Un viaggio nella regione centromeridionale dell’India offre l’occasione di compiere numerose e stimolanti osservazioni in fatto di produzione artistica e culturale, e ancora a riguardo delle modalità di comunicazione e di fruizione dei suoi esiti; tra i fenomeni più immediatamente comprensibili, anche per via della progressiva – e in effetti spesso visibile – omogeneizzazione o almeno messa in relazione a livello globale di alcuni canoni estetici da un lato, ed esperienze che, dall’altro, mettono alla prova (anche al netto di ogni retorica che voglia insistere su un’idea di esotismo) le categorie di comprensione e di giudizio maturate secondo criteri nostrani.
La conversazione con i due artisti Soma Surovi Jannat (Bangladesh) e Nitin Vare (India) è stata l’occasione per i due autori di questo testo – l’una, Ligy Mazzola, illustratrice per l’infanzia ed educatrice, attenta ai temi stilistici, tecnici e sociali della pratica soprattutto pittorica, l’altro, Marco Fumagalli, osservatore dei sistemi culturali e della veicolazione dei prodotti artistici – di approfondire e chiarire molto di quanto raccolto in quei giorni. I due artisti, incontrati a Mumbai in occasione della mostra collettiva Divergence, ospitata presso la Jehangir Art Gallery, hanno infatti tracciato il quadro di un lavoro artistico che, da un lato, partecipa dell’orizzonte della contemporaneità internazionale, e che, dall’altro, dialoga con il contesto sociale e di gusto a loro più prossimo, in cui risaltano i peculiari rapporti tra arte e società, la dialettica tra modernità e forti elementi tradizionali, e infine il necessario confronto con la dimensione naturale e la concezione che di essa resiste nei due Paesi, pure in rapida trasformazione.
Soma Surovi Jannat ha condotto gli studi e il proprio perfezionamento in arti creative in Bangladesh, suo paese natale, e in India. Il corpo dei suoi lavori – esposti in numerose mostre nazionali e internazionali, tra cui l’ultima recentissima personale – comprende pitture, disegni, istallazioni e opere site specific. Elemento caratterizzante del suo lavoro creativo è quello dell’interazione: sia a livello della pratica della collaborazione, secondo un’idea di produzione artistica collettiva, sia a livello contenutistico dell’opera, in cui si colgono e sono rappresentati i fili che collegano, secondo la sensibilità dell’autrice, gli elementi della realtà. L’impegno sociale, infine, fa da sfondo a tutto il suo lavoro di ricerca.
La fisionomia più decisamente urbana di Mumbai fa invece da sfondo all’attività di Nitin Vare, residente in città, dove si è formato nella tecnica artistica. Prese le mosse, durante gli anni degli studi, da forme espressive realistiche, se ne è poi allontanato, accostando i modi dell’astrazione. Concentratosi inizialmente sullo studio delle scale di grigi e delle texture, egli ha inteso poi aprire il proprio lavoro a numerose altre influenze e alla varietà delle suggestioni che emergono dalla realtà.
Ligy Mazzola: Soma, cominciamo dall’atto pratico della tua attività. Domina un’idea di apertura: spazi di lavoro aperti, disponibilità ad accogliere altre mani, oltre alle tue, nella composizione dei tuoi lavori. Sono fatti fondamentali della tua idea di arte.
Soma Surovi Jannat: Abbandonare lo spazio chiuso dello studio, e lavorare in spazi aperti mi aiuta a sviluppare interazioni e a stabilire spontanee collaborazioni con chi vive nei luoghi dove lavoro. L’esperienza della natura, lo stile di vita delle diverse comunità, i loro pensieri. Tutto ciò determina la mia condizione e il mio stato mentale nel momento del lavoro. E ciò consente, da parte mia, una forma di comprensione complessiva, olistica, della realtà. Secondo questo processo, nel mio lavoro, cerco di stabilire un’armonia, di individuare e rappresentare – talvolta con uno stile più narrativo, talaltra con l’uso di rappresentazioni metaforiche per veicolare l’idea – una catena di connessioni tra elementi che, nel mondo esterno, sono invece non correlati.
Ligy Mazzola: Hai lavorato in questo modo nel villaggio tribale di Santiniketan. Che esperienza di lavoro è stata?
Soma Surovi Jannat: Da un paio d’anni lavoro a Santiniketan, un villaggio tribale Santhal nel West Bengala, India; e condivido per alcuni periodi la vita quotidiana con le persone che vi risiedono. Là ho condotto diverse tipologie di progetti: installazioni pittoriche, serie di disegni e lavori site specific.
