Si avvicina il Natale e, come ogni anno, arrivano i consigli di lettura della Balena Bianca, scelti dalla redazione e dai suoi più stretti collaboratori. Sono tutti libri usciti in questo 2017 che ha riservato non pochi capolavori, dall’Italia e dall’estero. Una buona carrellata di letture, per chi in queste feste faticherà a trovare un momento da dedicare ai libri tra un cenone e l’altro e per chi invece si godrà vacanze oziose e piene di “tempo libero”. In attesa di ritrovarci nei primi giorni del 2018, che si aprirà con nuovi progetti e nuove iniziative per la rivista, la ciurma del capitano Achab augura a tutti un buon Natale.
Lars Mytting, Sedici alberi, Dea Planeta [Alessandro Mantovani]
Sedici alberi di Lars Mytting è un romanzo coinvolgente ascrivibile a più categorie. La complessa vicenda familiare di Edvard, orfano di entrambi i genitori deceduti sui luoghi di battaglia della Somme in condizioni misteriose, assume ora i toni di un noir, ora quelli del romanzo di formazione. A discapito di uno schema narrativo piuttosto tradizionale – la morte del nonno, unico parente in vita (?) che dà l’abbrivio alla vicenda –, la narrazione si dipana attraverso un complesso tessuto geografico (Norvegia, Isole Shetland, Scozia, Francia) e non pochi colpi di scena, rimanendo sempre tesa sul filo di una soluzione che sembra sfuggire più velocemente ad ogni acquisizione. La grandezza del romanzo, però, non sta tanto nella grande ricerca del sé affrontata dal giovane protagonista, quanto nell’acquisizione di una consapevolezza familiare che mette radici nella grande Storia e che di essa lascia tracce nel particolare. Addentrandosi sempre di più nella sua ricerca, Edvard dovrà confrontarsi con le ossessioni e i fantasmi della Prima guerra mondiale, della resistenza francese sotto i nazisti, dei campi di concentramento, declinati in un reticolato di identità nascoste, morti false e amori senza speranza.
Mytting conferma l’esistenza di una narrativa norvegese brillante, capace di uscire dalle stagnazioni proustiane in cui l’ha inserita l’opera di Knausgård e di mostrare le possibilità di un confronto dinamico verso il problema della memoria collettiva e delle ferite che essa traccia sulla pelle di ognuno.
Giuseppe Lupo, Gli anni del nostro incanto, Marsilio [Michele Turazzi]
Una famiglia – padre, madre, due figli, di cui uno in fasce – arrampicata su una Vespa che corre dalle parti del Duomo: è la foto rigorosamente in bianco e nero che introduce l’ultimo romanzo di Giovanni Lupo e che ci accompagna pagina dopo pagina alla scoperta della «vita sbarluscenta» della Milano del boom e, poi, di quella cupa degli anni di Piombo. In mezzo, piazza Fontana, il giorno che ha ammazzato un’epoca e ne ha battezzato un’altra. Gli anni del nostro incanto racconta un’Italia e una città che non ci sono più, ma che sono entrate nella memoria condivisa con tanta profondità da sembrare parte della nostra storia personale. «Io sono contenta che papà non si sia accorto di nulla: li avrà pure sentiti, gli allarmi delle ambulanze e delle camionette, però non ha capito che Milano dalle mille luci, la sua Milano, si era sporcata di sangue»: parole che, forse, potrebbe dire ciascuno di noi.
Raul Montanari, Sempre più vicino, Baldini & Castoldi [Davide Saini]
Milano. Valerio e Simon sono due amici 27enni legati da amicizia da sempre, entrambi impiegati presso i rispettivi genitori, entrambi a fine università, entrambi precari in tutto. La città in cui sono immersi è placida e incompiuta come la loro vita, e si muove in un ribollire di multirazzialità, multiculturalità, molteplicità umana varia mal assorbita e mal mescolata. Una Milano di cui l’autore interpreta bene la realtà senza mai cedere a uno sguardo giudicante o a una fustigazione. In questo ambiente Montanari inserisce un mistero, Airbnb, una vicenda che coinvolgerà i due protagonisti, una donna, tanti soldi, l’Adda, un investigatore privato, viaggi avventurosi, uno scooter, tradimenti e rischi altissimi, comicità e affetti fortissimi. Un bel noir che fila dritto come un colpo di fucile appassionando il lettore ma dandogli anche uno spaccato della Milano dei nostri anni.
