La prima volta che ho visto una mappa di Tolosa ero stanca, frastornata e molto eccitata: ero arrivata in Francia da poche ore, alloggiavo in un albergo da quattro soldi vicino alla stazione Marengo e cercavo disperatamente una casa.
Questa prima volta, insomma, ero con Silvia e Alice in un’agenzia immobiliare, di fronte a una stramba agente immobiliare coi codini, e il mio Erasmus (ecco perché ero eccitata) stava per cominciare. O meglio: sarebbe cominciato se avessimo trovato una casa da affittare in Francia.
Una casa
da affittare
in Francia
che è un’impresa difficilissima. Perché tu, per affittare una casa in Francia, devi avere un conto in banca aperto in Francia, e per avere un conto in banca aperto in Francia devi avere un domicilio in Francia, che non puoi avere se non hai un conto in banca aperto in Francia… che al mercato mio padre comprò.
Però io tutto questo non lo sapevo, quel giorno in cui ho visto per la prima volta la mappa di Tolosa sul tavolo dell’Office de Locataires di Rue Bayard. Io sapevo solo che la stramba agente immobiliare coi codini (quattro, in tutto) aveva dispiegato una cartina enorme sotto il nostro naso, aveva preso un pennarello verde, aveva circoscritto un’area con suddetto pennarello e ci aveva scritto sopra: “HP”. Che sta per “Hyper-Centre”. Poi aveva detto che l’hypercentre di Tolosa è come una bottiglia troppo piena, dalla quale trabocca l’acqua allagando tutto, e mentre lo diceva disegnava degli spruzzi d’acqua sulla cartina, e metteva una grossa croce sulla scritta HP. Che tradotto voleva dire: “Non potrai mai permetterti di affittare una casa nell’hypercentre”. Disegnava e ci guardava con partecipazione compassionevole, mentre io volevo piangere e, dentro di me, si faceva strada l’idea che
affittare
una casa
in Francia
è davvero difficile.
La tipa stramba coi codini poi ha detto che doveva chiudere perché doveva andare a prendere la figlia all’asilo, ha fatto un sorriso e ha indicato col pennarello dei punti alla periferia della cartina, dove a malapena arrivava la metropolitana. Infine, ha stampato una lista di indirizzi, si è fatta dare sessantacinque euro, ci ha congedato e ha chiuso l’agenzia, lasciandoci in dono la mappa delle nostre possibilità abitative negate.
(L’Office de Locataires di Rue Bayard, lo dico per inciso e informazione, c’est une arnaque. È una truffa. L’ho scoperto tempo dopo all’università, dove un pio avviso ammoniva tutti i giovani ingenui in Erasmus a non lasciarsi fregare dalla tipa stramba coi codini.)
Dopo il desolante incidente in bottiglia, ho attraversato tutti i quartieri di Tolosa, battuto tutte le agenzie immobiliari, chiamato tutti i numeri affissi in tutte le bacheche delle università (che a Tolosa sono due), delle biblioteche (che a Tolosa sono venti, e una è enorme, e in realtà è una médiathèque, e i libri e i dvd che vuoi prendere in prestito ti arrivano su un rullo come il sushi) e dei locali-da-studenti-Erasmus (che a Tolosa si chiamano principalmente Café Pop e “fazzoletti di prato improvvisati sulle sponde della Garonna”, a seconda della stagione).
Avevo imparato una formula per iniziare la telefonata col potenziale padrone di casa, una formula che mi riusciva di pronunciare in perfetto francese e che, probabilmente, ispirava fiducia a chi stava all’altro capo del filo. Almeno così, su due piedi. Poi – questo è successo nelle prime telefonate – cominciavo a fare degli errori. Tipo dire che ero una studentessa. O tipo ancora dire che ero una studentessa in Erasmus, che sarebbe rimasta a Tolosa per sei mesi. Tre errori di fila, che ho in breve corretto trasformando la formula di apertura in un elegante e falsissimo: «Je suis une stagiaire, je travaille à l’Université Toulouse 2 – Le Mirail, je resterais ici pour toute l’année».
