[Ringraziamo per questa intervista, oltre all’autore, Martino Baldi e l’organizzazione del festival L’anno che verrà. I libri che leggeremo di Pistoia, dove abbiamo potuto incontrare Eugenia Dubini, di NN editore]
Eugenia Dubini, la prima domanda che le faccio, in qualità di editore di NN, una piccola realtà che in breve tempo è riuscita a crescere e a imporsi all’attenzione generale, è: qual è il ruolo dell’editoria indipendente oggi? A cosa può ambire?
Il ruolo a cui si ambisce facendo una casa editrice dovrebbe essere quello di raggiungere i lettori. Ci sono molti segnali positivi per l’editoria indipendente, segnali che non limiterei solo all’editoria, ma li estenderei anche alla rinascita delle librerie indipendenti, un fenomeno in crescita un po’ ovunque in Italia, soprattutto negli ultimi anni. Noi siamo nati nel 2015, anno cruciale per la crisi dell’editoria, ma esistiamo anche sulla base di una scommessa. Si dice da tantissimi anni che l’Italia è un paese che non legge, nonostante i dati invece fotografino una realtà molto più complessa, con pochi lettori forti ma molto più forti che in altri paesi, e una mancanza importante di lettori occasionali o deboli. Ciò su cui noi abbiamo puntato è il sentore che stesse avvenendo una rivoluzione silenziosa della lettura, che stesse riportando al centro del discorso il libro e la lettura. Questo fenomeno si vede chiaramente on line, per le numerose comunità che si riconoscono e incontrano intorno ai libri, ma anche off line, per l’ampia diffusione dei gruppi di lettura, organismi viventi e indipendenti che in Italia, diversamente da tanti altri paesi, leggono non solo classici ma anche libri importanti della contemporaneità. È proprio su questi lettori che abbiamo puntato, con tutti gli strumenti di comunicazione in nostro possesso, e costruendo un catalogo in serie e non in collane, scomposto per temi, che proponesse percorsi di lettura e di ricerca nel contemporaneo. Dunque, l’obiettivo per noi fin da subito è stato quello di costruire un’identità di editore in relazione con l’identità dei lettori; è su questa idea che abbiamo cercato di modellarci e anche questo è stato un percorso in fieri. Abbiamo certamente puntato inizialmente sulla narrativa anglofona, americana soprattutto, ma da quest’anno, ad esempio, ci stiamo concentrando molto su una particolare linea di prosa italiana che è stata immediatamente colta dai lettori.
Cosa vuol dire fondare una casa editrice indipendente nel momento in cui l’editoria ha la tendenza alla concentrazione in grandi gruppi? Quanto sono importanti, soprattutto per una indipendente, aspetti come il lato comunicativo e quali sono le difficoltà maggiori di questa esistenza?
Mi viene da dire che, in verità, rispetto alla necessità che, come editori, abbiamo di comunicare il nostro prodotto ai lettori, la nostra potrebbe essere definita anche un’editoria “dipendente”, cioè un’editoria in relazione, non certo intesa in senso servile. Gli scogli comunicativi sono certamente importanti, partendo dal fatto che il libro è un oggetto la cui comunicazione di per sé non è esaustiva rispetto a ciò che è il prodotto. Si cerca di comunicare con ogni mezzo “esterno”, l’“interno” del libro. Parlo del titolo, dei paratesti, della copertina quale identità visiva e via così. L’idea, come ogni strategia comunicativa, è quella di avvicinare le componenti della piramide, dove ai vertici ci sono editori, autori, redattori, critici, giornalisti e poi alla base i lettori, scommettendo anche sul fatto che da parte della base ci sia interesse a capire e conoscere il lavoro editoriale e il progetto. Noi abbiamo una persona che si occupa nello specifico della comunicazione dei libri e della nostra identità di editori sui social media, cosa che non è comune a tutte le case editrici e pubblichiamo colonne sonore legate ai nostri libri, ad esempio. Ma al di là dell’on line, abbiamo da subito lavorato a stretti contatto con tutti gli attori della filiera, i mediatori, che consideriamo alleati perché condividiamo l’obiettivo di riuscire a parlare del libro prima ancora che il libro esista e venga letto. Chiaramente, avendo una struttura da editore di progetto, non abbiamo mai avuto un numero di uscite annue paragonabile a quelle degli editori maggiori, nonostante noi per primi si sia passati in poco tempo da 13 a 20 libri all’anno. Il fatto è che una struttura di questo tipo, ancora abbastanza artigianale, non può reggere un numero maggiore di uscite, se non rinunciando a qualche aspetto della comunicazione e anche a qualche parte della cura e attenzione necessarie al lavoro editoriale.
È indubbio il successo del progetto di NN come casa editrice. Quando siete partiti quale spazio all’interno del panorama culturale vi eravate prefissati di raggiungere e quale ritenete di aver raggiunto?
