Quando David Foster Wallace scrive del suo Illinois in un saggio raccolto in Tennis, tv, trigonometria, tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più) deve ammettere che qualunque forestiero avrebbe giudicato il Midwest come «vuota piattezza, landa sterile, campi di felci verdi o di stoppie corte e dure come la barba del pomeriggio». Proprio lui che aveva l’Illinois nelle vene tanto da indovinare la traiettoria delle palle da tennis calibrando i calcoli secondo il perenne vento che c’era in quella regione e lamentando il troppo silenzio quando si trovava in trasferta nella East Coast. In effetti il Midwest è una regione che nel cuore dell’America dimostra una varietà geografica non indifferente e genera dubbi anche quando bisogna elencarne gli stati che ne fanno parte.
Negli ultimi anni la narrazione delle grandi città, quella che era venuta dalla claustrofobia postmoderna, è transitata nei nonluoghi fino a stabilirsi in piccole cittadine dove è forte la componente identitaria: le conoscenze reciproche, le tradizioni che tacitamente regolano la vita delle persone, i pregiudizi, la paura per lo straniero.
L’editoria degli ultimi anni ha seguito il percorso tracciando all’interno del Midwest stesso una mappa in cui il lettore può agevolmente orientarsi: il Colorado di Kent Haruf; gli orizzonti tragici di un destino inevitabile nell’epica rurale di Grouse Country di Tom Drury; l’Iowa di Marilynne Robinson dai ritmi lenti e taciturni; fino alle pennellate più blande e romanticamente ambientaliste del Kentucky di Wendell Berry.
Chris Offutt s’inserisce in questo contesto portando con sé sia l’esempio degli autori passati, con echi della southern literature, sia una certa capacità transmediale tra letteratura e scrittura televisiva. Il suo ultimo lavoro, Country Dark, ha il guizzo di una puntata di una serie televisiva e l’intensità di uno stallo alla messicana: pochi dialoghi significativi si alternano a riflessioni e pensieri che i protagonisti celano continuamente dietro un silenzio a cui il lettore avrà accesso solo per poco; sono le azioni e la loro capacità di tramutarsi in sguardi a caratterizzare una vita interiore perennemente in un’impasse tra l’istinto e una pausa della ragione. «Faccia domande dirette, sì o no, e non otterrà nulla. La gente da queste parti non ragiona in questo modo. Una domanda diretta gli farà pensare che esistono risposte corrette e altre che non lo sono» avvertirà un’abitante della città rimarcando lo scollamento tra le verità convenzionalmente riconosciute e la forza immutabile di chi risponde meglio alle tradizioni e alle leggi di natura. Il romanzo si discosta da Nelle terre di nessuno, la raccolta di racconti con cui minimum fax l’ha presentato al pubblico italiano. Proprio qui Offutt è in grado di offrire un quadro completo dei tipi umani del suo Midwest, del modo di vivere e delle credenze degli Appalachi. Offutt stesso, durante la nostra intervista, ha insistito sull’intento fondamentale della sua scrittura.
Nelle tue opere si avverte uno stretto rapporto con la tua terra d’origine, il Kentucky. Tu stesso hai scritto un articolo su Literary Hub in cui noti che la cultura degli Appalachi si è sviluppata come una realtà a sé stante, lontana dal mainstream delle grandi città e che, per questo, ha fatto nascere molti stereotipi. In che cosa consiste un’influenza geografica, come quella della tua terra? Quali sono i valori, le abitudini, ma anche il modo di essere che il territorio ti ha trasmesso quasi per osmosi?
Gli Appalachi sono conosciuti come “disorganizzati” a causa della loro formazione. Tutte le altre catene montuose si sono formate dall’attività sismica, mentre gli Appalachi sono il prodotto di pioggia ed erosione. L’unico modo per oltrepassarli, per andare da est a ovest, è attraverso un passaggio molto stretto. L’espansione degli Stati Uniti verso l’ovest doveva passare a nord o a sud degli Appalachi. È la zona più isolata dell’America.
