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L’ingiustizia della giustizia – Intervista a Colson Whitehead

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Colson Whitehead è quello che potremmo definire uno scrittore di mestiere: dal 1999 a oggi ha scritto otto romanzi e due saggi, spaziando attraverso i generi e le tematiche più differenti, dal fantastico all’horror, dal romanzo di denuncia a quello di formazione. Nel 2017 ha vinto il Pulitzer con La ferrovia sotterranea (Sur), e in Italia il grande pubblico si è finalmente accorto di lui. I ragazzi della Nickel (Mondadori) è il suo ultimo romanzo, in cui per certi versi si ricollega alla riflessione sull’identità afroamericana del precedente, per abbandonare però la matrice fantastica in favore di un realismo essenziale e crudo.

Se i protagonisti adolescenti del romanzo sono inventati, infatti, la storia a cui Whitehead fa riferimento è inconcepibilmente (o forse non così tanto) vera. La Nickel del titolo è dichiaratamente ispirata alla Dozier School for Boys, una scuola per ragazzi “difficili” in una cittadina dell’entroterra della Florida, verso il confine con la Georgia. Un riformatorio senza muri fondato nel 1900 e chiuso definitivamente soltanto nel 2011, da cui i ragazzi, perlopiù afroamericani, non scappano perché non c’è bisogno di recinzioni per farli desistere: all’indomani della chiusura della scuola, nei terreni della Dozier School, oltre al cimitero che potremmo definire “ufficiale”, ne è stato trovato un secondo, segreto, che nascondeva le ossa martoriate di oltre cinquanta ospiti della scuola.

Whitehead entra nei dormitori della Dozier/Nickel, la racconta con la stessa precisione delle fotografie che si possono trovare facilmente sul web, seguendo la storia di due personaggi, Elwood e Turner, due ragazzini afroamericani. Per farlo sceglie una scrittura scarna e veloce, in cui ogni lirismo è ridotto al minimo per lasciare spazio a fatti, eventi, dialoghi, che illustrano al lettore la realtà oltre la finzione. È facile, leggendo I ragazzi della Nichel ricollegare alcuni elementi ai fatti di Ferguson e alla recente cronaca americana.

Whitehead dà avvio alla sua storia costruendo un personaggio semplice e di animo puro, per illustrare in modo quasi didascalico “l’ingiustizia della giustizia”, un vero e proprio martire che vede la sua vita disgregarsi, senza nessun motivo che possa dare quantomeno un senso agli eventi che lo sommergono. Se per certi versi da questo punto di vista l’evoluzione della trama sembra quasi scontata, Whitehead sorprende il lettore concludendo il montaggio con un escamotage che soddisfa esigenze più strettamente narrative.

In occasione dell’uscita per Mondadori dei Ragazzi della Nickel, ho avuto l’occasione di discutere con l’autore di alcuni aspetti della sua scrittura.


 

Vorrei partire dalla sperimentazione che contraddistingue, fin dagli esordi, il tuo percorso autoriale: da cosa sono determinate le tue scelte narrative?

Credo che ciascuna storia richieda un approccio a sé stante. Prima di iniziare a scrivere mi chiedo: “Il narratore è interno o esterno?”; “devo scegliere un periodare lungo e ricco di proposizioni o breve e compatto?”; “il realismo è la chiave di lettura corretta per questo tipo di racconto o è meglio il fantastico?”. Per quanto riguarda i miei ultimi due libri; nella Ferrovia sotterranea ho costruito una vicenda realistica e l’ho innestata su una struttura fantastica. Invece con I ragazzi della Nickel, volevo restare focalizzato sui due ragazzini protagonisti, Elwood e Turner, quindi il libro è più breve, compatto, senza divagazioni. In generale cerco di avere uno schema prima di iniziare a scrivere, per non arrivare a pagina 100 e pensare: “Ho incasinato tutto, devo ricominciare da capo!”.

Restando sui Ragazzi della Nickel, non si tratta soltanto un romanzo realistico: è direttamente ispirato a una vicenda reale e il vero riformatorio a cui fa riferimento, la Dozier School for Boys, è stato chiuso appena nel 2011. Che cosa ci dice dell’America di oggi una vicenda simile?

Ci dice che a nessuno interessa nulla dei poveri e che a nessuno interessa nulla degli afroamericani poveri. La scuola è stata fondata nel 1900, e già nel 1903 durante un’ispezione sono stati trovati ragazzini persino di sei anni tenuti in isolamento in catene. Tutto questo ci parla dell’atteggiamento delle istituzioni – nel 1903 come nel 2011 – nei confronti di giovani di strada o di orfani. E ci sono voluti anni e anni – anni in cui le persone che hanno cercato di far sentire la propria voce sono state ignorate, anni in cui le persone che hanno cercato di raccontare la loro storia sono state ignorate – prima che finalmente qualcuno vi prestasse attenzione.

