Darren Aronofsky l’ha infine rifatto. Dopo alcuni film tutto sommato quasi convenzionali, il regista newyorkese si rituffa in un film assurdo e stravagante, ben lontano dai gusti del pubblico generalista (come erano Pi greco o L’albero della vita), un’opera incredibilmente sopra le righe che non assomiglia a niente altro: Madre!
L’incipit è immediatamente folgorante: il film si apre sul primo piano del volto di una donna avvolta dalle fiamme, la pelle piagata e i capelli in cenere. Il suo volto è tuttavia calmo, e l’espressione e gli occhi, colmi di lacrime, più che dolore straziante sembrano esprimere tristezza e rassegnazione.
Al termine dell’enigmatica inquadratura, vediamo il personaggio interpretato da Javier Bardem maneggiare uno strano cristallo all’interno di un ambiente in rovina. Dopo averlo posizionato su un piedistallo, come per magia l’ambiente pare rigenerarsi, e dove c’era solo cenere e devastazione ecco risorgere muri imbiancati e mobili antichi. È subito chiaro che il cristallo ha la stessa funzione della mano-chiave di Holy Motors o della scatola blu di Mulholland Drive: una chiave per accedere a un altro mondo, o a un altro tempo.
Dopo questo misterioso prologo, comincia il film vero e proprio. Una coppia vive in una vecchia casa in mezzo al verde: lui è un poeta in crisi in cerca di ispirazione, lei passa le giornate al restauro della casa, riparando, intonacando e dipingendo con le sue stesse mani, dimostrando totale amore e dedizione nel proprio lavoro. L’idillio viene interrotto dall’arrivo di un ospite inaspettato, la cui intrusione, sommata a quella di numerosi ulteriori arrivi, getta nello scompiglio la vita della coppia in un crescendo sempre più grottesco, estremo e parossistico. Se storia e ambientazione potrebbero sembrare all’inizio realistiche, da dramma borghese, tutto ha invece un sapore di favola e di sogno, ed è chiaro che c’è molto altro che sta accadendo parallelamente (e sotterraneamente) allo svolgimento più superficiale, al di là delle frustrazioni di una benestante coppia borghese messe a nudo da un elemento esterno e imprevisto. A un primo livello parrebbe infatti che la vicenda possa essere la raffigurazione di una storia d’amore messa in crisi dalle differenti prospettive dei due amanti. Da una parte abbiamo la figura dell’amante mediocre e ingenua che non desidera altro che avere l’amato tutto per sé (Lawrence, il cui unico scopo è quello di mettere a posto la casa e avere un figlio), mentre dall’altra abbiamo l’elemento della coppia che “trascende” la relazione, desiderando qualcosa di più (Bardem, votato all’arte e favorevole aprire la coppia al mondo esterno): si tratta in fondo dello stesso tema attorno al quale ruotano, in modo molto diverso, due grandi film come Vita di Adele o Her. Ma Aronofky non è regista da cinema borghese, e sulla casa di campagna che pare sorgere in mezzo al nulla si addensano simbologie.
In Madre! nulla è infatti come sembra, e tutto è allegoria, fino all’ossessione. Persino i personaggi non hanno nomi propri, ma sono indicati da appellativi archetipici: l’uomo, la donna, l’araldo, lo zelota, il folle, il penitente, e così via. Dopotutto il carattere simbolico del film era chiaro sin dalle splendide locandine uscite durante la campagna promozionale del film. Nella prima possiamo vediamo una virginale Jennifer Lawrence che, in una sorta di giardino incantato, offre all’osservatore il proprio cuore appena strappato dal petto; la seconda invece ritrae Javier Bardem avvolto dalle fiamme e assiso su una sedia in disfacimento, con in mano una sorta di globo celeste al cui interno giace una figura umana in posizione fetale.
Con lo svolgimento del film, la parabola disegnata da Aronofsky inizia a svelarsi, e si dimostra essere la più antica del mondo: un Creatore (il poeta Bardem, unico in assoluto nei titoli di coda ad aver diritto all’iniziale maiuscola: “Him”) decide di introdurre un uomo nel proprio mondo idilliaco, fino ad allora scevro da dolore e sofferenza. All’uomo verrà poi affiancata una donna, ed entrambi, dopo aver commesso un atto di hybris, verranno banditi. A loro seguiranno due fratelli, di cui uno si rivelerà essere un assassino… Insomma, la storia è nota. Ma Aronofsky non si accontenta, e con una mancanza di senso del limite che lascia stupefatti (ma solo chi non conosce il lavoro precedente del regista, a dire il vero), mischia a questa rilettura della Genesi una suggestione ecologista, in cui Madre Natura offre cristologicamente se stessa al proprio creatore e agli uomini, pur andando incontro a un calvario di proporzioni inaudite. Jennifer Lawrence, straordinaria nei panni della madre di noi tutti volta al martirio, offre finalmente un’eccellente interpretazione in questa via crucis fisica e psicologica, in cui viene costantemente umiliata, picchiata e desacrata. Seguita costantemente dalla macchina da presa, è la protagonista indiscussa del film e non esiste sequenza che non sia filtrata dal suo punto di vista, ad esclusione del prologo, in cui il suo personaggio, per così dire, non è ancora “nato”.
Al di là delle metafore grossolane e della commistione confusa di Bibbia, ecologismo new age e simbolismo esoterico – un accendino, che si può intravedere nelle due locandine, e che avrà una parte fondamentale nel film, riporta sul dorso il Wendehorn, simbolo runico che rappresenta il contrasto, vita e morte, amore e odio, ecc – resta un film folle di grande intrattenimento, il cui regista riesce a creare un crescendo credibilissimo di angoscia e assurdo, simile a un film di Roman Polanski o a un romanzo di Tiziano Sclavi. Le simbologie pacchiane, i significati filosofici e le domande esistenziali che Aronofsky vorrebbe sollevare lasciano il tempo che trovano; tuttavia, rimane il gusto puramente edonistico da parte dello spettatore di indagare il film in ogni suo anfratto, scoprendone i riferimenti più arditi e trovare una soluzione (sempre che esista) agli enigmi più oscuri: cosa simboleggia la sorta di droga che assume la madre nei momenti di crisi? A chi appartiene quella sorta di apparato circolatorio che ella pare percepire al di là dei muri? Cos’è l’essere-feto che vive nelle tubature?
È evidente che Aronofsky si creda una sorta di regista filosofo, più simile agli autori europei che ai registi suoi connazionali, sempre più meri artigiani ed esecutori dei colossi di Hollywood. La sua carriera finora ha dimostrato che purtroppo i suoi film non hanno la profondità che egli immagina e che anzi spesso e volentieri si lasciano andare a eccessi talmente grotteschi che sfociano nel ridicolo involontario, caratteristica da cui Madre! non è certo esente. Tuttavia, è evidente la sincerità e la totale devozione che infonde nella propria opera, e questo basta a renderlo un autore quantomeno degno di rispetto. Merce rara, in un’epoca in cui la figura del regista, almeno nell’atrofizzato mercato americano, sempre meno può permettersi di ritagliarsi il suo spazio e infondere uno stile personale al proprio film, come dimostrano gli ultimi licenziamenti da parte della Lucasfilm, o i film prodotti con lo stampino dai Marvel Studios.