Salman Rushdie, La caduta dei Golden, Mondadori [Giulia Sarli]
Che cos’è l’identità e in che modo si può oggi declinare nel romanzo? Uno scrittore può ancora costruire una storia affidandosi a dei personaggi a tutto tondo, al loro agire, al loro destino cesellato fin dalle prime pagine del libro? Negli anni in cui la biografia si è impossessata del romanzo, per una sete di realtà e bisogno di identificazione sempre maggiori nel lettore, Salman Rushdie torna al vecchio quesito posto da Virginia Woolf, alla riflessione che ha rotto i vetri del romanzo classico e dato vita al moderno modo di narrare. The Golden House è stato definito il romanzo americano di Rushdie. Ma l’America in cui il romanzo è ambientato, la New York degli anni tra la nomina di Obama alla casa Bianca e quella di Donald Trump, è un teatro più vasto, una babele in cui le identità etniche, politiche e culturali si sfaldano e riassemblano in continuazione. Con l’abilità che gli è propria, Rushdie riesce a rappresentare il mondo contemporaneo in tutte le sue contraddizioni, senza forzature. E lascia al lettore una sensazione stupenda: i grandi romanzi, quelli che rivoltano tutto, che ci costringono a star svegli la notte a pensare, forse esistono ancora.
Geoff Dyer, Sabbie Bianche, Il Saggiatore [Davide Valtolina]
Andare da qualche parte solamente per vedere cosa c’è. Da questa vocazione nasce il libro di Geoff Dyer, che mescola disordinatamente diario di viaggio, racconto e reportage: dalle sabbie bianche dei deserti americani che abbagliano il New Mexico alla neve delle Svalbard nel mare Glaciale Artico, dalla concettualità maestosa della Città Proibita alla profusione di luce che avvolge Tahiti. L’asse portante di «Sabbie bianche» è la tensione per «cercare di comprendere che cosa significa un certo luogo, un certo modo di contrassegnare il paesaggio»: l’esplorazione dello spazio e la sua interpretazione, che venga da una figura anonima, Gauguin o Adorno. Un’indagine che mischia vari registri e dà grande spazio all’ironia per dilatare il raggio d’azione – progressivamente e in modo apparentemente paradossale – all’interno di sé. Ritraendo insieme al paesaggio la propria immagine, l’autore si osserva, si giustifica e si incolpa: anche in modo fin troppo compiaciuto. Tanto che a tratti non si capisce nemmeno che cosa voglia mettere a fuoco: ma intanto le pagine di Sabbie bianche scorrono sempre più velocemente, alternando a una riflessione sulle noie della vita una sui tentati prodigi della Land Art.
Andrea Cimatti, L’universo oscuro. Viaggio astronomico tra i misteri del cosmo, Carocci [Paolo Caloni]
Il libro di Andrea Cimatti L’universo oscuro. Viaggio astronomico tra i misteri del cosmo è una piccola guida, ricca di spiegazioni chiare e stringenti, che unisce il piacere della divulgazione al rigore dell’esposizione scientifica, senza sconfinamenti nei sogni della metafisica.
Ripercorrendo la storia dell’universo e analizzandone la natura si assiste alla deflagrazione dei confini della conoscenza attraverso tutte le dimensioni dello spazio e del tempo: l’intensità dell’energia del cosmo si fa insostenibile tanto da divenire ignota (il mistero dell’energia oscura riguarda il 70% dell’universo), mentre le distanze sono tanto ampie da sfaldarsi sotto gli occhi della mente. La realtà dell’universo sfugge verso il non senso.
Cimatti accompagna il lettore fra le meraviglie dell’astronomia descrivendo gli scenari cosmici e quelli atomici, ma anche ponendo i tanti dubbi in cui l’impetuoso aumento delle conoscenze inevitabilmente inciampa. Vediamo il 5% di materia ordinaria dell’universo: il resto (il 95%) è composto da materia ed energia oscure ancora non indagabili. C’è, ma non si vede. Volgendo lo sguardo al cielo misuriamo la nostra ignoranza.
