Li Kunwu ha avuto una vita semplice, una vita cinese uguale a quella di altre centinaia di connazionali, che hanno visto la rivoluzione culturale di Mao, la riorganizzazione del partito, il boom economico e le liberalizzazioni dei costumi. Non ha fatto nulla di speciale se non navigare il tempo e i suoi maremoti e per questo motivo, quando gli è stato chiesto di mettersi a lavorare con Philippe Ôtié a un graphic novel che raccontasse la sua storia personale, non è riuscito a cogliere immediatamente che interesse potesse avere per dei lettori esterni. In realtà, Una vita cinese, trilogia uscita in Italia con add editore e composta dai volumi Il tempo del padre, Il tempo del partito e Il tempo del denaro, ha riscosso subito interesse di pubblico nei primi due paesi dove è stata pubblicata, Francia e Cina, portando gli autori a porsi nuovi interrogativi sul senso della loro opera.
Li Kunwu e Ôtié non si aspettavano una risposta del pubblico così positiva. Ma il loro racconto, evidentemente, ha aperto uno squarcio su un paese di cui l’Europa ha ancora un’immagine confusa, in cui il libretto rosso di Mao si unisce in modo un po’ sconnesso alle polemiche attuali sulla manodopera a basso costo dell’industria tessile e alla bravura dei suoi atleti olimpici. Ma è più rilevante, forse, che Una vita cinese abbia suscitato un interesse simile nella stessa Cina, in un pubblico giovane, di persone ormai nate e cresciute in una società profondamente diversa dal mondo ancora essenzialmente rurale e operaio che i loro genitori hanno visto evolvere e dove i loro nonni hanno sognato un avvenire che non si sarebbe mai realizzato – o, perlomeno, non nella forma che immaginavano. Il successo della trilogia di Li Kunwu e Ôtié rivela la necessità di storie che raccontino la vita di tutti i giorni, in un luogo uguale eppure estremamente distante.
È possibile dunque che la semplice, normale vita di un uomo diventi un modello? A quanto pare sì, ed è questa la sfida che Li Kunwu e Ôtié hanno dovuto affrontare, all’indomani dell’uscita del primo volume. Attraversando i seguenti due libri, Il tempo del partito e Il tempo del denaro assistiamo alla crescita della consapevolezza degli autori e a un’evoluzione, nella forma e nello stile, volta a soddisfare le esigenze di un pubblico molto più numeroso del previsto. Stiamo parlando del tentativo, ormai esplicito, di raccontare un luogo, un clima sociale, culturale e politico che viva di vita propria, muovendo oltre la piccola quotidianità del protagonista. Non rischiare più, insomma, che il personaggio Li, come sottolinea Ôtié nella prefazione, venga scambiato per “un cinese tipico” e che la sua vita venga scambiata per la vita “di tutti i cinesi”. La vita di Li è stata la vita di “alcuni cinesi”, ciò che è davvero assoluto e può valere come modello, è lo sfondo su cui si muove e in cui brulicano altre esperienze, alcune molto simili alla sua, altre che si discostano radicalmente.
Forse per questo motivo Il tempo del denaro, ultimo tomo di Una vita cinese, appare al lettore radicalmente più complesso rispetto ai precedenti, a partire dall’immagine, dal tratto che si fa più preciso e cerca di abbracciare un numero maggiore di elementi. L’immagine si fa veicolo principale del racconto, anche attraverso le numerose scritte che affollano il background, dalle insegne degli esercenti ai manifesti che inondano le città e che diventano un ulteriore fondamentale dato (grazie alla traduzione in nota) per capire il progresso del paese. Dai proclami di Mao del primo volume passiamo all’inizio del terzo, ad esempio, alla campagna per l’igiene. Ma anche la costruzione della storia viene modificata nel Tempo del denaro: la trama si fa decisamente più corposa e ora più che mai entrano in scena una serie di personaggi, inizialmente secondari, che assurgono a ruolo di co-protagonisti, trasformando quella che era la vicenda di un solo uomo in un romanzo davvero corale. La storia di Li diventa la storia della Cina contemporanea, di un paese caotico, ricco di sogni e ancora legato, nonostante l’avvicendarsi di governi comunisti, a tradizioni antiche; un paese dove sorgono i grattacieli e dove i piccoli imprenditori riescono, solo grazie al proprio duro lavoro, a costruire imperi.
Non è un caso, allora, che l’altro grande argomento, che regge dalle fondamenta Il tempo del denaro, sia quello del lavoro, della fatica, del sudore. Le strade e le piazze di questa nuova Cina raccontata da Li Kunwu e Ôtié brulicano di affari, di persone che arrivano in città per diventare artefici del proprio destino, come Lili, che ha diciannove anni e lavora in un salone per massaggi e intanto ascolta i discorsi dei clienti che parlano di borsa e finanza, imparando così come far fruttare i soldi. Oppure Rongyu che raccoglie ferraglia per le strade con la moglie, ma riuscirà ad aprire un ristorante di lusso. È questa la Cina a cui Li Kunwu sente di appartenere, come sottolinea in prima persona in conclusione al libro. La Cina che ha conosciuto lungo tutta la sua vita, in cui già sotto Mao si faticava nei campi, anche quando non c’era scampo dalla povertà. Li Kunwu è un anziano cinese, ormai, consapevole di appartenere – anche ma non solo – a quel vecchio mondo comunista fatto di adunate di partito, e che non sente di rinnegare perché è stato parte della sua formazione. Lo ha voluto, ha contribuito anche lui, con i suoi gesti minuti che riecheggiano in altre migliaia di gesti, a costruirlo. Se un affresco può avere una fine – e Una vita cinese altro non è che un lunghissimo affresco a fumetti – è questa quella giusta: la conclusione che torna all’inizio, una concatenazione di cause ed effetti che si richiamano, evolvono per tornare l’uno all’altro. Nella piccola esistenza degli uomini e in quella grande delle nazioni che li ospitano, in parte li forgiano e in parte si fanno forgiare da loro.