Al Festivaletteratura di Mantova abbiamo incontrato Vittorio Lingiardi, psichiatra, psicanalista, saggista e poeta. Abbiamo discusso con lui di poesia, a partire dalla sua prima raccolta La confusione è precisa in amore (Nottetempo, 2011), attraverso il suo ultimo saggio Mindscapes. Psiche nel paesaggio (Raffaello Cortina, 2017), ed affrontando anche il tema dell’omosessualità e dell’omoerotismo in poesia.
Ottonello: Nel tuo ultimo saggio esplori il macrotema del paesaggio e le sue connessioni con la mente, coniando il termine mindscapes. Durante l’incontro (Il paesaggio dentro di noi) hai citato anche il poeta Andrea Zanzotto, a proposito del neologismo “paesaggire”, ovvero capire cosa ci circonda attraverso uno sguardo che entra nel paesaggio e in quello che ci può dire. Da qui una prima domanda: il tema del paesaggio rientra anche nella tua poesia e, se sì, in che modo?
Lingiardi: Dunque, le mie poesie sono piccole, corte e in effetti spaziano poco nel paesaggio inteso come paesaggio che ci circonda. Però, individuano quel paesaggio che forse è quello che mi è più caro: quello del corpo, nello specifico del volto umano. Mi hanno fatto notare – io non me n’ero accorto – che nelle mie poesie ricorrono molti termini dell’anatomia. Un po’ forse dipende dal fatto che li ho assorbiti nella mia formazione di medico. Polpastrello, lobo, tibia, naso, sopracciglio, palpebra, sono parti del paesaggio a me più caro. Io sono uno che a volte – rischiando di prendere un “che vuoi da me” – si sofferma, si incanta a guardare le facce, il modo di camminare, i particolari, i dettagli delle persone. La gente è un paesaggio in cui sono costantemente immerso. E credo che questo sia qualcosa che appartiene a una dimensione poetica dello stare al mondo: l’incantarsi, l’appassionarsi. Esattamente come ci si può appassionare ad una citazione di un bel libro, ad un sasso o ad una foglia. La mia dimensione poetica entra in una specie di “creaturalità” umana e naturale del paesaggio. Tutto questo è una grande compagnia ed anche una sorgente sensuale di attrazione – direi più antropologica che estetica – nei confronti del paesaggio che c’è attorno a me, attorno a noi. Sono rimasto molto colpito da un piccolissimo passaggio di Roland Barthes, in L’impero dei segni, in cui racconta il suo viaggio in Giappone e dice una cosa bellissima, che condivido pienamente: per noi occidentali tutti gli orientali si assomigliano, ma se cammini in una strada o in un mercato di Tokyo, vedi una faccia da luna piena, delle orecchie rosse, delle labbra sottili, delle palpebre trasparenti. Ecco di nuovo questa varietà incredibile del paesaggio umano che si trasforma nella poesia.
Ottonello: Vista la tua professione di psichiatra e psicanalista, vorrei chiederti se secondo te la scrittura poetica ha a che fare con un processo mentale o cognitivo peculiare.
C’è un po’ di letteratura su questo argomento. Nel senso che, sembrerebbe che non tutta la poesia, ma la poesia che fa del suo testo qualcosa che prevede una metrica, una rima, un ritmo, sia una forma estremamente coerente, economica e rapida di conoscenza e di esperienza e di elaborazione sul mondo. Quindi sicuramente credo che lo sguardo poetico e l’elaborazione del verso, la sua costruzione, siano un elemento propriamente neurale – più che cognitivo – proprio per la capacità di creare, sintetizzare significato e immagine in un modo che è preconscio, precognitivo nella sua prima apparizione, oltre che tecnico.
Ottonello: Nella tue raccolte poetiche è molto presente la figura retorica dell’ossimoro, già a partire dai titoli. Il testo che dà il titolo alla tua prima raccolta di poesie, ad esempio, si concentra sul tema della confusione, su quello del corpo e del sonno. Mi chiedo in primis che cosa intendi per confusione, in particolare da dove nasce l’interessante espressione ossimorica La confusione è precisa in amore?
I miei titoli sono sempre ossimorici. In questa silloge ho scelto “la confusione è precisa”, mentre nella successiva Alterazioni del ritmo (Nottetempo, 2015). È come se sentissi il bisogno di creare una precisione, una disciplina, a una materia – fondamentalmente la materia amorosa – che è confusa e indisciplinata per definizione. Questo forse ha a che fare con il mio carattere, con una propensione ossessiva a organizzare un materiale che è incandescente. Credo che proprio questo rapporto tra la disciplina – non intesa in senso troppo autoritario, ma come costruzione di un ordine e produzione di un ritmo – e l’elemento totalmente selvatico, istintuale, incoercibile, consista nel dialogo che sostiene, in parte, la mia vita e spero anche la mia poesia. Non a caso ho scelto di riportare nella mia raccolta un esergo di Robert Frost: a poem is an arrest of disorder. Da notare che nella diagnostica psichiatrica il disorder è proprio il disturbo mentale. La poesia può fermare, può sospendere per un attimo questo disturbo, questa confusione, questo caos. Non possiamo fare a meno del disordine, ma nemmeno di trovare un senso, un ordine.
Ottonello: Una domanda a partire dal tema dell’omosessualità e dell’omoerotismo. Oltre ad essere antologizzato nel volume di poesia omoerotica di Luca Baldoni Le parole tra gli uomini. Antologia di poesia gay italiana dal Novecento al presente (Robin, 2012), hai scritto numerosi libri e saggi su questo tema. Mi chiedevo a riguardo se secondo te è possibile trovare una ricorrenza di specifici motivi, oltre che una connessione tra gli autori. In qualche modo è possibile rintracciare una sorta di “canone omoerotico” nella poesia moderna e contemporanea?
Io penso che parlare dell’esperienza amorosa, in generale – non starei a fare delle particolari declinazioni – implica confrontarsi con dei motivi che sono al tempo stesso universali: il fanciullo, la fanciulla, l’amore lontano, quello rubato, quello coniugale. Basta pensare all’amore nella poesia di Montale, a Lina di Saba, alla mosca e all’amore trovato in un angioletto in fondo alla platea di Sandro Penna. Ci sono una varietà di amori che a loro volta ricadono in motivi ricorrenti, ma al di là dell’eterosessualità e dell’omosessualità. Quando amiamo siamo unici e allo stesso tempo estremamente prevedibili, in quanto attraversati da esperienze universali. La poesia in fondo è questo: cercare di tradurre in una voce unica un’esperienza universale. Però, ad esempio, credo che la lirica omoerotica di Saba e di Penna – che mi hanno molto influenzato – sia una tipologia che ritroviamo di sicuro in quella greca e che ha a che fare con l’esperienza di un amore che si realizza in un secondo, a testimonianza della sua impossibilità. Se pensiamo però a tanta altra poesia, per esempio a certa poesia di Auden o di Pasolini, ci muoviamo su altri territori, quindi non credo si possa parlare di canone unico. Però credo che ci siano dei motivi che ritornano, come d’altronde in tutta la poesia amorosa in generale.
Per salutarci, ci siamo lasciati con la voce della poesia. Abbiamo chiesto a Vittorio se volesse leggerci alcuni suoi testi. Potete trovare l’audio delle letture con i testi scelti dal poeta sul portale MediumPoesia.