Sarebbe necessario teorizzare una “fenomenologia del taccuino”, indagare l’apparenza di un frammento che non sia tale a causa di programmaticità stilistica ma per urgenza di evadere dal confine dell’unità.
A tali suggestioni introduttive conduce La coscienza imbrigliata al corpo, secondo volume dei Diari e taccuini di Susan Sontag a cura del figlio David Rieff da poco edito presso Nottetempo, frammento di un più esteso programma di ristampa delle opere dell’autrice. Le riflessioni che seguono provano a intessere una relazione triadica immagine-scrittura-immagine dentro il prisma-Sontag, al fine di osservarne l’organicità invece che la coerenza.
Sono due le occasioni in cui Sontag, tra le pagine del taccuino, ricorda una proiezione di Senso, la pellicola attraverso cui Luchino Visconti raffigura i moti dell’Italia risorgimentale incarnandola in una giostra di passioni e desideri.
Lo sguardo di Sontag sull’opera di Visconti non è che un pre-testo, un segno che permette alcune e incompiute formazioni radiali. Il cinema, anzitutto, quale espressione dell’immagine sottoposta e pungolata alla sollecitazione del moto sensibile. Immagine da osservare nella sua nuda staticità, frame-by-frame: il coinvolgimento riguarda «il colore nel cinema»[1], l’utilizzo espressivo di una forma ottica al galoppo. In Sulla fotografia (1977), si legge: «Le fotografie possono essere ricordate più facilmente delle immagini in movimento, perché sono una precisa fetta di tempo anziché un flusso»[2]. Al fine di esplicare meglio la sincronia linguistica tra l’immagine e la moltitudine dei suoi significanti sarà necessario attardarsi su alcuni termini peculiari, ricusando una traduzione letteraria per una più figurata. Memorable, scrive l’autrice, la cui traduzione meno fedele – e dunque più efficace – potrebbe essere intagliate nella memoria, mentre a slice, fetta, si potrebbe sostituire recisione. Le immagini, nel particolare sistema di Sontag, rappresentano un ritaglio (un crop, termine utilizzato nel testo come una delle forme di manipolazione dell’occhio del fotografo sul panorama dello sguardo) incastonato nel tempo da cui propagano cellule di possibilità sensibile. Ma ancora, slice assume in Sontag la forma di una Entschlossenheit, termine utilizzato da Martin Heidegger in Essere e tempo per definire una particolare vocazione dell’esistenza umana, designata Esser-ci, al perseguimento di risoluzioni recidenti e dunque decisive. Sulla fotografia si risolve in un’indagine sulla particolare energia espressiva emanata da alcuni sguardi individualizzati (Diane Arbus, Robert Frank, etc.) entro cui la disciplina fotografica raggiunge alcune prima ignote occasioni di senso. «Arbus», scrive Sontag, «è un auteur nell’accezione più limitativa […] I suoi soggetti, anzi, si equivalgono tutti. E stabilire equivalenze tra mostri, pazzi, coppie suburbane e nudisti è un giudizio molto preciso […] Anziché mostrare l’identità tra cose in sé indifferenti […] si mostra che tutti hanno lo stesso aspetto»[3]. Look the same.
Una «assenza di sintassi», si legge ne La coscienza imbrigliata al corpo a proposito della sensibilità quale «humus dell’intelletto»[4], ovvero progetto di coltivazione. Senso e Immagine si dischiudono a realtà insieme ricettive e radiali. Il gioco del coming-of-age sperimentato nei taccuini.
La giovane studentessa di teologia-politica, oppugna tra le pagine di Contro l’interpretazione (1966) al tentativo di volta in volta anestetizzante dell’inferenza filosofico-accademica una liberazione dell’immagine nel suo proprio risplendere e rifrangersi contro se stessa. «Quando è diretta all’arte», si legge, «interpretazione significa strappare un gruppo di elementi (X, Y, Z, e così via) dal lavoro nella sua integrità. […] L’interprete dice, Guarda, non vedi che X è davvero – o davvero significa – A? Che Y è davvero B? Che Z è davvero C?»[5].
In un saggio del decennio successivo, Malattia come metafora[6], l’autrice denuncerà ancora una volta la sordida dislocazione della Cosa per le sue figurazioni ideologiche. «Continuo a pormi il problema della funzione della metafora», afferma nell’intervista a Johnatan Cott Odio sentirmi una vittima, «dire, per esempio, che «la malattia è una maledizione» a me sembra una sorta di tracollo del pensiero – una maniera per smettere di pensare […]»[7].
