L'inganno è un'arte che appartiene alla natura. Ci sono piante carnivore dalle tecniche estremamente raffinate e subdole, come nel caso delle nepenthes. L'insetto è attratto dal loro lussureggiante fiore a forma di calice, penetra nella cavità e si appoggia alla parete interna per succhiare il nettare. Ma subito scivola dalla parete viscida finendo nel fondo del fiore: una pozza acida che lo scomporrà lentamente trasformandolo in alimento. Anche il cinema sa bene cos'è l'inganno, sfruttandone il potere da più di un secolo, ma non sempre il pubblico finisce nella trappola, come nel caso dell'ultimo film di Sofia Coppola. Presentato all'ultimo festival di Cannes - e vincitore della palma per la miglior regia - The Beguild (L'inganno nella versione italiana) è un remake dell'omonimo film di Don Siegel del 1971, con protagonista Clint Eastwood. Ambientata durante il terzo anno della guerra di secessione, la storia racconta di un soldato nordista ferito che trova rifugio in un collegio femminile del sud, circondato da una natura selvatica e rigogliosa. Qui l'uomo riceve cure e attenzioni che si fanno sempre più morbose e che porteranno inevitabilmente a un sanguinoso epilogo.
La Coppola non si fa scappare l'occasione di tornare a parlare del suo argomento prediletto, l'universo femminile, che a sua volta è la proiezione dell'esperienza adolescenziale della regista: un vissuto privato mitizzato a tal punto da diventare il motore di quasi tutti i suoi film. la visione de L'inganno richiama infatti immediatamente alla memoria il suo primo successo, Il giardino delle vergini suicide, con la rappresentazione di un nucleo di donne impermeabile al mondo esterno. L'attrice-feticcio Kirsten Dunst compare in entrambi i lavori interpretando ruoli che sembrano richiamarsi: se nel '99 vestiva i panni della ragazzina più intraprendente e disinibita del gruppo di moderne vestali, ne l'inganno è un'insegnante remissiva, succube della direttrice dell'istituto (Nicole Kidman).
"La Coppola non si fa scappare l'occasione di tornare a parlare del suo argomento prediletto, l'universo femminile, che a sua volta è la proiezione dell'esperienza adolescenziale della regista"
Eppure in entrambi i personaggi vive il medesimo desiderio di evasione, alla ricerca di un mondo altro dove esprimere la propria vera identità. La differenza tra la liceale arrabbiata e l'istitutrice sembra essere solo un fatto anagrafico e una maggiore rassegnazione nella seconda. Così tocca a un'altra attrice il ruolo di ninfa adescatrice, Elle Fanning, che a nemmeno vent'anni è già stata diretta da Fincher, Abrams, Refn e ora miss Coppola. È lei a rappresentare la sirena più pericolosa per il caporale John McBurney, intento a intessere una rete di relazioni e favori all'interno della casa per evitare la guerra che tuona aldilà del bosco. Fin qui però nulla si discosta dall'originale di Don Siegel, se non per la scelta di una fotografia sontuosa, che ammanta ogni elemento inquadrato di una luce fiabesca. Sofia Coppola ci ha abituati a un uso sapiente dei luoghi e al rapporto tra questi e la vicenda raccontata. C'è stata la Tokio incomprensibile di Lost in Translation, il palazzo dei giochi di Marie Antoinette e le ville degli altri in Bling Ring. La splendida casa coloniale con inserti neoclassici de l'inganno è molto più di una semplice dimora: è il bellissimo fiore a forma di calice della pianta carnivora. Ma è qui che si ferma il tocco personale della Coppola.
"Sofia Coppola ci ha abituati a un uso sapiente dei luoghi e al rapporto tra questi e la vicenda raccontata"
Per il resto, la regista si limita a impreziosire le scene con la propria sensibilità visiva, quasi compiaciuta del proprio talento. Il plot scarno e lineare avrebbe avuto bisogno di un maggior contributo in termini di recitazione e la scelta di un cast di prim'ordine sembrava confermare quest'intenzione. Il risultato è invece estremamente debole: Nicole Kidman nei panni della direttrice offre una prova senza sbavature ma incapace di incidere (al contrario della sua incredibile interpretazione nella premiatissima serie Big little lies), Kirsten Dunst e Elle Fanning sono limitate da una scrittura che le relega a degli usurati cliché. Colin Farrel, rappresentante del maschio che profana il sacro tempio, è ridotto a poco più di un povero diavolo che cerca con meschine astuzie di aggirare le fanciulle. Per l'ennesima volta va in scena in un film della Coppola l'incomprensione tra i sessi e la messa alla berlina del genere maschile, incapace di penetrare il mistero femminile, di coglierne la sensibilità e così via, in una stanca mostra di argomenti "bolliti" che forse bisognerebbe aggiornare. L'esito di questa serie di scelte infelici è un teatrino stucchevole di personaggi inautentici, che agiscono senza una ben chiara intenzione, fino a generare delle involontarie risate nel finale, come nei peggiori film di Night Shyamalan.
Alla fine della proiezione l'unico vero inganno è quello perpetrato ai danni dello spettatore, che si chiede quale possa essere stata l'urgenza di riprendere in mano un'opera simile per produrre un remake impalpabile, privo del benché minimo messaggio e buono solo per vincere l'ennesimo discutibile premio.