Agi Mishol (Cehu Silvaniei, 1947) è nata in Transilvania (Romania) da genitori ebreo-ungheresi, sopravvissuti all’Olocausto. Vive in Israele dall’età di 4 anni, essendo cresciuta nella cittadina di Gedera, in cui i genitori aprirono un negozietto di riparazioni bici e oggetti elettronici. Laureata in Letteratura ebraica alla Hebrew University of Jerusalem, nel tempo si è affermata – a seguito di innumerevoli riconoscimenti – come uno dei più importanti e amati poeti di Israele, per il suo prezioso arricchimento alla cultura ebraica. Ad ora (2018) ha pubblicato ben 16 raccolte di poesia, tradotte in numerose lingue. In italiano è uscita recentemente la prima opera tradotta, Ricami su ferro (Giuntina, 2017), a cura di Anna Linda Callow e Cosimo Nicolini Coen.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarla questo settembre in un hotel in centro a Mantova, per il Festival Letteratura 2018. Già dai primi sguardi di reciproco “studio”, le sensazioni sono state positive e si è creato facilmente un clima di segreta intesa. L’intervista-dialogo è stata condotta in inglese, lingua straniera per tutti e tre: la poetessa Agi Mishol e noi intervistatori di MediumPoesia, Francesco Ottonello e Michele Milani. Riportiamo l’intervista-dialogo in traduzione italiana.

MM: Leggendo le tue poesie, mi sono chiesto se la capacità di ricordare, di riportare alla memoria del presente una testimonianza, può essere uno strumento che la poesia ha a disposizione per acquisire una voce forte anche nella nostra epoca, caratterizzata da sentimenti politici contrastanti, le cui manifestazioni sembrano sfuggire al nostro controllo.

Sono la figlia di sopravvissuti all’Olocausto e sono stata cresciuta come la risposta a tutto quello che è successo loro ad Aushwitz. Tuttavia non mi hanno mai parlato molto di ciò che è accaduto, anzi, sin da bambina mi hanno insegnato a guardare avanti, piuttosto che indietro. Ho scritto del passato solo dopo la loro morte: se non ricordi nulla del tuo passato, il presente e il futuro appariranno di conseguenza incomprensibili. Perciò la memoria è importante.
C’è da dire che in una poesia dedicata a mia madre, un verso recita: «la tua lingua madre non è la mia lingua madre». È un verso particolare, poiché denota anche una certa distanza, oltre che una comunanza con il mio background. L’ho scritto perché mia madre parlava ungherese mentre solo mio padre era ebreo e parlava la lingua ebraica. Quello che mi preme dire è che mi sento una poetessa di questi giorni, oltre che una poetessa israeliana. Avete ragione quando dite che la situazione politica nel mondo appare sempre più fuori controllo, anche lo stesso Israele si sta radicalizzando sul versante religioso. Israele stesso si aspetta dai poeti che scrivano a proposito della situazione politica. Il poeta che scrive soltanto di fiori e di natura è percepito come uno che sfugge da un impegno necessario. Da parte mia non mi schiero né a destra né a sinistra, ma dalla parte del buon senso, quello di una persona che vuole fare qualcosa di buono.
Non mi considero quindi una poetessa politica, ma – nonostante le mie intenzioni – il mio linguaggio e la mia poesia si trovano ad essere permeabili alla materia politica. Lo accetto e ne sono consapevole, però non metterò mai la mia voce al servizio di qualcun altro.

MM: Hai affermato che ricorderai per sempre la storia della tua famiglia. Vorrei chiederti, in che modo il tuo background entra nel tuo processo creativo? È qualcosa che senti sempre dentro di te, o piuttosto una tensione, una battaglia costante da iterare nel presente?

Ti direi che non è assolutamente una battaglia e neanche una questione su cui mi fermo a rimuginare troppo a lungo. Ho scritto un libro di poesia proprio sulla separazione dalla mia famiglia e ho scritto diverse poesie sui miei genitori, eppure non rappresentano il punto focale della mia ricerca.

FO: Vorrei farti una domanda diretta: qual è il tuo rapporto con il linguaggio e nello specifico con la lingua ebraica?

That’s it! Prima che mi facciate altre domande, vorrei dire che non importa il tipo di poesia che uno scrive o a cui si sente affezionato: la questione primaria della poesia è il linguaggio. Il modo in cui le parole si incastrano creando un contatto elettrico. Puoi dire una cosa in migliaia di modi, ma uno soltanto accenderà la magia. Una poesia può trattare infiniti temi: l’amore, la morte, il ricordo, la natura… però, secondo me, quando si parla di poesia, si deve parlare innanzitutto di linguaggio.

FO: Mi è sembrato che il tuo tentativo porti con sé l’intenzione di connettere una lingua ebraica più antica con un’altra più attuale. Mi piacerebbe chiederti se nella tua ricerca di un linguaggio contemporaneo si possono rintracciare le influenze di altre tradizioni letterarie, magari anche italiane.