L’opera critica stessa costringe all’indagine sull’unità degli scritti di un certo autore. Ogni brano è un indizio, ogni traccia un segno. Le citazioni compiute sull’opera di Sontag soddisfano il medesimo principio di quelle compiute da Sontag sulle unità discorsive altrui: opere di tassonomia dialogante. L’arte della citazione e del suo governo, inaugurata dai caleidoscopici scritti di Walter Benjamin, lungi dal segnalare un metodo storiografico entro cui la tradizione riemerge nella forma di un archivio eterno, diviene puro colloquio di cellule. Così Benjamin in un testo su Karl Kraus: «Solo il disperato scoprì nella citazione la forza, non di custodire, ma di purificare, di strappare dal contesto»[8].
In una nota del 1975 Sontag descrive la sincronicità tra il suo primo romanzo, Il Benefattore[9] e il secondo, Il Kit della morte[10], attraverso una citazione dall’Interpretazione freudiana: «cercando di mettere in rapporto l’elaborazione del sogno e la sua particolare economia con la psiche nel suo complesso, Freud scrive: “Limitiamoci a rappresentante lo strumento che serve alle attività psichiche pressappoco come un microscopio composto, un apparecchio fotografico”»[11].
In La coscienza imbrigliata al corpo Sontag interroga il lettore inesistente sulla ragione per cui il cinema di fantascienza utilizzi meglio della letteratura la propria capacità d’immaginazione; la soluzione si può leggerla in The Imagination of Disaster, uno dei saggi di Against Interpretation: «I film di fantascienza non hanno per argomento la scienza. Hanno per argomento il disastro […] le estetiche della distruzione […]»[12]. I tropoi narrativi indagati da Sontag nei paragrafi precedenti si combinano tra loro per permettere un’esplosione – a volte letterale – dell’immagine.
Un «puro collezionare, scevro da ogni prospettiva di profitto», scrive Sontag tra le pagine del romanzo L’amante del vulcano (1995, di prossima pubblicazione per Nottetempo) a proposito della magnifica ossessione del collezionista, «niente da comprare o vendere qui»[13] si potrebbe annotare utilizzando il corsivo per rendere figurate le citazioni e costringerle nell’opera di significare la sola relazione dell’autrice con l’arte della trasposizione letteraria.
Se le opere essoteriche di Sontag si servono delle citazioni per lasciar vagare lo sguardo da una disciplina all’altra nel processo di cattura di una complessità fluida, la redazione dei diari e taccuini diventa al tempo stesso cabinet de curiosité privato – reso pubblico per forza – e tentativo di modulazione di sensibilità. Coscienza imbrigliata al corpo, registra la traduzione italiana dell’opera, dissolvendo forse l’inconsueta analogia dell’originale: As conscioussness is harnessed to flesh, ovvero Come la coscienza è imbrigliata alla carne. La carne e il corpo sono equiparabili come lo sguardo e l’occhio. «Se l’esteriorità delle persone corrispondesse alla loro vita interiore», scrive Sontag diarista-taccuinista, «non potremmo avere i “corpi” (bodies) che abbiamo. […] I corpi incarnano (incarnate) soltanto una frazione della nostra vita interiore»[14], e ancora, «forse la soggettività così come la sperimentiamo (tutta la pressione, la forza, l’energia, la passione che comporta) è proprio la conseguenza di questo “imprigionamento” (confinement) all’interno del nostro essere»[15]. Il corpo diviene allora il reificarsi ricettivo di una riconciliazione tra l’esperienza interiore e l’esperienza eccentrica, ma anche ek-statica, dell’ambiente esterno. Ek-stasi, uscir-fuori. «Per questo gli angeli non hanno un corpo (o hanno un corpo “angelico”) – non soltanto per l’avversione (cristiano-)nevrotica per la carnalità (flesh)»[16]. Degno d’interesse che la traduzione italiana trasponga flesh con carnalità, già connotando il termine di quella tensione alla metamorfosi (in italiano metamorphose, letteralmente metamorfizzarsi, è tradotto con subire una metamorfosi, denotazione entro cui riede un carattere di passività che non esaurisce del tutto il discorso dell’autrice), per cui si è partecipi delle proprie alterazioni: Gregor Samsa incorpora una metamorfosi, non la subisce. La carne imbriglia la coscienza della soggettività, la quale si libera per dischiudersi nel ricettacolo trasformativo del corpo.
