Misteri dei Ministeri di Augusto Frassineti (1911-1985) rappresenta uno dei maggiori esempi secondonovecenteschi di letteratura satirica italiana. Di origine faentina, Frassineti si laurea in filosofia a Bologna e, come molti intellettuali della sua generazione, frequenta con passione le lezioni di storia dell’arte di Roberto Longhi. La seconda guerra mondiale, l’esperienza della prigionia nordafricana e una grave infiltrazione polmonare dovuta alle condizioni di estrema privazione esperite in quel periodo sono tra i nuclei esperienziali del libro, cui va aggiunta un’ulteriore umiliazione subita, stavolta in patria, nell’immediato dopoguerra: inizialmente nominato direttore del Servizio Reduci dal ministro Lussu, a causa di giochi di palazzo Frassineti viene trasferito in modo abusivo in un altro Ministero e declassato all’infimo rango di avventizio, con conseguenze lavorative e personali facili da immaginare. A partire dagli anni cinquanta si avvicina al vivace fermento culturale sviluppatosi intorno all’eccentrica rivista satirica «Il Caffè», diretta da Giambattista Vicari, che gli permette di venire in contatto con intellettuali e scrittori del rango di Calvino, Manganelli, Celati, Flaiano e Malerba. L’uscita della prima edizione di Misteri dei Ministeri nel 1952 per i tipi di Guanda costituisce una prima tappa di provvisoria stabilità nella laboriosa gestazione dell’opera, che si cristallizzerà definitivamente con l’approdo tra i «Supercoralli» di Einaudi nel 1973, dopo oltre un ventennio di revisioni e modifiche. Nella nota d’accompagnamento all’edizione einaudiana, sarà lo stesso Italo Calvino ad esprimersi in questi termini a proposito dell’oggetto del trattato di Frassineti, il quale a suo avviso «prende di petto il nodo più doloroso che impastoia la vita italiana, il male più incancrenito da cui nessun cambiamento di regime o d’istituti è riuscito a liberarci: l’assurdità burocratica».
Il libro si presenta come una silloge di riflessioni e documenti sulla «ministerialità», frutto delle ricerche condotte dal misterioso autore D. K. Cinquantacinque, materiali di cui Frassineti si presenta dapprima come custode e successivamente come redattore e prestanome delegato alla loro pubblica diffusione. L’espediente dell’apocrifo giustifica la complessa struttura dell’opera, partita in tre libri che alternano l’esposizione delle conclusioni in materia ad una pletora di appunti e frammenti di varia provenienza a supporto di tali tesi.
La ministerialità è una forza misteriosa, di cui l’amministrazione pubblica, ed anche quella privata, quando il suo raggio giurisdizionale ecceda il “tiro di schioppo”, è la fenomenologia.
Essa si propaga nel mondo, irradiando e contaminando tutto ciò con cui entra in contatto: esseri umani, che smettono le vesti di persone per trasformarsi in «ministeriali», luoghi e oggetti inanimati, tanto caricati di energia burocratica da costituirne a loro una fonte vicaria, la cosiddetta «Soprastruttura M». Inutile indagare le scaturigini di questa forza, ancor più inutile ribellarvisi tentando di fermarla, anzi di riformarla. Chi ci prova si trova sempre più avviluppato tra le sue spire: dopotutto anche la Riforma della Ministerialità esige un ministero apposito.
Misteri dei Ministeri analizza le manifestazioni di questo male, addentrandosi nella selva paludosa della burocrazia italiana con ostinazione scientifica, avvalendosi dell’apporto di diverse discipline per tentare di opporvisi almeno in parte. Suppliche e lamenti, ordini e ingiunzioni, dispute e dotte dissertazioni, questo e altro si può udire porgendo l’orecchio al margine della selva, voci articolate con sapienza dal ventrioloquio di Frassineti, che mette a punto uno stile che è al contempo mìmesi e antidoto del «burocratese»[1], quella che sempre Calvino ha definito come l’«antilingua» vuota e altisonante utilizzata da redazioni e amministrazioni.
Una delle intuizioni più profonde del libro è l’aver colto la capacità delle istituzioni di sovrapporre un proprio tempo al tempo biologico, deviandone il flusso all’interno delle proprie categorie. Fra i corridoi del ministero, sarà dunque frequente imbattersi in personaggi dai nomi memorabili come l’ammiraglio Giovecca, funzionario defunto sul posto di lavoro, eppure brillantemente in grado, a detta dei colleghi, di ricevere di persona una commissione di imprenditori e di fornire loro assicurazioni particolarmente efficaci in merito al loro caso. Lo status ministeriale si lega all’anima dell’individuo, vincolandola e impedendole di migrare, prolungandone ad infinitum la permanenza in questo cosmo ordinato in sfere e gradi.
