A qualche mese di distanza dalla bella colonna sonora per il remake del film Suspiria di Luca Guadagnino, Thom Yorke ritorna con un nuovo riuscitissimo album, Anima, dalle tinte malinconiche e spirituali, dove, nella cupa desolazione del mondo moderno, sembra disegnarsi la fragile possibilità di uno spiraglio di speranza. Che la speranza si identifichi nell’anima, declinata nel senso junghiano del termine, con riferimento all’inconscio, all’emotività e alla spiritualità, alla parte femminile che alberga in ogni uomo, è più che evidente. Del resto, questo nuovo lavoro solista del frontman dei Radiohead ruota quasi interamente intorno all’elemento femminile e alla possibilità di uscire da un presente angosciante e opprimente attraverso un salvifico incontro amoroso.
Quest’idea è anche al centro del cortometraggio di Paul Thomas Anderson che accompagna l’uscita dell’album di Thom Yorke, disponibile su Netflix. Thom Yorke, quasi come Buster Keaton in Film di Samuel Beckett, deve confrontarsi con l’assurdità di un mondo in rovina, crepuscolare, popolato da un’umanità anonima e automatizzata. Se nel mondo di Beckett non sembra esserci alcun riscatto possibile, nel cortometraggio di Anderson, il delicato e problematico incontro amoroso sembra essere l’unica possibilità di dare un senso alla sconfortante realtà che ci circonda.
Il cortometraggio, nonostante l’originale coreografia di Damien Jalet e la tenera complicità tra Yorke e la sua nuova compagna, l’attrice italiana Dayana Roncione, risulta, tutto sommato, poco ispirato ed abbastanza noioso.
Non è il caso dell’album, che vede la collaborazione, in veste di produttore, dell’ormai fedele Nigel Godrich. Anima colpisce per la sua trattenuta emotività, il suo coniugare felicemente la freddezza elettronica delle macchine all’esitante emergenza della sensibilità umana.
L’album si ricollega all’electro sperimentale che aveva caratterizzato i precedenti lavori del cantante, in particolare The Eraser, e si configura quasi come un ritorno alla musica elettronica della fine degli anni ‘90, quella dei Bords of Canada e di Aphex Twin. Il risultato è comunque più maturo, complesso senza essere troppo cerebrale, con delle linee vocali più elaborate che si adagiano perfettamente sui nove pezzi che compongono l’album. Se l’atmosfera generale è quella di una quasi riappacificata, sommessa malinconia, le nove tracce spaziano tra danzanti ritmiche techno e avvolgenti tappeti sonori, sui quali si inseriscono melodie minimaliste e futuristiche, come in Not the news. In mezzo a questo oceano sonoro, dai ritmi meccanici e martellanti, la voce di Thom Yorke, a tratti incerta, a tratti fragile, o talvolta, come in Twist, al limite della stonatura, dà quasi i brividi e ci ricorda che senza vulnerabilità e fragilità la musica non è niente.
Ad un primo ascolto, l’album può sembrare ripetitivo e unidimensionale. Si tratta, ovviamente, di una falsa impressione, che si dissipa con i successivi ascolti. Yorke riesce ad assemblare suoni disparati, a volte dissonanti, in un continuum sonoro che si declina in modo diverso a seconda delle canzoni. Se la traccia che apre l’album, Traffic, è una sorta di serpeggiante danza house, Last I heard, si configura come una litania tenebrosa e sottilmente angosciante:
Taken out with the trash
Swimming through the gutter
Swimming through the gutter
Swallowed up, swallowed up by the city, by the city, by the city
Humans the size of rats
Opportunity cracks, opportunity stutters
It only takes a minute
And it takes it, and it takes it, and it takes it, and it takes it
I testi si accordano perfettamente agli umori alternanti dei pezzi. Alla descrizione desolante dell’inferno delle nostre città, si alterna la percezione, seppur incerta, dell’elemento salvifico, come in Twist, uno dei pezzi più interessanti e più disarticolati dell’album.
La meravigliosa e struggente Dawn Chorus, semplice e intensa, la sottilmente danzante I am a very rude person: l’album è ricco di gioiellini sonori e si conclude con una traccia ultra sperimentale, Runwayaway, tra elettronica, musica sinfonica e chitarre che ricordano vagamente il Ry Cooder di Paris, Texas.
Decisamente, Thom Yorke, alle soglie della cinquantina, ha ritrovato un nuovo ed emozionante slancio creativo. Chapeau bas!
Thom Yorke, Anima, XL Recordings (2019)