Nonostante alla base di NN ci fosse l’idea di non voler indirizzare il nostro progetto solamente a pochi, non avremmo mai pensato a una penetrazione di queste proporzioni e così rapida. È chiaro che il nome di Kent Haruf ha stravolto le nostre prospettive. Forse si può definire fortuna, ma non mi piace molto come definizione, perché toglie merito al lavoro fatto. Anche perché il modo in cui Haruf si è diffuso tra i lettori è stato progressivo, un libro dopo l’altro. Ci sono stati dei punti di svolta, che ci hanno richiesto innovazioni e diversi strumenti di marketing e comunicazione che non avevamo mai utilizzato prima. All’inizio, ad esempio, non avevamo pensato di utilizzare spot radiofonici o non avevamo idea che saremmo riusciti a creare una serata al Teatro Franco Parenti di Milano. Tutto questo è stato un apprendimento in fieri, che ha cambiato le prospettive e intensificato le domande, le aspettative, lo sviluppo del progetto. Come succede a ogni successo editoriale che accade in seno a una casa editrice indipendente, poi si è anche posto il tema di smarcarsi dall’etichetta, quella di essere solo la casa editrice di Haruf, cosa che può togliere visibilità ad altri titoli e al progetto complessivo.
La storia di NN è strettamente legata alla figura di Kent Haruf. La trilogia di Holt prima e Le nostre anime di notte dopo (l’esordio di Haruf, Vincoli è uscito a novembre 2018) hanno inciso un forte segno sulla ricezione delle tendenze della narrativa americana contemporanea e dei suoi temi, dalla creazione di mondi verosimili alle epopee familiari (penso a Drury e a Panowich). Quando avete acquisito Haruf sapevate di avere in mano un autore che vi avrebbe permesso questi risultati o in un certo senso è stata una sorpresa anche per voi?
Quando mi sono trovata tra le mani Haruf non avevo certo pensato al successo che avrebbe potuto portarci. Ho semplicemente pensato che fosse un libro meraviglioso, con un messaggio che in quel momento di grande crisi comunicava una fiducia nella dignità dell’uomo, nella sua capacità di risollevarsi dal baratro; insomma sono stata convinta in qualità di lettrice. Devo dire che secondo me – ma i dati di lettura lo confermano – Haruf era forse in anticipo sui tempi nel momento in cui si era presentato sulla scena letteraria, mentre in Italia è arrivato in un momento in cui la sua leggibilità era diventata alta. Ai tempi in cui era uscito in America noi eravamo ancora impegnati a leggere un altro genere di autori americani. Non ti dico di quante centinaia di volte sono state superate le previsioni migliori che ci eravamo fatti grazie alla sua trilogia.
E come funziona il criterio di selezione degli altri autori?
La selezione avviene tra le proposte che ci vengono fatte da agenti, editori e autori. Non lavoriamo con gli scout, per adesso, e frequentiamo le maggiori fiere di diritti, Francoforte e Londra, ma abbiamo progetti da sviluppare in altre parti del mondo. Costruire un identità di proposta e di catalogo ex novo significa scegliere autori e libri che in qualche modo siano in relazione tra loro, e questo genera una circolo virtuoso– è accaduto as esempio con Drury, che, dopo Haruf, ci ha dato subito i diritti sull’intera trilogia. Il tentativo è da un lato confermare ciò che facciamo, dall’altro rinnovare il panorama e aprire ad altre proposte. Bull Mountain di Brian Panowich, ad esempio, si discostava leggermente dai libri che avevamo proposto, ma come crime letterario abbiamo scommesso che potesse arrivare a lettori amanti di quel genere; lo stesso può dirsi per La mia vita è un paese straniero di Brian Turner, un memoir sulla guerra. L’intenzione è parlare sempre di più a lettori diversi e tracciare una direzione nuova da seguire. Siamo ancora a un punto, mi sembra, in cui i contenuti imprimono la direzione da seguire.
Tra queste nuove direzioni rientra un altro versante recente ma molto importante per la casa editrice, cioè i giovani autori italiani. Penso al successo di Camurri o alla recente pubblicazione di Forgione. Qual è la linea della vostra narrativa italiana, cosa dobbiamo aspettarci nel futuro prossimo e a cosa guardate per le vostre scelte?
Gli italiani li abbiamo fatti fin dall’inizio, sia pubblicando un esordiente ogni anno, sia creando serie a tema, come Viceversa – dove abbiamo pubblicato Panorama di Tommaso Pincio, ad esempio – e oggi CroceVia – acco pagnata da Alessandro Zaccuri, dove è uscito Di ferro e d’acciaio di Laura Pariani. Queste serie a tema sono state strutturate attorno ad un dibattito, legato alla ricerca di identità. Ma a un certo punto ci è sembrato essenziale affrontare anche le proposte di narrativa italiana strutturandole in un progetto specifico. La svolta si è verificata con la pubblicazione di A misura d’uomo, di Roberto Camurri, il primo autore esordiente italiano che abbiamo inserito nel progetto Gli innocenti. Mentre lavoravamo al testo di Camurri, abbiamo ricevuto la proposta di Alessio Forgione in lettura, e per me quel momento è stato come una congiunzione. I due, insieme, hanno generato una specie di reazione chimica, indicando la direzione che avremmo voluto seguire e la ricerca che stavamo portando avanti. E così è nata la collana degli Innocenti creata anch’essa per comunicare in maniera chiara ai lettori una ricerca di voci italiane che rivelassero la confusione etica in cui siamo immersi oggi.
Cosa bolle in pentola?
Il 2019 è già strutturato e sono molto contenta del parco titoli che abbiamo messo insieme. Solo per fare qualche nome, inizieremo con una nuova autrice italiana, Chiara Marchelli, con La memoria della cenere. Proseguiremo nella pubblicazione dei libri di James Anderson, e inizieremo una nuova serie di Daniel Woodrell. Uscirà il secondo libro di Jesmyn Ward, Canta, spirito, canta, e poi proporremo la terza innocente, Serena Patrignanelli, con La fine dell’estate.