Sugli autobus di Bucarest anche le belle ragazze leggono libri dalle copertine sobrie, minimali, non sfacciate che si vedono normalmente in spiaggia o in metropolitana. Difficile capire i titoli senza conoscere il rumeno. Bucarest è una città pienamente occidentale, globalizzata, veloce. Le esperienze politiche della Romania sono state uniche rispetto a quelle degli altri paesi dell’est. Quella di Nicolae Ceaușescu, pur essendo stata una dittatura, lo era in modo inedito, perché libera rispetto alle ingerenze russe, per questo la Romania, in piena Guerra Fredda, è stata una nazione ben voluta dal blocco occidentale, come dimostra la storica visita di Jimmy Carter al presidente/sovrano rumeno, unico governante dell’est Europa ad ospitare un presidente degli Stati Uniti.
Molti giovani si incontrano sui mezzi e sulle strade, puliti, pettinati, con un ottimo senso estetico. Sono vestiti sobriamente, con un pizzico di contemporaneità, quella che solo i centri commerciali sembrano poter garantire. I giovani di Bucarest camminano svelti, con le loro cuffie di tutte le forme e colori; oppure fluttuano sui loro monopattini, mentre serpeggiano tra la folla negli ampissimi marciapiedi di memoria socialista. Quasi tutti tra le mani conservano qualcosa da mangiare o da bere. Ecco, mangiare o bere mentre si cammina è un costume tipicamente occidentale. Smartphone in una mano e bibitone caldo o panino nell’altra, i romeni, o rumeni, passano davanti alle stordenti insegne colorate di Burger King, Sephora, H&M, Calzedonia, Starbucks, Subway.
I commercianti di Bucarest hanno colto perfettamente questa fretta nel pranzare: sono molti i chioschi che vendono panini non troppo elaborati da portare in giro e da mangiare subito. Durante l’ora della pausa pranzo si formano file che ostacolano il passaggio dei pedoni. Nei supermercati è raro trovare persone che si muovono verso la cassa con i sacchetti pieni, tutti hanno in mano una bottiglietta d’acqua e una vaschetta di plastica di cibo pronto. Ci sono grandi banchi frigo che espongono insalate russe, burger, strane varianti di lasagna. Il supermercato di Bucarest non è in questo molto diverso da quello di Londra, mancano solo le riviste scandalistiche.
Il consumo si consuma per strada. Sì, ma il socialismo? Il popolo della Romania dà l’impressione di essere disinteressato alla storia recente del proprio paese, non si percepisce nostalgia, appunto, ma nemmeno un totale rifiuto. Già l’esecuzione in diretta tv di Nicolae Ceaușescu e sua moglie era sembrata una farsa, una condanna al culto della personalità del presidente, alle sue ville stravaganti più che alla sua politica, che all’inizio era ben voluta dal popolo proprio per la sua distanza dall’URSS. Il socialismo è nei vialoni a sei corsie stracolmi di auto che seguono il flusso, frenetiche come i pedoni, è nel mastodontico palazzo del parlamento, sorprendentemente il secondo palazzo più esteso del mondo dopo il Pentagono. Il socialismo ha lasciato un ricordo nell’urbanistica incerta, nei palazzoni rovinati a ridosso del centro storico. Il mio alloggio è in uno di questi: fuori l’edificio è imponente e degradato, con scritte sui muri e minacciosi aloni neri. Dentro è lo stesso, un ascensore sgangherato mi accompagna fino al pianerottolo, dove percorrendo un corridoio di muri scrostati e ammuffiti si arriva al portone. Aprendolo la sensazione è strana, si viene sommersi subito dal bianco del nuovissimo arredamento Ikea e si viene quasi accecati dall’aria lasciata dai detersivi. Lavatrice, due televisioni con Netflix incluso, James Dean grande sopra il divano che ti fissa.
