Giovedì 1 febbraio, alle ore 18, nell’Aula Magna dell’Università di Bergamo (Piazzale Sant’Agostino), verranno annunciati i finalisti della XXXIV edizione del Premio Narrativa Bergamo. Saranno presenti Andrea Cortellessa, membro del Comitato Scientifico, il Presidente Massimo Rocchi e la Segretaria Flavia Alborghetti; a moderare, il nostro Giacomo Raccis.
Nell’attesa di conoscere i cinque nomi, ci prepariamo ascoltando le voci di alcuni degli autori che negli anni passati si sono aggiudicati il primo posto. Abbiamo posto loro quattro domande e ne abbiamo ricevuto il racconto di un’esperienza che va oltre la semplice partecipazione a un premio letterario. Dopo Marco Missiroli, Stefano Valenti, Antonio Pascale e Laura Pariani, chiude oggi il ciclo Vincenzo Latronico, vincitore nel 2012 con La cospirazione delle colombe (Bompiani).
Nel 2012 hai vinto il Premio Bergamo con La cospirazione delle colombe: che posto occupa nella tua produzione quell’opera? A che punto eri con il tuo lavoro di scrittore?
È il mio secondo romanzo. A chiedermelo allora, ero avantissimo; a pensarci adesso mi intenerisco per quanto i miei interessi e punti di riferimento sono cambiati da allora. Due anni fa il romanzo è stato tradotto in tedesco, e ho avuto occasione di rimettere le mani sul testo per quelli che dovevano essere pochi aggiustamenti. Ne ho tagliato penso il dieci percento, e solo perché non avevo tempo di lavorarci di più. In realtà, penso che l’unica risposta onesta a questa domanda, sempre, è “non al punto in cui vorrei”.
Il Premio Bergamo prevede diversi incontri, con i lettori adulti e con gli studenti della città e della provincia: che ricordo hai di quei momenti di confronto?
In realtà, ho un ricordo un po’ problematico: una insegnante mi ha detto di non aver voluto far leggere ai suoi studenti il libro di Walter Siti in concorso perché il tema (un amore gay) era troppo scabroso.
Tra i romanzi selezionabili per quest’edizione (usciti cioè tra gennaio 2016 e settembre 2017), quali sono i cinque che porteresti in finale?
Wow, domanda difficile. Il romanzo che mi è piaciuto di più quest’anno è Sirene, di Laura Pugno, uscito per Marsilio in una riedizione credo un po’ diversa da quella di Einaudi undici anni fa. Non so se è selezionabile, però. Poi direi Leggenda privata di Michele Mari; Cleopatra va in prigione di Claudia Durastanti; La vita felice di Elena Varvello; Bruciare tutto di Walter Siti.
Cosa ne pensi dei premi letterari? Oltre ad avere una funzione per le vendite dei premiati, pensi che abbiano anche un valore dal punto di vista del riconoscimento letterario?
Forse più il contrario, quasi; cioè, mi sembra che i premi con un maggiore effetto sulle vendite siano quelli che, inevitabilmente, finiscono per essere condizionati più in profondità da giochi di potere che ne mettono a rischio la qualità. Personalmente, non so che effetto sulle vendite abbia avuto per me il Premio Bergamo, ma so che ha contribuito moltissimo a farmi pubblicare all’estero, e a farmi sentire – in un momento iniziale e precario del mio percorso di scrittore – che potevo andare avanti per quella strada, che avevo trovato o stavo trovando o avevo una possibilità di trovare qualcosa di valido: e in fondo il ruolo del “riconoscimento letterario”, oltre alla magra possibilità di fare lo splendido alle festicciole, dovrebbe essere questo.