Così, in una settimana e in trenta telefonate ho visitato quindici appartamenti, ignorando quella questione del conto francese ecc., nella speranza che la provvidenza intervenisse per me. Buchi da venti metri quadrati senza finestre, buchi con il bagno in cucina, buchi al piano terra vista cantiere, buchi che in fondo ci avrei potuto anche abitare, ma che non mi potevo permettere di affittare.
Più di una volta sono stata sul punto di piangere, pensando che fosse arrivato il momento “Modulo D”, che è il modulo scappatoia con cui rinunci ufficialmente all’Erasmus, prendi baracca e burattini e te ne torni a casa con le tue brave pive nel sacco.
Però, insomma, mentre ero lì che giravo con Silvia di buco in buco, l’idea di dover tornare a Genova mi pareva inaccettabile: Tolosa, regione Midi-Pyrenees, dipartimento dell’Alta Garonna, in terra occitana, io me l’ero conquistata. Me l’ero scelta, senza sapere che è la seconda città più pericolosa di Francia, e l’avevo preferita a Parigi. Tra me e lei non poteva finire così. Ormai avevamo troppe case insieme, perché io potessi arrendermi al decimo fiasco.
Dopo cinque giorni passati a setacciare la città a piedi, in metro e in vélo (ah, il vélo! per noi che siamo nati a Genova, che stiamo in mezzo alle salite e abbiamo strade piane rare volte, che meraviglia, il vélo!), dopo questi cinque fottutissimi giorni, la mappa di Tolosa che avevo acquistato dal tabaccaio di Rue de la Pomme era l’oggetto più prezioso che possedevo. Dico proprio la mappa-mappa, quella topografica analogica fatta di carta, di quelle pieghevoli che non sai mai come ricomporre per farle tornare com’erano all’inizio.
Su questa mappa avevo segnato i nomi dei quartieri dove avrei voluto abitare (Capitole, Carmes, Esquirol, Saint-Cyprien), quelli che tutti dicevano di evitare ma che avevano dei nomi buffi (Bagatelle, Patte d’oie, Fer à Cheval) e le fermate della metro (che in questa città è più bella perché ha i nomi delle stazioni in due lingue: in francese e in occitano, che è lingua nazionale. E quindi tu senti dire prima: “Prochain arrêt: Jolimont”, e poi: “Estacion venenta: Belmont”).
Ma mi ero cerchiata con l’evidenziatore arancione anche i ristoranti, le crêperie, le sale da tè, i negozi dove sarei tornata una volta concluso il carosello delle case, le piazze, le chiese, gli scorci, i musei…
C’era la crêperie Pastel e Sarrasin di Rue du Taur (pure le vie sono scritte in due lingue, quindi la Rue du Taur è anche la Carriera del Taur, che si chiama così perché, tanto tempo fa, i pagani presero un toro, legarono al suo collo san Saturnino e costrinsero la povera bestia a correre lungo tutta la strada. Poi al toro hanno dedicato una via, al santo la chiesa di Saint-Sernin, il che mi pare una cosa equa); c’era un negozietto di souvenir che si chiamava La maison de Lucille (che mi sembrava un tiro molto beffardo della sorte, perché io una maison non la stavo trovando per niente), c’erano delle librerie con dei nomi che mi attiravano (Les chants de Maldorors, Les six soeurs libraires, La librairie Occitania), e c’erano chiese con gargoyles e vecchi chiostri di mattoni con le zucche negli orti.