L’essenzialità e la semplicità della vita della popolazione tribale, la sua prossimità con la natura: tutto ciò concorre a determinare un’armonia, che cerco di cogliere a livello visuale e a cui do forma fisica nel mio lavoro. La serie di disegni Untitled, ad esempio, condotti con il segno minimale della grafite, consente l’osservazione da una nuova prospettiva degli oggetti e degli elementi naturali, e appunto della catena delle loro connessioni, che ho reso attraverso la loro disposizione sullo spazio della carta. Si pone così un punto di vista inusuale su attimi anche di situazioni di routine, di cui si coglie un carattere interessante, ricco e complessivo.
Ligy Mazzola: A proposito del tema naturale, queste opere hanno un punto di contatto con questo elemento anche per via del supporto cartaceo autoprodotto, che contribuisce molto all’identità materiale del lavoro.
Soma Surovi Jannat: Sì… La semitrasparenza della carta dà dei disegni l’impressione di esperienze momentanee fossilizzate, preservate senza degradarsi.
Marco Fumagalli: È interessante – accanto al richiamo agli elementi naturali e al riferimento contenutistico a esperienze sociali molto antiche e tradizionali – questo ricorso a materie quasi primitive per il tuo lavoro artistico. Che pure ha forti caratteri di contemporaneità. E d’altra parte, allargando il discorso, il Bangladesh appare come un luogo di mescolanza di tradizione e modernità: pensi che l’arte contemporanea possa essere un linguaggio adatto alla rappresentazione di tale realtà?
Soma Surovi Jannat: Sì, per alcuni lavori condotti con la collaborazione attiva di persone Santhal ho usato materiali decisamente naturali, come il fango apposto su muri di fango. Per me non è necessariamente l’uso di mezzi nuovi a rendere l’arte contemporanea; è piuttosto l’attualità del processo mentale a renderla tale. Gli artisti del Bangladesh sono molto consapevoli della loro realtà sociale, e questo si riflette nella loro pratica.
Ligy Mazzola: Il tuo lavoro, Nitin, sembra invece più strettamente legato alla dimensione urbana di Mumbai, la tua città di vita e di lavoro. Mi interessa comprendere come tu abbia maturato, anche in questo contesto, il passaggio alle forme dell’astrazione.
Nitin Vare: Credo di essere ancora in ricerca della mia declinazione del concetto di astrazione, che è comunque elemento essenziale del mio processo di pittura: spazi non formali in cui la solo presenza del colore veicola la mia dimensione emotiva. Certo, anche il contesto della città dove lavoro mi condiziona in questo senso: ogni oggetto che maneggiamo, osserviamo, rappresentiamo propone spunti e influenze; ritengo occorra conservare dunque una certa onestà nell’attività artistica, quasi una sorta di innocenza. Ritengo sia dunque opportuno rappresentare in primo luogo una parte di ciò che percepisco di fronte agli oggetti della mia osservazione.
Marco Fumagalli: Sembri rivelare un sentimento di fiducia nella possibilità di tradurre, soprattutto coloristicamente, le sfumature più sottili della realtà. È un’idea condivisa nel panorama artistico indiano? E quale grado di vitalità gli riconosci?
Nitin Vare: L’importanza delle arti – mi riferisco soprattutto a disegno e pittura contemporanei – sta aumentando. Marginalizzate nella cultura indiana tradizionale dal ruolo preponderante di musica, danza e teatro, queste discipline si sono proposte a un pubblico più ampio nel periodo inglese. Le arti musicali e drammatiche tradizionali erano e sono una sorta di intermezzo costante nella vita delle persone. Le altre forme artistiche impiegano più tempo per essere integrate: la loro inclusione nei curricula scolastici farebbe certo la differenza in questo senso.
Tornando alla pittura, questa è perlopiù considerata come un prodotto commerciale; dopo gli anni Sessanta, però, essa ha assunto anche lo status di un linguaggio pienamente espressivo. Così, negli ultimi trent’anni, si assiste a una situazione positivamente innovativa; archiviato il pregiudizio per il quale solo la pittura tradizionale indiana era considerata un riferimento, ci si è aperti a molte influenze dalle arti occidentali: installazioni, arte concettuale, performance sono ora elementi assunti dalla scena artistica indiana, pur conservando alcune specificità stilistiche locali. È una situazione interessante, in cui la vita quotidiana può relazionarsi costantemente con forme di espressione artistica, pienamente considerata come una possibilità di soddisfacimento dei bisogni estetici.