Chinua Achebe, Non più tranquilli, La Nave di Teseo [Carolina Crespi]
«Di sicuro amava l’Africa, ma solo quella di un certo tipo: l’Africa del fattorino Charles, l’Africa del suo giardiniere e del suo domestico. Doveva essere partito con un ideale: portare luce al cuore di tenebra, a tribù di cacciatori di teste che eseguivano strane cerimonie e riti innominabili. Ma una volta sul posto, l’Africa l’aveva deluso. […] Nel 1900 il signor Green avrebbe potuto trovare posto tra i grandi missionari; nel 1935 si sarebbe potuto concedere di prendere a schiaffi presidi davanti ai loro alunni; ma nel 1957 poteva solo protestare e imprecare». È Obi Okonkwo a parlare, di ritorno a Umuofia, dopo aver ricevuto la sua educazione Occidentale in Inghilterra e ora funzionario pubblico nella Lagos degli anni Cinquanta, capitale di una Nigeria dalle cinquecento lingue madri, che si avvia all’Indipendenza. Obi è il nipote di un altro Okonkwo, guerriero igbo di epoca precoloniale, eroe tragico e resistente, incapace di accettare l’irreversibile, che assiste inerme alla conversione di un figlio che non può rinnegare. Quell’Okonkwo era stato il protagonista de Le cose crollano, il primo romanzo della trilogia con cui Chinua Achebe ha scritto la cronaca umana della sua Nigeria. Nel secondo volume, Non più tranquilli, edito da La nave di Teseo (traduzione di Alberto Pezzotta) e in libreria dalla scorso autunno, si salta una generazione, si affrontano un pastiche di inglesi (Oxford english, nigerian english, broken english, pidgin english), e di nuovo il tracollo di un uomo retto, un letterato che dopo Yeats cita Auden, Eliot, si scaglia contro Conrad, e conosce, come il suo autore, i pericoli di una storia unica. Dopo la conversione, è la corruzione la zona grigia in cui si immerge il canto di Achebe, la cui prosa, illuminata e tranciante, non ha niente da spiegare e tenta il complesso affresco di un uomo che cerca di comprendere e amare il paese che ha lasciato. Nell’attesa della pubblicazione del terzo volume, The Arrow of God, abbiamo il dovere di leggere quello per secoli abbiamo cercato di raccontare.
Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, Guanda [Giacomo Raccis]
Questa è la storia di Gerda Taro, al secolo Pohorylle. È la storia di una giovane tedesca, intraprendente, volitiva e fascinosa. È la storia di una ragazza che ha attraversato l’Europa – Stoccarda, Berlino, Parigi, Brunete, nella Spagna della guerra civile – spinta dalla fiducia in una causa comune, che dietro le insegne della politica o dell’appartenenza culturale, nascondeva un solo, inestinguibile e condiviso desiderio di vita. Negli anni della repressione nazista e delle violenze antisemite, Gerda riesce a costruire attorno a sé una comunità di amici e compagni, attratti dalla sua presenza magnetica. Un magnetismo che sopravvive anche alla sua morte – arrivata per un incidente di guerra –, quando alla presenza fisica si sostituisce quella, altrettanto vivida, del ricordo. Separati dalla diaspora a cui li ha condannati la guerra, gli amici di Gerda –Willy Chardack, Ruth Cerf, Georg Kuritzkes – ne ricostruiscono la vita secondo i percorsi carsici e irregolari che sono propri della memoria. Come la Storia è fatta da chi vince, così anche la vita di una persona è affidata a chi le sopravvive, condannato alla responsabilità di un ricordo che può diventare affidabile solo se si fa polifonico. Con La ragazza con la Leica Helena Janeczek costruisce un romanzo di voci che, insieme alla figura spavalda e proteiforme di Gerda, ci restituisce un’immagine aperta e plurale dell’esperienza novecentesca, e si conferma così la più cosmopolita tra i nostri autori contemporanei.
Morten A. Strøksnes, Il libro del mare, Iperborea [Matilde Quarti]
Per sapere di cosa parla Il libro del mare di Morten A. Strøksnes (Iperborea) basta leggere il sottotitolo: O come andare a pesca di uno squalo gigante con un piccolo gommone in un vasto mare. In effetti la trama di questo libro completamente autobiografico (volendo possiamo definirlo memoir), racconta l’esperienza dell’autore a caccia del gigantesco e antichissimo squalo della Groenlandia, al largo delle isole Lofoten in Norvegia, aiutato nell’impresa da un caro amico e provetto pescatore. E volendo fermarsi alla trama si resterebbe in ogni caso soddisfatti: la piccola avventura di Strøksnes è avvincente e divertente. Ma il Libro del mare soddisfa anche palati più fini, con i suoi molteplici livelli di lettura. Gli appassionati di biologia troveranno lunghe – e interessanti – digressioni (come Melville insegna) sulla storia dello squalo della Groenlandia e di tutta la fauna marina del Mar di Norvegia; gli animi più introspettivi saranno soddisfatti da una non banale riflessione sulla vita e i limiti dell’individuo, solo, di fronte a una distesa infinita d’acqua e alle condizioni spesso avverse della natura circostante. In ultimo, in particolare nella parte conclusiva del libro, Strøksnes non le manda certo a dire e si dilunga sulle conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico in atto, che si ripercuotono là dove l’occhio umano è più restio a guardare: nelle profondità marine.