Più di ogni altra cosa, avrei voluto abitare in Rue du Mage a Carmes, il quartiere hypercentralissimo con i balconcini in ferro battuto e le fontane liberty, dove si trovano la Maison d’Italie (che vendeva generi di prima necessità come i Pan di stelle e il Montenegro) e un enorme mercato. (Il mercato, in Francia, è una cosa seria, barocca e truculenta: lì nei comptoirs di Carmes c’erano montagne di tuberi di ogni forma e colore (mai visti così tanti tuberi), conigli con ancora tutta la pelliccia appesi ai ganci, teste di maiale dissanguate e vacue, ostriche dai prezzi inarrivabili e, soprattutto, barattoli su barattoli di due degli alimenti che i toulousains amano di più al mondo: il foie gras e il cassoulet, che è una specie di zuppa di fagioli, salsiccia e pollame che ho assaggiato una sola volta – che mi è bastata). Però, insomma, il fatto è che Carmes – dove avevamo visitato un appartamento delizioso – proprio non me lo potevo permettere.
Poi mi ero innamorata di Rue St. Pantaléon, un po’ perché il nome mi faceva ridere, e un po’ perché c’era Violettes et Pastel, una boutique frù frù che prometteva “senteurs, saveurs et couleurs de Toulouse”. In pratica vendevano profumi, saponette e caramelle. Ma lo facevano con charme, trasformando in eleganza stile marie-antoinette i due prodotti più turistici di Tolosa: l’unica e inimitabile violette (che no, non è quella di Parma, i parmigiani l’hanno fregata a Tolosa nell’Ottocento), con cui ti farciscono sia il pane sia i cuscini, e il pastel du Pays de Cocagne, cioè il fiorellino da cui si ricava la tintura blu che nel Rinascimento ha reso Tolosa famosa in tutto il mondo (oggi credo che Tolosa sia più famosa per Airbus e per le squadre di rugby, ma insomma, cosa saranno mai due aerei rispetto alle persiane azzurrissime delle case dell’hypercenrostoricomedievale). Anche in Rue St. Pantaléon, però, non c’erano buchi affittabili a studenti Erasmus.
Non mi dispiaceva neppure il quartiere di Saint-Cyprien, che era un po’ fuori dal centro della bottiglia, ma se ci andavi a vivere poi potevi andare a passeggiare sulla riva della Garonna, oppure potevi visitare il Matou, che è il Musée de l’Affiche, ovvero una stanza di ottanta metri quadrati con appesi i manifesti pubblicitari da Toulouse-Lautrec a Lacoste. E poi potevi anche attraversare il Pont Neuf tutte le mattine per andare in centro, e intanto fotografare il riflesso sull’acqua tra gli ippocastani dell’Hôtel-Dieu Saint-Jacques, che nel Medioevo era un ospedale e oggi è un museo di arte contemporanea (Saint Jacques, che poi è Santiago, è un santo che ai toulousains piace assai, e a questo proposito c’è tutto un gioco di conchiglie da raccontare: perché Tolosa è una tappa importante del cammino di Santiago, e il simbolo segnavia del cammino di Santiago è una conchiglia, ed è una conchiglia perché i pellegrini, una volta, ne portavano una cucita addosso come simbolo di rinascita. Così, in ogni città e in ogni edificio di sosta lungo il cammino, voi trovate delle conchiglie: nascoste tra le strade di Tolosa ce ne sono un po’, conchiglia gialla su sfondo blu; sulla facciata dell’Hôtel-Dieu ce ne sono due, in pietra; al Marché du Carmes ce ne sono a chili, e si chiamano coquilles Saint-Jacques, che noi chiamiamo “capesante”, e sono buone gratinate).
A Saint-Cyprien stavamo quasi per concludere un affare di affitto, ma poi abbiamo subodorato una piccola arnaque (dopo l’Office de Locataires eravamo diventate acute sventatrici di truffe) e abbiamo lasciato perdere.
