Chi era Lucia Berlin?
Nata nel 1936, passò l’infanzia seguendo il padre, ingegnere, in varie città degli Stati Uniti e trovò una sede parzialmente stabile solo nel 1941 a El Paso, in Texas. Dopo la seconda guerra mondiale si trasferì in Cile, dove trascorse tutta l’adolescenza e imparò lo spagnolo. A vent’anni si trasferì di nuovo, prima in New Mexico, dove si era iscritta all’università e poi a New York. Nel frattempo, si era già sposata due volte e aveva avuto due figli dal primo matrimonio. Per guadagnarsi da vivere lavorava all’università, insegnando spagnolo. Dopo New York, la tappa successiva fu il Messico, dove andò a vivere con quello che poi sarebbe diventato il suo terzo marito: Buddy Berlin. La coppia rimase insieme dal 1961 al 1968 ed ebbe altri due figli. A questo punto Lucia aveva circa trent’anni e quattro figli a cui badare, perciò negli anni successivi svolse una serie di lavori per mantenere la sua famiglia: insegnante, centralinista, donna delle pulizie, infermiera. Nel frattempo scriveva i racconti che la fecero conoscere in un ristretto circolo intellettuale e negli anni ’90 ottenne un incarico come insegnante di scrittura creativa alla University of Colorado, dove rimase per sei anni. Come nel resto del mondo, anche in Italia il suo successo è molto recente: si è iniziato a parlare di lei solo nel 2016, quando Bollati Boringhieri ha pubblicato l’altra raccolta La donna che scriveva racconti (titolo originale A Manual for Cleaning Women).
Perché elencare tutte queste informazioni sulla vita di un’autrice quando ci si appresta a scrivere della sua opera? Perché cercare un nesso tra fatti realmente avvenuti e invenzioni di fiction quando, come direbbe Calvino, “di un autore contano solo le opere”? Questa breve biografia non vuol essere una curiosità da gossip ma la premessa necessaria per analizzare meglio i racconti che compongono la raccolta Sera in paradiso, visto che ognuno di essi sembra tratto da un episodio della vita dell’autrice. Protagoniste dei suoi racconti infatti sono: ragazzine americane in Cile che accompagnano il padre nei salotti buoni del luogo (Andado, Romanzo Gotico); ragazze che prendono voli intercontinentali per iscriversi all’università del New Mexico (Itinerario); giovani donne con figli a carico e trascurate dal marito (La casa di Argilla con il tetto di lamiera); infermiere che osservano l’umanità dolente intorno a loro (Figlie). Il valore del libro però va oltre questo dato di fatto: nonostante le storie prendano chiaramente spunto dalla sua vita, quando non la imitino pedissequamente, in ogni racconto c’è spazio anche per gli altri personaggi, e le voci di questi ultimi sono tutte espresse vividamente. Si veda ad esempio il racconto omonimo Sera in paradiso in cui si descrive la vita dei frequentatori di un albergo messicano, la cui routine viene sconvolta dall’arrivo di divi del cinema americano che stanno girando un film in zona. In un affresco di gruppo osserviamo il variopinto insieme di gigolò, spacciatori, baristi e semplici curiosi che circondano l’evento, con una rappresentazione arricchita da numerosi inserti in spagnolo. Non sempre comprensibili, va detto, ma comunque significativi, in quanto espressione dell’incontro tra i due mondi di cui Berlin è stata protagonista e testimone diretta. La lingua e la cultura spagnola ritornano anche in altri racconti, fin dal titolo: Sombra ad esempio, è ambientato in Messico durante una corrida e contrappone la brutalità della manifestazione con un dramma privato a cui la protagonista assiste dagli spalti, in una confusione di vita e morte; ma oltre a questo troviamo anche il già citato Andado, La barca de la illusión, Luna nueva.
