Anni fa mi ritrovavo sulle spiagge di Omaha, teatro dello sbarco degli americani in Francia, l'episodio che segnò il corso della seconda guerra mondiale. Ci ero arrivato in una giornata piovosa. La spiaggia era livida e si congiungeva a un mare grigio-verde, come un sudario di cui non si vedevano i confini. In quell'atmosfera sospesa tentavo di immaginare l'episodio bellico, e mi vennero in mente le immagini di Salvate il soldato Ryan di Spielberg. Le pallottole che sibilano e migliaia di soldati dati in pasto alle bocche di fuoco tedesche: uno scenario da giorno del giudizio. La sequenza dello sbarco in quel film la ricordo come una delle esperienze più coinvolgenti del cinema di guerra contemporaneo, al pari di un altro lungometraggio uscito nello stesso anno: La sottile linea rossa di Terrence Malick. Proprio quest'ultimo capolavoro è inserito da Christopher Nolan tra le pellicole che più hanno segnato il suo immaginario e forse anche la sua ultima fatica: Dunkirk.
Il film racconta un episodio poco noto della seconda guerra mondiale, avvenuto nel 1940. La Germania è una macchina di morte invincibile che si appresta a completare la conquista della Francia e punta minacciosa verso la Gran Bretagna. L'esercito britannico, giunto in soccorso dei francesi, si ritrova anch'esso impotente contro la forza tedesca e decide di richiamare le truppe in patria. Ma sulle spiagge di Dunkerque il nemico li tiene sotto assedio. Migliaia di soldati si ritrovano intrappolati in una striscia di terra tra la città ormai in mano ai tedeschi e l'oceano, da cui si attendono insperati soccorsi. Nel frattempo la Luftwaffe, la micidiale flotta aerea nazista, segna traiettorie di morte sopra la spiaggia, falcidiando i soldati in attesa dei rinforzi. Il film di Nolan racconta dunque di un tentativo di sopravvivere a una disfatta che sembra imminente, conferendo all'opera più i connotati di un survival che di un film di eroismo. Ma è proprio in questo cambio di prospettiva che risiede il grande merito di Nolan: rimettere in discussione il concetto di eroismo, riportandolo a una dimensione umana. A un'immagine hollywoodiana dell'eroe come colui che supera i propri limiti (fisici e spirituali) per salvare l'intera umanità, il regista britannico contrappone l'eroismo di una collettività, nello sforzo di raggiungere l'unico risultato possibile: sopravvivere e mantenere viva la speranza.
"A un'immagine hollywoodiana dell'eroe come colui che supera i propri limiti (fisici e spirituali) per salvare l'intera umanità, il regista britannico contrappone l'eroismo di una collettività, nello sforzo di raggiungere l'unico risultato possibile: sopravvivere e mantenere viva la speranza."
Lo spazio in cui avviene l'azione potrebbe sembrare un enorme teatro con tre palchi differenti: la terra, il mare e il cielo. Un montaggio chirurgico cuce le scene dei tre differenti atti attraverso l'elemento più caro a Nolan: il tempo. Da Memento fino a Interstellar, il regista britannico ci ha abituati a racconti dalle elaborate temporalità narrative. Ma mai come in questo caso la dimensione temporale acquisisce un'immediata concretezza. Il tempo infatti scandisce le distanze che lo spitfire inglese deve percorrere per raggiungere la spiaggia, ma anche il consumarsi del carburante - insufficiente per completare il tragitto - o l'arrivo della successiva alta marea. Come già accaduto in Interstellar, anche in Dunkirk la colonna sonora firmata dal fedele Hans Zimmer contiene il ticchettio di un orologio e gioca su un'illusione sonora chiamata "shepard tone", che trasmette la sensazione di un crescendo senza fine. Questo effetto alimenta lo stato di tensione nello spettatore, immergendolo ancora più intensamente nel cuore dell'azione. Ciò che più interessa Nolan infatti non è la restituzione fedele di un episodio storico, ma la sua carica emozionale. L'operazione a cui assistiamo somiglia è un recupero degli elementi fondativi del cinema, nato essenzialmente per stupire, intrattenere e commuovere. I dialoghi sono ridotti all'osso, resi quasi superflui di fronte a un'immagine pienamente eloquente.
"I dialoghi sono ridotti all'osso, resi quasi superflui da un'immagine pienamente eloquente."
La guerra di Nolan è una guerra astorica, rarefatta e asciugata nei suoi elementi essenziali. La spiaggia assume i connotati tragici di un purgatorio pieno di anime tremanti, e il nemico tedesco - senza un volto né un nome - cala sul molo come una morte bergmaniana: distaccata e calcolatrice. I personaggi di questa storia non sono introdotti da aneddoti sulle loro vite, non li conosciamo. Tutto ciò che fanno è agire e solo attraverso le loro azioni si avvia il meccanismo dell'immedesimazione. C'è un pilota della Royal AirForce (Tom Hardy) che cerca di raggiungere Dunkerque per proteggere i soldati dal fuoco nemico, un comandante sul molo (Kenneth Branagh) che gestisce l'evacuazione, tre soldati semplici che tentano di fuggire dagli scontri e infine Mr. Dawson e figlio, accompagnati dall'amico George, sulla loro barca privata in direzione del conflitto, decisi a salvare quanti più soldati possibile. Tre linee narrative e tre piani temporali racchiusi in uno spazio apparentemente sconfinato ma in realtà riducibile a una scatola, una lanterna magica che attira lo spettatore nel pieno dell’azione. Il risultato è un’esperienza immersiva che supera in efficacia le più evolute tecnologie digitali - rimanendo paradossalmente un’opera prodotta analogicamente - attraverso l’uso di pellicole in 70 mm, centinaia di comparse e ovviamente un nutrito budget. Lo scopo dichiarato di Nolan era infatti ricreare l’effetto della realtà virtuale senza l’uso di alcun supporto, come ha dichiarato qualche mese fa al Telegraph: "we’re going to put the audience into the cockpit of a Spitfire and have them dogfight the Messerschmitts. We’re going to put them on the beach, feeling the sand getting everywhere, confronting the waves. We’re going to put them on small civilian boats bouncing around on the waves on this huge journey heading into a terrifying war zone. It’s virtual reality without the headset".
"Tre linee narrative e tre piani temporali racchiusi in uno spazio apparentemente sconfinato ma in realtà riducibile a una scatola tridimensionale, una lanterna magica che attira lo spettatore nel pieno dell’azione."
Dunkirk rappresenta quindi un passo in avanti nella concezione ingegneristica del cinema che Nolan abbraccia fin dai tempi del suo primo Batman. Ma questa volta Nolan non compie l’errore di concentrarsi esclusivamente sulla creazione di un arguto dispositivo narrativo – con tanto di faticose istruzioni per lo spettatore disseminate lungo la storia – ma realizza un film dall’andamento sinfonico: cinema allo stato puro, fatto di movimento e suono. I duelli aerei avrebbero fatto la gioia di Howard Hughes, regista nel 1930 del mirabolante Hell’s angels, e l’ambizione di raggiungere una certa “totalità” dell’opera filmica ricorda lo stile debordante ed estremamente emozionante di Abel Gance, che nel suo Napoleone del ’25 sperimentava arditi movimenti di macchina – uno su tutti la cinepresa che si “trasforma” in una palla di neve lanciata in aria – per portare lo spettatore nel cuore della rappresentazione.
Difficile trovare un film in questo 2017 che per ambizione, perfezione tecnica e potenza visiva possa anche solo avvicinarsi al risultato di Dunkirk, il film che consacra Nolan come cineasta più influente del ventunesimo secolo.