Sappiamo quanti sono gli italiani a Berlino. Tanti. Tantissimi. E la Berlinale ama gli italiani. Solo due anni fa Franco Rosi è tornato a casa con un inaspettato Orso d’oro per il suo documentario Fuoco ammare, mentre Alba Rohrwacher è ospite fissa del festival, praticamente adottata dal direttore Dieter Kosslic, che per lei nutre una profonda ammirazione. Così neanche quest’anno mancano le pellicole italiane nel programma della rassegna, tra cui una di queste è in gara per l’ambita statuetta del mammifero più tenero e temibile del mondo. Si intitola Figlia mia, è diretto da Laura Bispuri, e ha come protagonisti Alba Rohrwacher – appunto – e Valeria Golino, altra attrice che ha saputo costruirsi negli anni un’incredibile carriera al di fuori dell’Italia. Altro film presente alla Berlinale – nella sezione Panorama – è La terra dell’abbastanza, dei fratelli D’innocenzo, una coppia di gemelli romani appena trentenni, ma con già una bella dose di sfacciataggine. A proposito di giovani promesse: a Berlino c’è anche l’attrice Matilda De Angelis, selezionata dal festival come Shooting Star, giovane promessa del cinema europeo insieme ad altri nove giovani colleghi da tutto il continente. Siamo riusciti a farle alcune domande dopo la presentazione, ma prima tocca parlare delle pellicole nostrane, forse tra le più grandi delusioni di questo 68esimo Festival del cinema di Berlino.
Figlia mia
Fin dalle prime immagini si è colti da una strana sensazione di déjà vu e si intuisce la prevedibilità del girato. Di nuovo la terra brulla e aspra della Sardegna a fare da cornice pittoresca di una storia di affetti cresciuti in un terreno duro e ostile. Un’altra volta la Rohrwacher nel ruolo di outsider in una comunità arcaica. E tutto procede come previsto, con il dolore, le lacrime e una fotografia che ribadisce in ogni istante quanto resti poetica questa terra infame. Ci si attende un lampo di originalità, una folgorazione, ma la struttura è inesorabile e porta a una risoluzione di un didascalico quasi imbarazzante. Figlia mia è la storia di due donne che si contendono l’amore di una figlia. Tina (Valera Golino) è la madre adottiva onesta e disperatamente aggrappata alla sua preziosa bambina, Angelica invece (Alba Rohrwacher) è una sorta di Bocca di rosa che vive isolata tra mucche e cavalli. A salvare parzialmente la pellicola è l’ottima recitazione delle due attrici navigate, spesso ostacolate da un contorno di attori non professionisti mal gestiti da una regia incapace di trasformare l’autenticità dei volti in un vero valore aggiunto. Si fa fatica a pensare che questa sia una delle vette del cinema italiano contemporaneo. Oltre a essere un’opera convenzionale e senza particolari spunti, è colpevole di sfruttare un immaginario logoro, che ha già la sua massima esponente nella regista Alice Rohrwacher (Corpo celeste, Le Meraviglie). Probabilmente a interessare i selezionatori della Berlinale è stato il tema degli ultimi, degli emarginati, tematiche care alle kermesse, ma che non bastano a salvare un film molto piccolo.
La terra dell’abbastanza
Con la pellicola dei fratelli D’Innocenzo la musica non cambia, anzi, il cliché è servito con maggiore ostentazione. La storia racconta di due ragazzi della periferia romana rassegnati a un futuro di miseria, fino a quando non investono per caso un mafioso, e la loro vita “svolta”. I due vengono arruolati dal clan rivale del defunto, che, in segno di riconoscenza, affida ruoli sempre più importanti nell’organizzazione. Ha inizio così un bello spin off di Suburra con un pizzico di Gomorra. Si sprecano le tute acetate, le felpe col cappuccio, gli sguardi truci, le urla di madri e compagne, in un pedissequo rispetto del ben noto canovaccio gangsta all’italiana. Fa male vedere due registi capaci come i D’Innocenzo, che a soli trent’anni muovono la cinepresa con notevole disinvoltura, appiattirsi su una storia che non aggiunge niente alla spinosa questione, se non assicurare loro una vetrina internazionale come la Berlinale, forse più interessata – come nel caso di Figlia mia – alla tematica che all’effettiva urgenza della pellicola. Da segnalare i due giovani attori protagonisti, Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti: i loro Mirko e Manolo sono personaggi credibili, in particolare nel rapporto con i loro rispettivi genitori.