Finché, al quindicesimo tentativo, abbiamo sentito la mano provvidenziale di san Giacomo (ma forse anche di san Cipriano, di san Saturnino e di Toulouse-Lautrec) posarsi aperta su di noi come le valve di una conchiglia sul pellegrino stanco. E abbiamo trovato – grazie a Silvia, che ha risolto la questione del conto in Francia con casa in Francia con conto in Francia – la nostra perla immobiliare: 44 mq in una vecchia casa di mattoni al n. 3 di Rue Clémence Isaure/Carrièra Clamença Isaura, che mi parve l’auspicio migliore che potessi desiderare per dare inizio al mio Erasmus. Perché “Dame Clémence”, nel Quattrocento, si è inventata un’elegante competizione letteraria che si chiamava Jeux Floraux de Toulouse, con cui premiare ogni anno i migliori poeti della città con dei fiori d’oro e d’argento. E quando l’ho scoperto mi è sembrato bello, e l’ho preso come un segno. E infatti, di lì a poco, tutto ciò che sarebbe accaduto nei pressi di Rue Clémence Isaure mi sarebbe parso sempre e solo bello.
Bello affacciarmi alla finestra della cucina (che poi era anche il soggiorno), per spiare l’andirivieni delle tortore dalla vecchia torre colombaia che sovrastava la corte del nostro palazzo; bello il piccolo ristorante di Rue du May, che sembrava uscito dagli Aristogatti e che era proprio dietro casa; hyper-bello Bapz, il salon de thè con gli ombrelli sul soffitto e la panna sugli scones.
Bello raggiungere a piedi, in una manciata di minuti, Rue Saint-Rome e la grandiosa croce occitana con i segni zodiacali che occupa praticamente tutta la superficie di Place du Capitole; bello passeggiare per andare a comprare il pain aux raisins, e scoprire che a Tolosa non pronunciano la nasale, e che quindi il suono che corrisponde a “pain” e “vingt” è “pèn” e “vèn”.
Bello scoprire che, anche se i mattoni di cui sono fatte le case di Tolosa sono, molto evidentemente, color rosso mattone come tutti i mattoni del mondo, ai toulousains (che, per l’appunto, si pronuncia “tuluzén”) sembrano rosa (e infatti chiunque vi dirà che Tolosa è “la ville rose”); bello aspettare che la città mi svelasse pian piano i suoi segreti, di giorno in giorno (una volta mi ha detto che tutte le case antiche che vedevo, da cui spuntassero delle torrette di mattoni rosa, un tempo erano appartenute ai “capitouls”, cioè i membri dell’amministrazione comunale medievale; un’altra volta mi ha spifferato che, se fossi andata in Rue de la Bourse, avrei visto l’Hôtel de Pierre, l’unico palazzo della città a essere fatto di pietra e non di mattoni – il proprietario, cosa vuoi, era un parvenu, ricco come un maiale, ha voluto strafare e farsi arrivare la pietra da fuori – piuttosto, écoute chérie, vai in Rue Escoussiéres Montgaillard, dove si trova la casa più piiiiccola di Tolosa, un sobrio gioiellino che pochi conoscono, e mi ringrazierai).
Bello, insomma, ogni dettaglio della “bottiglia” in cui, alla fine, io e Silvia ci siamo trovate a vivere per sei mesi. Perché – ma forse si era capito – il n. 3 di Rue Clémence Isaure stava proprio nella pancia della bottiglia dell’inarrivabile hypercentre (e quindi “ta gueule, Office de Locataires!”).
Ancora oggi, se ci ripenso, mi sembra impossibile che ce l’abbiamo fatta, che abbiamo affittato una casa in Francia (e aperto un conto in banca!), che non siamo annegate nella Garonna, che non siamo state rapinate in zona stazione alle due del mattino tornando a casa in vélo, che siamo riuscite a sopravvivere sei mesi senza la pizza.
Eppure è successo, e oggi siamo qui per raccontarvelo e per spiegarvi – se volete – tutto quello che dovete sapere per
affittare
una casa
in Francia
ed essere felici.