A partire dal titolo della sua ultima raccolta in versi – Sonnologie – Lidia Riviello espone un accostamento semantico che sfrigola, cricchia. Spazio onirico e logico si intersecano in un’atmosfera evanescente e come percorsa da una corrente elettrica, che illumina i frammenti sparsi e improvvisi di un quotidiano vissuto dentro una dimensione collettiva di coercizione, dettata da un «potere deviante»: anche dentro il sonno.
Questo senso di imposizione continua e opprimente contamina l’intero libro, che lascia prevalere la dizione epigrammatica e lo scarto cognitivo, benché opaco e in costante verifica. I testi sono momenti di un discorso ampio e ricorsivo, che si presenta però come sfilacciato e nebuloso, ritornando di continuo su se stesso con esplicite riprese che rappresentano i veri gangli nervosi di quest’opera. Assume così massimo valore la distribuzione del testo sulla pagina: la disposizione dei versi a scalare e l’uso peculiare degli spazi bianchi hanno una propria valenza semantica, innescano una tensione continua tra la dimensione di unicum irriducibile allo smembramento e la carica dispersiva di ciascun “quadro”, e dei versi stessi che lo compongono.
Sul libro grava incessantemente un peso che toglie il fiato: come la luce fredda del neon, mostra l’inevitabilità di una partecipazione anche inconsapevole – così è nel sonno – in un universo percorso da sinistre e ambigue correnti collettive e tecnologiche. Che coinvolgono tutti, forzatamente, in uno spazio di «mercanzie oniriche» dove anche l’immaginario più recondito è graffiato da una colonizzazione imperante e pervasiva.
una volta si sognava senza produrre
l’istituto chiede di amministrare mitologie utili per questo sistema.
(p. 21)
La logica della produzione minaccia lo spazio onirico, sfumando i contorni anche sopra la «superficie di un conflitto» e sciogliendo progressivamente la matrice dell’identità. La tecnologia è premessa – e metafora – di questo scarto prospettico che incrina la relazione ancora irrisolta tra volontà e macchina, declinazione inevitabile della galassia del postumano. Nella parte centrale del libro si staglia la figura di Sebastian Thrun, computer scientist che, tra le varie cose, ha contribuito a sviluppare Google Street View e lavorato al programma dell’auto senza conducente di Big G. Quelli che prima venivano presentati come «utenti» diventano a tutti gli effetti suoi «clienti», «iperattivi» e prossimi a un’esistenza che appare come un disorientamento allucinato, irriducibilmente concreto ma non del tutto avvertito.
driveless
farà parte di un mondo che non potremo più trascrivere
guardando la scena per intero si disimpara a lungo,
l’intervallo sulle mani,
la mascella della cavità non ancora sepolta da vegetazione.
(p. 29)
Anche se «è presto per commissionare ai posteri una qualsiasi specie di | nostalgia» (p . 27), l’atmosfera oscuramente profetica si addensa su una sfera umana che è – desolatamente – indeterminata. Si parla di «utenti», «clienti», «persone», «società delle persone»: sembra che l’inquadratura sia programmaticamente fuori fuoco, ma a ben vedere è la massa contemplata a essere informe, come sospesa tra veglia e sonno. Ma forse la deriva non è futuristica, e questo scenario è già il nostro.
Lidia Riviello, Sonnologie, Zona, Lavagna, 2016, pp. 70, € 10.