L’ebraico è una lingua molto antica. Tuttavia, se un bambino provasse a leggere l’ebraico antico, ci riuscirebbe senza troppe difficoltà. In Israele si leggono i testi sacri in lingua originale sin dalla più tenera età. Con questo voglio dire che l’ebraico è sicuramente cambiato nel corso degli anni – un linguaggio si comporta come un vero e proprio organismo vivente – ma alla base è rimasto lo stesso della Bibbia, nonostante lo slang e l’introduzione di molti neologismi. Una cosa che mi piace fare è combinare tutti gli strati del linguaggio, perché ti risveglia, ti sorprende e apre l’orizzonte dei significati, non solo quello dei modi di dire. È lo stesso processo creativo che impone di giocare con la lingua, bisogna sfruttare ogni possibilità che il linguaggio ci offre per riuscire a dire qualcosa di nuovo.
Riguardo alle mie influenze da altri paesi, negli ultimi anni ho sicuramente letto più traduzioni che poesie nella mia lingua. Questo non solo per avere un assaggio delle altre culture ed esperienze – ovviamente passando attraverso i limiti della traduzione – ma perché è importante sentire che l’ispirazione può provenire da posti lontani. Per quanto riguarda la poesia italiana mi è capitato certamente di leggerla, insieme a quella inglese – a cui posso accedere senza il bisogno di un testo a fronte – e a quella scandinava.

FO: Vorrei chiederti: in Israele esiste un pubblico consistente per la poesia?

Se tirassi un sasso alle mie spalle, colpirebbe un poeta. Ci sono tantissimi giovani che scrivono. Questo non significa avere molti lettori, tanti di coloro che scrivono poesia poi non la leggono. Io sono la preside di una scuola di scrittura poetica. Proponiamo molte iniziative, da workshop a festival, e molti ragazzi vengono da noi per avere esperienza della poesia, non per studiarla, essendo la poesia qualcosa che proviene da dentro di noi, e l’immaginazione una cosa che non si può insegnare. Non tutti diventeranno poeti, ma certamente saranno ottimi lettori. Le tracce della poesia sono vive a Tel Aviv, in cui il dibattito intorno alla poesia è molto acceso.

MM: Quello che hai detto all’inizio mi ricorda per certi aspetti la situazione che si registra in Italia. Si scrive, si pubblica, ma sembra che non si legga abbastanza. Vorrei chiederti: qual è il rapporto tra lettura e scrittura?

Ovviamente sono come gemelle. In ebraico abbiamo una sola parola per indicare entrambe le pratiche, di lettura e di scrittura. Chiunque le separi non riuscirà ad andare avanti più di tanto, non oltre il primo libro. Le pubblicazioni d’esordio sono sempre interessanti, poiché provengono dal fondo del cuore, ma dalla seconda in poi nessuno potrebbe fare a meno del rapporto con l’altro, di assumere una posizione rispetto ad una tradizione.

FO: I nuovi media hanno una fortissima influenza sulla vita delle persone, su come pensano, vivono e agiscono. La poesia può, secondo te, dire qualcosa di più – o di diverso – rispetto ai nuovi linguaggi? Che cosa?

È un’ottima domanda…

FO: Intendo dire, le persone sembrano mostrare un certo “bisogno di poetico”, che però tendono a soddisfare attraverso la fruizione di altri media, o attuando pratiche diverse dalla lettura di libri di poesia. Spesso sento dire che “poetico” è un film, una canzone, una fotografia, un tramonto, e via dicendo. Come ti poni tu rispetto a questo dibattito?

Gli altri media sono più attraenti, più veloci. Tuttavia, ho l’impressione che la poesia sia eterna, lo sarà sempre. Naturalmente è anche vero che bisogna sempre suggerire qualcosa di nuovo. La poesia come un sms è breve. Per certi versi è molto vicina a Whatsapp o Twitter: i segni sono ridotti al minimo e si deve concentrare in poche righe ciò che si vuole dire. Ho 71 anni, ho sentito molte volte che la poesia sta morendo, insieme al libro cartaceo. Non succederà, poiché la poesia mantiene un pubblico e un certo potere. Non sono preoccupata. So che se scrivo due parole ben connesse posso dire di aver speso bene la mia giornata.

MM: Dunque non percepisci nessun “pericolo”…

No. Sono molto fortunata, in Israele la mia poesia ha trovato un ampio riscontro tra il pubblico. Nonostante io capisca l’importanza di questo dibattito, come poetessa non mi sento in pericolo. C’è da dire che questa è solo la mia esperienza, la mia storia. Ovviamente quella di un altro potrebbe essere profondamente diversa.

Per salutarci, ci siamo lasciati con la voce della poesia. Abbiamo chiesto ad Agi se volesse leggerci alcuni suoi testi, per sentire come suonasse la sua originale lingua… Potete trovare l’audio, i testi e la traduzione sul portale Medium Poesia.