Il corpo confonde il profondo interno con la superficie del mondo; la carne definisce invece il distinguo tra la miità (Jemeinigkeit, l’esser-mio-e-di-nessun-altro di cui si legge in Essere e Tempo) e l’alterità. Il Senso non può allora custodire tonalità tiepide: poiché ogni sensazione per evadere dal confinamento deve attraversare distinti e peculiari tessuti di pudore (l’etica, l’educazione, il rimosso, la carne, il corpo, etc.) non può che deflagrare utilizzando l’interiorità da cassa di risonanza per le manifestazioni esteriori.
Una volta attraversato ogni confine, ogni definizione, non si può che esperire il con-fluire degli oggetti dentro la soggettività stessa. Il Benefattore, entro cui si mescolano il mondo del sogno, della fantasia e della veglia tanto che non si possa più imporre loro i dogmi del principio di individuazione; Il Kit della morte, per cui non si riconosce il primato dello sguardo a dispetto di quello della rêverie, fantasia sognante; L’amante del vulcano, espressione narrativa di un senso immanente della storia; e ancora, il riferito tessuto di citazioni che innerva le opere saggistiche; le proposte filmiche, dicono tutti di una manifestazione non dialettica del Senso. La Grande Cosa di Kierkegaard-Rilke dietro la cui nebulosità è occultata la malattia mortale, la Melanconia (insignita da Sontag a suo tema) si potrebbe compendiare nella sola pluralità – e dunque non compendiare affatto – del Senso.
Una sequenza de La chambre verte (1978) di François Truffaut presenta in forma di tempio un altare collettivo di morti sottoposti all’imperio della fotografia; una scena analoga è presentata in Only lovers left alive (2013) di Jim Jarmusch: alle spalle del vampiro millenario Eve resiste un brulicare di vite estetiche. Il commento di Jarmusch all’esposizione di Truffaut sembra nitidissimo: le opere permettono di vincere la deflagrazione operata dal tempo.
Cosa afferma un’immagine? Attraverso che profluvio di voci si può costringerla alla confessione? Come può un corpo, simulacro del Senso, imperare o lasciarsi governare da esso? Questi gli interrogativi che innervano l’intera opera di Sontag sin dentro l’intima confidenza del taccuino. Sentire a ventiquattro immagini al secondo.
[1] S. Sontag, Come coscienza imbrigliata al corpo. Diari e taccuini 1964-1980, tr. it. P. Dilonardo, Nottetempo, Milano 2019, p. 48.
[2] Id., Sulla foografia. Realtà e immagine nella nostra società, tr. it. E. Capriolo, Einaudi, Torino 2004, p. 17.
[3] S. Sontag, Sulla fotografia, op. cit., p. 42.
[4] S. Sontag, La coscienza imbrigliata al corpo, op. cit., p. 36.
[5] Id., Against interpretation and other essays, Picador, New York 2016, pt. 1, cap. 3 (ed. digitale). Trad. mia.
[6] S. Sontag, Malattia come metafora. Cancro e Aids, tr. it. E. Capriolo – C. Novella, Mondadori, Milano 2002.
[7] J. Cott – S. Sontag, Odio sentirmi una vittima. Intervista su amore, dolore e scrittura con Jonathan Cott, Il Saggiatore, Milano 2016, ed. digitale.
[8] Karl Kraus in Opere di Walter Benjamin. Scritti 1930-1931, a c. di E. Ganni – H. Rieder, Einaudi, Torino 2002, p. 356.
[9] S. Sontag, Il Benefattore, tr. it. E. Capriolo, Mondadori, Milano 1997.
[10] Id., Il kit della morte, tr. it. B. Fonzi, Einaudi, Torino 1997.
[11] Id., La coscienza imbrigliata al corpo, op. cit., p. 445.
[12] Id., Against interpretation, op. cit., parte 4, cap. 3, ed. digitale. Trad. mia.
[13] Id., L’amante del vulcano, tr. it. P. Dilonardo, Mondadori, Milano 1995, p. 27.
[14] Id., Come la coscienza è imbrigliata al corpo, op. cit., 272.
[15] Ibid., p. 273.
[16] S. Sontag, Come la coscienza è imbrigliata al corpo, op. cit., p. 274.
Susan Sontag, Come coscienza imbrigliata al corpo. Diari e taccuini 1964-1980, tr. it. P. Dilonardo, Nottetempo, Milano 2019, pp. 593, 25,00 €