Fuori il traffico è letteralmente incessante, con le sirene che di frequente fanno intimidire i clacson e rimbalzano sulle pareti dei palazzi. L’occidente rumeno, o romeno, è anche in tv. Gli spot pubblicitari mostrano un notevole lavoro di produzione, sono fatti bene tecnicamente, sembrano cortometraggi americani. Non presentano la fotografia dello spot, piatta e monocromatica, ci sono sfumature, c’è profondità. Becco una soap indiana e qui inizia lo spasso, ovviamente dopo le domande sul perché ci fosse una soap indiana sulla tv rumena, o romena, dal momento che non ho visto indiani in giro. Comunque, la soap narra di uomini e donne dell’alta borghesia che trascorrono la puntata in sfarzose ville post-coloniali a fissarsi increduli, accompagnati da una invadente epica colonna sonora. La maggior parte dei prodotti televisivi in Romania sono in inglese (lingua madre dell’Occidente) con i sottotitoli; questo giustifica l’uso fluente che ne fanno la donna di età avanzata che vende i biglietti alla stazione, o il signore gentile del negozio di souvenir nel cuore di Lipscani.
Lipscani è la zona più piacevole di Bucarest, è il suo centro storico. La città vecchia è chiusa al traffico e si sviluppa su una specie di collinetta che ricorda vagamente Montmartre. Tutto il quartiere ricorda l’omologo parigino, ci sono ristoranti, negozi di souvenir, belle chiese e palazzi storici anche se i franchising di Starbucks e H&M tolgono un po’ di poesia, come nella maggior parte delle capitali europee. La sera tutti i locali sono pieni non di turisti, ma di giovani autoctoni che si muovono qui dal vicino quartiere universitario. La mia attenzione è rapita dalle sedie. Ce ne sono veramente di tutti i tipi e ogni ristorante manifesta una grandissima cura nell’arredamento interno ed esterno. Ristoranti italiani, greci, libanesi, giapponesi non sembrano attività di incerta natura piantati in una capitale straniera, ma sono delle vere e proprie ambasciate, con i loro cantanti, le loro scritte sui menu, il loro colore. A fatica la sera si riesce a camminare liberamente, bisogna muoversi compatti tra quelli che hanno trovato posto, i beati, e tra i nervosi ancora in piedi.
A Lipscani ho provato a mangiare romeno, o rumeno, e non è stato male. Consumano un’enorme quantità di carne, come testimoniano i copiosi animali squartati che si possono trovare in quel labirinto che è il mercato cittadino di Obor. Spezzatino e polenta, straccetti, bistecchine, tutto nella norma, è una cucina rapida. Una piccola delusione l’ha provocata il Papanasi, dolce tipico. Cercando sul web cosa avrei dovuto assaggiare, mi sono imbattuto sul commento di una persona che scriveva di essere partito dall’Italia per assaggiare il suddetto Papanasi. Si tratta di pasta fritta, tipo quella delle ciambelle, coperta da un formaggio liquido dolciastro, ma pur sempre formaggio e marmellata ai frutti di bosco. Sarà stata colpa del ristorante, ma il mio stomaco ne ha risentito molto e la folle notte a Lipscani si è interrotta presto.
Può stupire il rapporto che hanno i romeni, o rumeni, con il verde. I parchi cittadini sono numerosi, vasti e ben curati. Al loro interno colpiscono i labirintici giochi per bambini, le attrezzature sportive, i giardinieri sempre al lavoro, i tantissimi secchi per l’immondizia, i bagni pubblici. Ecco Bucarest è una città pulita. Ci sono i piccioni, certo, ci sono anche angoli di degrado come bancarelle di sudiciume gestite da loschi figuri senza una gamba, ma sono rari; l’impressione è che tengano molto all’igiene. Il bagno pubblico, che per noi è quasi tabù, a Bucarest è una costante. Quello che ho provato nel bellissimo Museo del Villaggio, un parco dove sono riprodotte fedelmente le abitazioni dei locali dall’antichità ai giorni nostri, è stato un bagno a monete completamente automatico.
Bucarest è una Roma in un universo parallelo, una città che ha virato con maggior decisione verso Occidente, verso il globale, non gravata dal peso della nostalgia e dal timore del cambiamento. Non è una capitale da fare invidia, non ci sono molte biciclette e ogni tanto la famosa cicca per terra si trova. Una città che sfreccia in monopattino sui marciapiedi, con le cuffie bluetooth alle orecchie e viene lasciata passare ai semafori da numerosi automobilisti, arrabbiati come i romani, ma gentili come i rumeni. O romeni.