Un altro elemento comune ai testi è la compresenza nelle storie e nei personaggi di dolore e comicità, di forza e di debolezza, di banalità e di inventiva, in una parola: di vita. E a rendere così vitali e veritiere certe storie non basta l’ispirazione autobiografica, ma è necessario anche un grande talento, quello capace di passare senza scosse da un’emozione all’altra, restituendo così una piena impressione di vita. Come nel racconto Le mogli in cui due donne si ritrovano per (s)parlare del comune ex-marito, in un miscuglio di disprezzo e nostalgia per i tempi andati:
«Non c’è mai stato un uomo come lui. Mai una volta che scorreggiasse o ruttasse».
«Ma sì, Decca. Lo faceva spesso».
«Be’, non mi hai mai dato sui nervi. Sei venuta qui solo per farmi arrabbiare. Tornatene a casa!»
«L’ultima volta che mi hai detto di tornarmene a casa eri a casa mia».
«Davvero? Be’, allora vado a casa io».
Laura si alza per andarsene. […] Decca si sporge e le bacia l’orecchio.
«Poi ti accarezza il capezzolo con il palmo della mano».
Lo fa a Laura. «Poi ti volti verso di lui, ti afferra la testa e ti bacia sulla bocca». Ma Laura non si muove.
«Sdraiati, Laura».
Laura incespica e si lascia cadere sul letto coperto di visone. Decca spegne la lanterna e si stende anche lei. Ma si danno le spalle. Ognuna aspetta che l’altra la tocchi come faceva Max. C’è un lungo silenzio. Laura piange, piano, ma Decca scoppia a ridere e le dà una pacca sul sedere.
«Buonanotte, stupida culona»
Lo stile è quindi ciò che rende davvero speciali storie che sono in fondo normali, anche un po’ prevedibili per chi conosce la biografia di Berlin. La sua scrittura unisce alcuni espedienti apparentemente da romanzo di consumo, come il frequente ricorso ai puntini di sospensione, a tecniche tipiche della short story americana codificate da Hemingway e Carver, come l’inserimento di numerosi personaggi senza un’adeguata presentazione; il risultato è del tutto funzionale al racconto, perché alla fine della lettura la variegata umanità presentata lascia un’impressione caotica ma efficace. Questo libro quindi non regala alcun personaggio memorabile, nessun nome o azione particolare da tenere a mente, ma restituisce un caleidoscopio di comportamenti che, uniti insieme, esprimono le sfaccettature della natura umana:
Il giorno del funerale, mi permisero di uscire da scuola. Avrei potuto non andarci, ma c’era un test di chimica alla seconda ora. Dopo mi tolsi il grembiule e mi diressi al mio armadietto. Ero molto solenne e coraggiosa.
Ci sono cose di cui la gente non parla. Non intendo le cose difficili come l’amore, ma quelle imbarazzanti, come il fatto che i funerali a volte sono divertenti o che è eccitante guardare bruciare gli edifici. Il funerale di Michael fu magnifico.
In questa selezione però c’è spazio anche per qualche racconto con una trama più stravagante, come Il tempo della fioritura dei ciliegi in cui una donna che trascorre le sue giornate con il figlio in preda alla routine più banale, decide di tormentare il postino del quartiere per movimentare le sue giornate. Oppure Noël, Texas 1956 in cui, per sfuggire all’assalto dei parenti a Natale, la padrona di casa decide di compiere un gesto inconsulto:
«Tiny è sul tetto! Tiny è sul tetto!»
Non parlano d’altro là sotto. Va bene, sono sul tetto. Quello che non sanno è che potrei non scendere più. Non volevo essere così drammatica. Mi sarei limitata ad andare in camera mia e sbattere la porta, ma in camera mia c’era mia madre. Allora sono uscita sbattendo la porta della cucina. E c’era una scala, fino al tetto.
Anche in questi casi però il tono di chi racconta la storia, che sia in prima o in terza persona, è sempre lo stesso: soffuso, elegante, la voce sempre controllata. Questo forse è ciò che meglio definisce la scrittura di Lucia Berlin: una voce peculiare. Data la sua peculiarità può non piacere a chi preferisce toni più accentuati o una sintassi più elaborata; di certo però sarà apprezzata da chi ama le storie realistiche raccontate con grazia ed eleganza, senza eccessi.
Lucia Berlin, Sera in paradiso, Bollati Boringhieri, Torino 2018, 280 pp. 18,00€