Le montagne sono sempre presenti, ricche di flora e di fauna. Ci sono animali, piante selvatiche da mangiare e acqua. La foresta è piena di uccelli. Le persone vivono a contatto con la natura, con tutta la sua bellezza e la sua incredibile violenza. Sono più a mio agio da solo nei boschi: la solitudine e la bellezza mi rilassano. Andare nei boschi è come entrare in una chiesa.
Il Kentucky è un territorio complesso, anche dal punto di vista della finzione. Se pensiamo che Breece Pancake solo sull’altro versante degli Appalachi parla di giovani speranzosi, rosi dalla volontà di andare via ma legati alla loro terra da fili invisibili; i tuoi personaggi hanno invece il culto della vita nei boschi, miti e tradizioni di un passato che rispettano, non esitano ad usare le armi. Considerando che Nelle terre di nessuno è uscito nel 1992 e che Country Dark è stato pubblicato quest’anno, com’è cambiata la realtà che racconti? C’è un modo per mantenerla in vita o sarà sopraffatta dalla modernità?
Il più grande cambiamento fisico è l’acqua che arriva dalle città. Il secondo più importante cambiamento è la pavimentazione delle strade sterrate. Tuttavia, Internet e la TV via cavo hanno una grande influenza sui giovani: sono più consapevoli di cosa è assente sulle montagne. Sfortunatamente, la regione sta attraversando un grosso problema con le droghe come metanfetamina, eroina e ossicodone.
Credo che finché ci saranno un buon sistema scolastico e posti di lavoro disponibili questo territorio non sarà sopraffatto dalla modernità, se escludiamo problemi più gravi come le droghe.
Country Dark racconta di Tucker, un veterano della guerra di Corea, che fa di tutto per proteggere la propria famiglia. Molte delle vicende raccontate sono solo accennate per poi non essere mai più riprese, la composizione di alcune scene sembra un piano sequenza western. Ti sei cimentato nella scrittura di romanzi, racconti, memoir ma anche nella scrittura di serie tv. Quanto la scrittura televisiva ha influenzato il tuo stile?
La TV è un medium visuale. Scrivere sceneggiature ha migliorato la mia capacità di pensare in maniera visiva. Quando scrivo vedo i personaggi e il contesto, poi descrivo gli eventi.
Scrivi di personaggi abbastanza risoluti, dalle tinte caratteriali molto nette e con poche possibilità di cambiamento. C’è un rapporto che intercorre tra personaggi e territorio? In che cosa crederebbero i tuoi personaggi se sradicati dalla loro terra?
Sì, c’è una relazione molto forte tra i miei personaggi e la terra. Vale per me e per tutti i miei famigliari e amici. Le persone originarie delle montagne non vivono bene l’allontanamento dalla loro terra. Per me è stato così. Molte persone che se ne sono andate spesso tornano, poi dopo un po’ tornano a casa definitivamente.
Lo stile dei tuoi racconti è stato paragonato a quello di Hemingway, mentre per i temi e i luoghi hai toccato anche Sherwood Anderson. Ma quali sono gli scrittori sui quali ti sei formato?
Mi hanno influenzato entrambi. Ma anche Flannery O’Connor, i romanzi di John Steinbeck, Graham Greene e Robert Stone. La compassione e il senso del paesaggio fanno invece parte di lezioni che ho imparato da Cesare Pavese e Beppe Fenoglio.
C’è un certo fascino che caratterizza le narrazioni del Midwest americano. Ma per te qual è l’aspetto più importante da rappresentare nella tua scrittura?
Cerco di ritrarre le persone degli Appalachi. Non c’è una letteratura dedicata a loro e alla loro cultura. Nel bene o nel male, cerco di descrivere la regione così com’è: dura, tenace, amorevole e bella.