La ministerialità inizia ora ad assumere i tratti di un culto inquietante: ha un linguaggio per iniziati, commerci con l’aldilà, schiere di fedeli devoti. Tali sono infatti i numerosi supplicanti, ben rappresentati dal capitano a riposo Nicola Colasanti, che stipano i guai di una vita intera tra le righe di un esposto, sperando in un’assoluzione che sappiamo non poter giungere. Si è detto che la ministerialità ha del religioso, ma forse è più corretto sostenere che è la religione ad avere del ministeriale. Da questa prospettiva anche la Genesi sembra nient’altro che una bega di burocrati, in cui Adamo risulta un citrullo provocato da un Ministro Superiore. Negli anfratti del ministero, qualcuno si dichiara addirittura favorevole all’introduzione del latino come lingua ufficiale delle istituzioni.
L’assurdità claustrofobica dell’inferno esplorato da Frassineti è capace di produrre illusioni speculari dai connotati paradisiaci. Quasi commovente in questo senso è la modest proposal di riforma burocratica avanzata dall’ autore, che consisterebbe in un periodo di gestione all’aperto dell’apparato amministrativo. La creazione della figura del «funzionario in natura», chimera meditabonda e ospitale, disposta alla risoluzione dei problemi delle persone, diventa così un’utopia ossigenante, ma che subdola rivela come l’alienazione da ministero sia in noi così radicata da farci apparire un miraggio ciò che dovrebbe essere il primo proposito dell’istituzione: il servizio ai cittadini.
Se, come suggeriva Giorgio Manganelli, il gesto satirico deve perdere il proprio oggetto per diventare letteratura, bisognerà astenersi dal giudicare Misteri dei Ministeri un libro in qualche senso “attuale”, o peggio, “ancora attuale”, anche se, a tutt’oggi, lo stato della burocrazia italiana inviterebbe a pensare il contrario. Che cosa si intenda in questo caso per “perdita dell’oggetto” è osservabile in uno dei tanti momenti del libro in cui Frassineti dimostra una perizia chirurgica nel mettere a nudo alcuni meccanismi deteriori della macchina ministeriale, in questo caso in sede di legiferazione:
Il primo passo, […] consiste nel creare un miraggio (progetto di legge o schema di provvedimento) inteso a produrre una sindrome di aspettative e brame nel corpo sociale, così che vi sia un grande numero di cittadini credenti o fiduciosi di poter fruire di alcuni benefici o soddisfare a certi bisogni, mediante adempimenti formali assai semplici.
A questa balenante ipotesi di miglioramento segue un periodo di divulgazione del progetto, così da saggiare la reattività della categoria di cittadini interessati dal possibile verificarsi del miraggio. Qualora questo movimento sia considerato rimarchevole, si procede all’emanazione del provvedimento, seguito a ruota da «regolamenti e circolari esplicative sempre più allettanti, gremiti però di ben simulati calappi». A questo punto, una volta che siano giunte migliaia e migliaia di richieste, si procede con la fase del trattamento vero e proprio, il cui esito si traduce in un novantanove percento di pratiche rimaste in fase istruttoria, un uno percento scarso di pratiche evase positivamente e nessuna pratica evasa con esito negativo.
Frassineti poggia il suo smascheramento sull’eterna e legittima persecuzione del perfezionamento del cittadino e sulla proverbiale maestria della burocrazia di ogni tempo nel far sì che l’illusione rimanga tale. La satira di Frassineti interroga il suo tempo (e la sua Italia), il nostro e sicuramente quello a venire, ma ciò può accadere solo se il libro si rifiuta di rivolgersi a un presente specifico: «Avrei dovuto inventare di meno e copiare di più» risponde laconico l’autore in una lettera a uno scocciatore anonimo che gli rimprovera il fatto che “come scrittore” egli abbia sbagliato tutto. L’attualità diventa in fretta una moneta fuori corso, l’eversione liberatoria prodotta dal libro di Frassineti no; manomette dall’interno la logica burocratica, quel particolare tipo di follia che consiste nella perdita di tutto, tranne che della ragione. Riutilizzando una formula di Gianni Celati in merito alla satira swiftiana, Misteri dei ministeri è un invito a «ripensare all’idea di uomo come animale politico» e questo è uno dei motivi per cui oggi e domani avrà senso leggerlo, nonostante alcune possibili difficoltà di lettura dovute principalmente allo stato interrotto e lacunoso con cui molti frammenti vengono volutamente presentati, nonché all’organizzazione eterogenea dell’opera nel suo complesso. Può definirsi “classico” un libro che sonda con uguale profondità tutti i possibili presenti? Nel caso di questo libro senza tempo la risposta al quesito potrebbe sovvenirci la prossima volta che siederemo alienati in qualche sala d’attesa con in mano il nostro onesto numerino, in attesa del nostro turno:
Il tuo destino è quello della ruota,
che va con l’altre ruote a tempo eguale.
La complicata macchina statale
cammina e non c’è forza che la scuota…
La strada sua t’è nota o forse ignota;
ma tu non la domandi. Non ti cale….
[1] Cfr. Paolo Albani, Umorismo Involontario, Quodlibet, Macerata 2016.
L’immagine di copertina dell’articolo, che ritrae Frassineti intorno al 1938, è stata messa gentilmente a disposizione dal sito dedicato all’autore faentino (https://augustofrassineti.wordpress.com/), al quale appartengono tutti i diritti.