Ligy Mazzola: Da queste parole emerge un’idea di funzione sociale dell’arte come strumento di risposta a un diffuso bisogno di godimento estetico. Anche tu, Soma, poni l’accento sul valore sociale dell’arte: secondo quale accezione?
Soma Surovi Jannat: Sì, in Bangladesh l’arte è un linguaggio vitale, e credo abbia il potere di rendere sana una società. Ad esempio, durante la nostra Guerra di liberazione, l’arte è stata un linguaggio molto attivo per protestare contro la violenza. Quando una persona guarda all’arte, incontra oggetti dei quali sono possibili diverse forme di interpretazione: ciò rende tolleranti verso altri punti di vista. L’arte dunque concorre alla formazione di una società in salute, tollerante e plurale. E in questi anni molti movimenti artistici e molte innovazioni stanno sorgendo in Bangladesh.
Marco Fumagalli: A proposito del contesto del vostro lavoro artistico, Nitin, quale ruolo è riconosciuto all’arte contemporanea in una città come Mumbai? Si può tracciare un itinerario di luoghi espositivi e punti di ritrovo interessanti per le arti figurative?
Nitin Vare: Dopo l’indipendenza, Mumbai ha accresciuto la propria reputazione in fatto di esperienze dal valore estetico. La città è divenuta un punto di riferimento per i pittori e un luogo di incontro per le arti contemporanee, anche nei linguaggi elettronici e digitali. Mumbai ha molti luoghi interessanti, espositivi, commerciali o privati: la Jehangir Art Gallery, pubblica, in cui ci troviamo; o la Chemould Art Gallery, la Delhi Art Gallery, la Mascara Art Gallery, la Tarq Art Gallery. Poi il Kala Ghoda Café, il negozio Filter, l’Artisans sono ottimi luoghi di incontro, dove gli artisti conversano, interagiscono e fanno avanzare i loro progetti di lavoro.
Ligy Mazzola: È questo un fenomeno che si affianca, in questa città, alle linee di produzione artistiche più classiche, che altrove in India appaiono conservare una certa forza?
Nitin Vare: Non credo che la linea più tradizionale sia molto rappresentata a Mumbai. Certo, qui puoi osservare la presenza di moltissime forme culturali; ma il carattere metropolitano della città rimanda soprattutto all’influenza dell’estetica occidentale. E molti turisti stranieri sono attratti proprio dalle sperimentazioni in corso in questo contesto.
Marco Fumagalli: È interessante confrontare le idee di arte e di vitalità del gusto che si osservano nei contesti del vostro lavoro con l’immagine – talvolta appiattita sulla superficiale evocazione di una tradizione indiscutibilmente fascinosa – che dei caratteri estetici di India e Bangladesh si ha talvolta in occidente. Che immagine avete, invece, voi dell’arte e della cultura italiana: prevale la sua componente tradizionale, oppure l’arte contemporanea italiana è conosciuta e studiata in India?
Soma Surovi Jannat: Certo, come cultori dell’arte noi tutti conosciamo la grande tradizione culturale italiana. Che, secondo la mia concezione, prosegue nella migliore produzione contemporanea, che ha in sé tratti di sicuro valore, nutrendosi di quei precedenti. Ma mi rendo conto allo stesso tempo dell’effettiva scarsa attitudine alla valorizzazione dei percorsi artistici in corso. È un fatto che riguarda anche il contesto in cui lavoro, e in fondo risale alla considerazione che talvolta la società riserva all’arte: derubricandola a un’attività non necessaria, e limitando gli spazi di didattica delle arti figurative nelle scuole. È una prospettiva da cambiare, per garantire la vitalità dell’arte e allargarne la conoscenza.
Nitin Vare: La grande arte italiana, soprattutto rinascimentale, è stata oggetto di studio nel mio percorso di formazione al college, e gli stessi musei italiani sono materia di studio. Ho un grande desiderio di approfondimento di queste esperienze, fino alla contemporaneità. Nella quale, in fondo, tendo a riconoscere una sorta di abbandono delle caratteristiche locali tradizionali, e il procedere verso forme simili tra la produzione di luoghi diversi. Tornando al punto, la conoscenza di base dell’arte italiana contemporanea non è così presente in India; così come, d’altra parte, qui la stessa arte contemporanea indiana non è molto conosciuta. Lo sforzo che rimane ancora da compiere – forse ovunque – è l’effettivo raggiungimento di un largo pubblico.
Immagine di copertina: Soma Surovi Jannat, Detail of Painting Installation , Oil on Canvas, size- 8ft x 6ft, 2016