Matilda De Angelis, la stella di Berlino
Cambiare vita con un unico film. Questa la storia della giovane Matilda De Angelis, che, come il suo personaggio in Veloce come il vento, sembra spingere l’acceleratore sempre a tavoletta, tanto da non rendersi quasi conto di quanta strada abbia già fatto in pochissimi anni. Ma Matilda De Angelis inizialmente non sognava il cinema, bensì la musica. Suona da quando ha 13 anni e ha una band. Per il film Veloce come il vento scrive anche un brano originale che finisce nella cinquina finale dei premi del David di Donatello. La recitazione giunge quasi per caso e lei decide di buttarsi, con tanta paura, ma con la sicurezza di essere affiancata da uno come Stefano Accorsi. La trovo alla presentazione delle shooting stars, in mezzo ad altri talenti come Michaela Coel (Chewin gum, Black mirror) o Franz Rogowski (Victoria, Transit). E la prima domanda sorge spontanea:
Hai iniziato la tua carriera quasi per caso e ora ti ritrovi qui in questa prestigiosa vetrina. Come ti senti?
Vero, nasco come musicista. Ma ora che sono tra le shooting star sento di aver intrapreso la strada giusta e non voglio mollare. Certo non lascerò per questo la musica ma di certo il cinema occupa la maggior parte del mio tempo ora e ci sono per il futuro interessanti progetti
Qual è il tuo modello di attrice?
Il mio modello è sicuramente Cate Blanchett, poi Marion Cotillard, e in Italia Maya Sansa. Sono attrici concrete, potenti, che danno l’impressione di essere inarrestabili. Lo so, punto molto in alto prendendo loro come modello.
Tornando alla musica, qual è il musicista a cui ti ispiri?
Sicuramente David Bowie. Mio padre è un suo grande fan e, forse non ci crederai, ma stavo ascoltando proprio Hero di Bowie qui a Berlino quando ho appreso la notizia della sua morte. Lui era il migliore, era sempre in trasformazione, attraverso diversi tipi di genere. Credo sia importante per un’artista essere sempre affamati di novità, mai abituarsi a un certo tipo di ruolo o situazione.
A proposito di ruoli, che tipo di personaggio desidereresti interpretare?
La Supereroina, mio padre era – oddio, parlo sempre di mio padre ma è solo un caso, te lo assicuro – mio padre era un fumettista a Bologna, ha studiato con Andrea Pazienza ed è forse per questo che sogno un ruolo simile. Un altro mio sogno sarebbe quello di interpretare un maschio. Senza trucco sono praticamente identica a mio fratello.
Tra i film degli anni passati, ce n’è uno che preferisci in particolare?
Leon di Luc Besson. Il nome Matilda deriva proprio da quello della giovane protagonista interpretata da Natalie Portman. Poi adoro Big Fish di Tim Burton
Dove lo vedi il tuo futuro? Ancora nel cinema o nella musica?
Ho studiato musica sin da quando ero una ragazzina ed è alla base della mia vita. Credo che nel processo creativo le arti si “aiutino” a vicenda, non posso scegliere. Sarebbe come scegliere se avere le gambe o le braccia. Non voglio smettere con la musica perché è parte della mia vita, anche se in alcuni momenti devo concentrarmi sulla recitazione. Spesso uso la musica per preparare i miei personaggi. La musica è in fondo come una macchina del tempo. Puoi usarla per passare da una sensazione a un’altra, da una situazione all’altra. Creo delle playlist per ogni personaggio. Per il personaggio di Youtopia, ad esempio, ho usato solo Radiohead perché dovevo essere depressa (risata), per Una famiglia ho usato invece gli Strokes.
Cosa puoi dirci di Youtopia, il film di Berardo Carboni che ti vedrà protagonista?
Uscirà a maggio, e questa volta mi sono dovuta preparare con una coach americana, Doris Hicks. Lei utilizza il Metodo Lee Strasberg. Cinque minuti dopo essere nudi, non ci si vergogna più di nulla. Sono praticamente rimasta nuda per circa 10 giorni. Questa particolare preparazione era richiesta dal tema del film. Interpreto infatti una giovane ragazza che vende la verginità online per evitare che i genitori perdano la casa. Si tratta di un film sperimentale, low budget, ed è stato molto intenso lavorarci.
Alla fine di questo tour della Berlinale made in Italy, tra film deludenti e nuovi talenti alla conquista del futuro del nostro cinema, mi è sembrato utile fare un’ultima domanda alla Berlinale in persona: