Per concludere l’anno il capitano Achab propone la musica che ha più emozionato la ciurma, tra jazz, elettronica, folk e pop. Possiamo confermare che i gusti musicali de La Balena Bianca sono riusciti ad accontentare tutti quest’anno e ci auguriamo che il 2018 ci regali altrettanta soddisfazione acustica.
Buon ascolto a tutti e buone vacanze!
Kamasi Washington – Harmony of Difference [Young Turks/2017] (Michele Turazzi)
Due anni e duecento concerti dopo il monumentale (è proprio il caso di dirlo, davanti a un triplo album da tre ore complessive) The Epic, Kamasi Washington torna con un nuovo, attesissimo disco. Harmony of Difference è praticamente un ep: soltanto trenta minuti di musica, con un unico brano a superare i tre (il pezzo che chiude il disco, Truth). Ma sono trenta minuti di puro Kamasi: echi coltraniani, cori spiritual, big band. Anzi, si tratta forse dell’album giusto per far conoscere a tutti l’uomo che è riuscito nell’impossibile compito di tirare fuori il jazz dalla nicchia angusta in cui si era rintanato, e che l’ha fatto senza snaturarlo. Gli è bastato assecondare il ritmo del suo sax. Chapeau, Kamasi.
The National – Sleep Well Beast [4AD/2017] (Davide Saini)
Eccoli tornati, a 4 anni da Trouble Will Find Me ritornano inconfondibili ma allo stesso tempo diversi. Tra le tante band in circolazione se ce n’è una inconfondibile per sonorità e atmosfere sono i The National. Certo magari rispetto alle prove di 10 anni Matt Berninger riesce più a fatica a strappare ruggiti alla sua voce baritonale (se già non li conoscete ascoltate almeno Sad Songs for Dirty Lovers, non ve ne pentirete), nell’evoluzione del suono meno spazio trovano le schitarrate ma tutto ciò trova un ottimo contraltare in questo album nell’utilizzo dell’elettronica e in un generale abbandono dell’impostazione orchestrale a favore di una certa essenzialità. Di certo non sono mai stati il gruppo che si ascolta per tirarsi su il morale, ma in quest’ultimo album Matt sembra scavare ancora più a fondo, con la solita cura maniacale del verso delle loro canzoni e il solito desiderio di captare la realtà ci parla di matrimoni in crisi, di resistenze che son più passività, di stanchezza, del diventare padri e poi invecchiare. Un album vero, che li conferma come una delle band “convenzionali” più importanti della nostra epoca.
Laura Marling – Semper Femina [More Alarming Recordings/2017] (Alessandra Scotto di Santolo)
Il sesto album di Laura Marling non è un disco molto interessato a indossare la sua intelligenza con leggerezza. Un album sulla femminilità e le relazioni femminili, che comincia a citare Virgilio prima ancora di ascoltare la prima nota. Il titolo latino è una citazione dall’Eneide che emette un terribile avvertimento dal dio Mercurio “Varium et Mutabile, Semper Femina”. Una cosa evidente di Semper Femina è che trasforma un materiale piuttosto ricercato in canzoni immediatamente riconoscibili. Non sei colpito da un senso di concettualismo asciutto, ma da una lirica intelligente e spiritosa. Quasi tutti hanno avuto una relazione come quella ipotizzata sul finale di Nothing, Not Nearly: “a year where I didn’t smile once, not really”. Quasi tutti conoscono un personaggio come quello raffigurato con una sorta di affetto ironico in Wild Once: “Does no one understand you? You are wild and I won’t forget it.” Non sono solo i testi ad essere davvero forti. Le ossa nude delle canzoni – le melodie vocali della Marling e la raccolta delle chitarre acustiche – sono uniformemente grandiose. Gli arrangiamenti, sottili. L’album termina con il suono della Marling che posa la sua chitarra e si allontana dal microfono, esce dallo studio e va in giardino, con tanto di canto di uccelli in sottofondo: ha un qualcosa di incisivo e sicuro di sé così come l’album nel suo insieme, un album tanto importante nel raccontare i dettagli quanto nelle grandi idee.
Sam Smith – The Thrill of It All [Capital Records/2017] (Giacomo Raccis)
Il mio anno si conclude nella maniera più inaspettata, all’insegna del pop; e pure di quello più commerciale. Quello da 700 milioni di ascolti su Spotify e da 400 milioni di visualizzazioni su Youtube. Poco male, e anzi, un avvertimento per chi non conoscesse ancora il nome di Sam Smith. Ignoro completamente la storia musicale di questo ragazzo londinese (classe 1992), perché per me Sam Smith è solo una voce. Ma una voce incantevole.
C’è una cosa che non riesco a perdonare ai cantanti delle ultime generazioni, ed è l’attitudine gattesca, la propensione al miagolio, invocato a coprire basi musicali da videogioco amatoriale (o al più da inno dei mondiali di calcio). Solo in apparenza Sam Smith appartiene a questa categoria; perché la sua voce riesce a fare melodia da sola, a dialogare superbamente con l’umore soul che sostanzia per intero quest’album, raggiungendo le sue migliori espressioni quando a fargli eco trova un coro che unisce l’epico al malinconico (come in HIM e Nothing Left to You). Con già all’attivo un Premio Oscar per la migliore canzone, Sam Smith si candida a diventare una delle massime popstar del prossimo decennio, pronto a sfornare anche il classico album natalizio che tutti i grandissimi hanno concesso ai loro fan (e in effetti la sua voce si sposa benissimo con la neve, l’albero illuminato e i regali da scartare).
Artisti Vari – Twin Peaks (Music from the Limited Event Series)[Rhino Records/2017]
(Massimo Cotugno)
Qualcosa mi ossessiona da mesi e mi rende fastidioso e molesto per il prossimo. Si chiama Twin Peaks e quest’anno è tornato sugli schermi televisivi come un tornado a spazzare via il resto del mio immaginario. Sia visivo che auditivo. Per chi non lo sapesse, David Lynch, oltre a essere uno dei migliori registi in circolazione, è un musicista di un discreto talento e cura maniacalmente il suono di ogni suo film. Per questo ritorno della sua creatura più famosa, i misteri di Twin Peaks, il nostro ha voluto esagerare, ritagliando nel suo show uno spazio ben definito alla musica: un vero e proprio palco. Ogni episodio si chiude infatti al Roadhouse, il locale della cittadina, dove a turno si esibiscono musicisti del calibro di Shannon Wright, Eddie Vedder e Nine Inch Nails a fare da cesura tra un episodio e l’altro, un intermezzo musicale che sottolinea il tono della puntata o suona in totale antitesi. Lynch allestisce qui il suo personalissimo Late Night Show, con la band a chiudere il programma mentre scorrono i titoli di coda. Questi nomi sono confluiti nella splendida colonna sonora, tra cui ricordiamo anche i Chromatics, The Veils e le Au Revoir Simone. C’è spazio anche per il figlio di Lynch, Riley, che propone sul palco un blues arrabbiato con i suoi Trouble.
Ascolta la playlist della ciurma!