Quindi ritieni che ci siano delle somiglianze tra gli Stati Uniti dei Ragazzi della Nickel e quelli di oggi.

Sì. Quello che voglio dire è che, allo stesso modo in cui nel romanzo Elwood, facendo autostop, sale nella macchina della persona sbagliata e viene scaraventato via dalla sua vita abituale, qualsiasi ragazzo nero può essere fermato dalla polizia, interrogato e ritrovarsi con l’esistenza ribaltata da un momento all’altro. E se mette mano al portafoglio troppo velocemente possono sparargli: pensano sia una pistola. Un atteggiamento di applicazione forzosa della legge, nei confronti dei giovani afroamericani, che dal 1963 si è riproposto fino a oggi.

Tra gli ex ragazzi della Dozier School, qualcuno ha letto il tuo libro?

Sì. Prima di iniziare a scrivere non ne ho conosciuto nessuno, perché volevo concentrarmi sui “miei” ragazzi. Poi, quando il libro è stato annunciato e poi pubblicato, ho incontrato qualche ex allievo, e qualcuno lo ha anche letto. Uno di loro si è trasferito a New York negli anni Settanta, e dunque nel West Side negli Ottanta, proprio come fa Elwood nel romanzo: uno strano parallelismo, è stato bello incontrarlo e ascoltare la storia della sua vita. In ogni caso per ora gli ex allievi sembrano aver apprezzato il libro. Alcune persone della comunità di Marianna – la vera città a cui mi sono ispirato – hanno affermato di sapere che cosa succedeva, ma altre non ne avevano idea, quindi sono felice che questa storia stia andando in giro: se quello che è successo a questi ragazzi dovesse scuotere anche solo il 10% [di lettori] va bene.

Invece, la comunità online dei sopravvissuti è composta per lo più da bianchi.

C’è anche un gruppo di ex studenti neri, non so quanto grande sia. In ogni caso la maggior parte degli studenti della Dozier School era afroamericana, mentre nei primi resoconti dei giornali si parlava sempre di studenti bianchi. Questo mi ha fatto chiedere: “Com’era la vita lì per gli studenti neri?”.

Non è la prima volta che scrivi di razzismo e di identità afroamericana. Che significato ha per te scrivere di tematiche politiche e sociali?

Per me significa cercare di comprendere come funziona il mondo, cosa fosse vero per gli americani duecento anni fa e continua a esserlo ancora oggi e cosa invece è cambiato. Per quanto riguarda me stesso, scrivo libri per capire come funziono io: in un romanzo più personale come Sag Harbour, ci sono solamente io che mi chiedo perché mi muovo in un certo modo nel mondo e come mi sono formato. E poi, altre volte, tento di capire anche come funziona la società: nella Ferrovia sotterranea cerco di capire come siamo arrivati a questo punto.

Siamo peraltro in un momento storico in cui si sono diffusi ovunque, dall’America di Trump all’Europa, nuovi populismi. Come interpreti questi cambiamenti?

 Credo ci siano periodi di avanzamento progressista e periodi di trinceramento conservatore, e credo che oggi ci troviamo decisamente in un momento in cui i governi nazionalisti e demagoghi hanno voce, elettorato e un vero e proprio supporto, che sia negli Stati Uniti, in Polonia, in Danimarca, o in Regno Unito. Ci muoviamo in cicli, e adesso ci troviamo in uno molto turbolento: immagino che le cose, prima di andar meglio, dovranno andare peggio.

Tornando alla tua scrittura, ti chiedo un’ultima cosa: che rapporto hai con la tradizione letteraria americana?

Trovo ispirazione in autori postmoderni come Toni Morrison, e in scrittori afroamericani come Ralph Ellison, Gayl Jones, e la stessa Toni Morrison. E poi dalla cultura pop. Sono cresciuto leggendo i fumetti Marvel e guardando Ai confini della realtà: se si pensa alla Ferrovia sotterranea, è praticamente un episodio di quella serie. E poi prendo ispirazione da film, musica, televisione… Zona uno, il mio romanzo sugli zombie, è modellato sui film di George Romero, come La notte dei morti viventi e Zombi. Insomma, come la maggior parte degli artisti attingo a varie fonti di ispirazione.


Colson Whitehead, I ragazzi della Nickel, Mondadori 2019, pp. 216, € 18,50