosa europeo». Nonostante il progetto Europa fosse in atto da tempo, pur fra mille difficoltà, per Guetta è stato il muro la vera soglia fisica, ma soprattutto politica e morale, che ha separato l’Europa dalla propria unità: come un ostacolo invalicabile che impediva il sentimento di partecipazione ad un continente in corso di pacificazione dopo una storia di rivalità insanabili.

Nel suo libro Intima convinzione. Come sono diventato europeo (Add editore, Torino 2017), una storia continentale diventa una storia personale, ricca di tortuosità, frammenti di ricordi, speranze ed illusioni. Ma la narrazione racconta anche l’insufficienza di un’Europa, prigioniera di sé stessa, che non sa ancora perseguire le straordinarie potenzialità economiche, politiche e sociali che cova nel proprio spirito.

Testimonianze di eventi cruciali, donne sole che aspirano alla libertà, tavolini nelle piazze dei centri storici, conversazioni con intellettuali e letterati tormentati eppure pieni di saggezza, redazioni furibonde a Le Monde, diplomatici e autorità: l’orizzonte esperienziale di Guetta è rigoglioso e riletto in una moraleggiante pedagogia europeista.

In particolare è l’affettuoso ricordo della madre a trasformarsi per l’autore nella matrice originaria della propria conversione amorosa: una donna francese di origine ebraiche che dopo la persecuzione nazista non avrà difficoltà ad affidare il figlio alle cure di una bambinaia tedesca, nella tragica speranza di osservare, con devozione, un sentimento di umanità e compassione verso l’altro. Un esempio morale di convivenza e rispetto che funge da monogramma interiore della vita europea.

Leggere oggi queste memorie, dopo la sconfitta di alcuni pericolosi nazionalismi che punteggiano la politica europea, dona slancio e speranza alla costruzione di una casa comune europea. Tuttavia, le convinzioni di Guetta, oltre a quella europeista, sono tante e alcune appaiono un po’ sfocate.

Prima fra tutte è l’attaccamento spassionato alla trita retorica illiberale e antiausterità che infiamma i cuori e le menti di molti. Questa porta Guetta ad avere sentimenti oscillanti nei confronti del liberalismo: motore politico ed economico dell’integrazione europea (che ha contribuito alla caduta del muro), ma anche un pericoloso strumento di liberazione dall’invadenza statale. A ciò si aggiunge la litania della detronizzazione di John M. Keynes in favore della riabilitazione di Adam Smith: un filosofo – bisogna dirlo – che va molto di moda denigrare. Tanto che l’assenza di lettori de La ricchezza delle nazioni e della Teoria dei sentimenti morali sta conducendo ad una delle più clamorose incomprensioni filosofiche degli ultimi anni. Inoltre, Ronald Reagan e Margareth Thatcher sarebbero responsabili, secondo Guetta, di aver portato all’abbattimento delle frontiere commerciali (fra cui, aggiungiamo ancora, la caduta del muro) mettendo «le industrie europee in contatto con una concorrenza sleale e devastante»: un’argomentazione degna del protezionismo più grossolano e smentita alla fine del saggio, dove l’autore elenca gli straordinari successi effettivi e potenziali dell’Europa unita, grazie alle enormi potenzialità intellettuali, sociali ed industriali che le permettono di competere con successo a livello globale.

Un capitolo centrale è dedicato ad una lunga disamina del mondo islamico e delle trasformazioni che questo sta affrontando. Vittime per secoli dell’umiliazione occidentale (dominazione Ottomana – tipico prodotto occidentale –, colonizzazione, Guerra Fredda), ciò cui si assiste oggi è il tentativo del mondo arabo e di quello islamico di salire agli onori della Storia. Le primavere arabe, coraggiosamente paragonate ai movimenti del ’68 e ai moti del 1848, non sono altro che il tentativo fallito di instaurare modelli di governo democratico di stampo europeo. Interpretazioni molto ottimistiche quelle di Guetta, che arriva al punto di neutralizzare il fenomeno del terrorismo islamico: ultima agonizzante coda, forse ancora lunga e gravosa (ma quanto!), di un settore impazzito dell’Islam, che ha già perso la propria battaglia. È un ragionamento che può apparire rassicurante, ma che, considerandole già vinte, razionalizza la morte e la violenza terroristica che funestano il nostro continente. L’Europa e la democrazia avranno anche moralmente vinto, ma non si possono non prendere sul serio avvenimenti tanto gravi destinandoli preventivamente alla «discarica della storia».

Il capitolo conclusivo assume la forma di una lunga perorazione sulle sorti (piene di insidie) che attendono l’Europa: maggiore unità, più slancio e fiducia nei confronti delle proprie possibilità di costruire orizzonti di benessere, conoscenza e libertà. Il resto è cronaca dei nostri giorni: le accuse a Bruxelles di voler spodestare le competenze statali, la mediocrità della politica europea e di quella di molti dei suoi Stati membri, la disaffezione dei cittadini che percepiscono l’Europa come un monolite lontano ed inutile, seppure sempre presente. Ma non è su questi elementi che si gioca la sopravvivenza dell’Europa, bensì sulla forza della democrazia e sull’entusiasmo che essa può infondere nei suoi cittadini. Guetta è certo che gli europei «non sono così pazzi da volersi tirare la zappa sui piedi da soli e che – pur delusi, irritati e in collera – in fondo non chiedono altro che di essere fermati prima di commettere un guaio. Questo è il problema».

E se questo è un aspetto del problema, bisogna però ricordarne anche il lato nascosto: perché credere sempre che qualcuno debba intervenire per indicarci la retta via?

«Così li vedo, per strada e sullo schermo, nei giornali e nei libri, in cattedra e sul pulpito – più numerosi che mai in ogni nuovo mezzo di comunicazione –, instancabilmente pronti a salvarmi già quasi all’opera. Del mio bisogno di essere salvato non li vedo affatto curarsi». Così, amaramente, constatava Hans Blumenberg in L’ansia si specchia sul fondo.

Eppure, l’alternativa all’Europa unita sarebbero la disgregazione politica e sociale e la dipendenza totale dal «capitale internazionalizzato [che] lascia le potenze pubbliche nazionali sguarnite», seguite dal ritorno di quei nazionalismi, di cui è troppo facile perdere la memoria, che per secoli hanno devastato il continente: la fine prematura di un sogno ancora da completare.

È quindi una questione esistenziale, si deve essere europeisti. Ma possiamo stare tranquilli, Bernard Guetta, continuerà ad esserlo, anche per noi.


113-guetta-WEB_v02Bernard Guetta, Intima convinzione. Come sono diventato europeo, Add editore, Torino 2017, 173pp., 16€