Difficile dire qualcosa di nuovo su Annie Ernaux nel 2020. Prima Rizzoli e Guanda, poi la casa editrice L’orma hanno tradotto negli ultimi vent’anni molte delle sue pubblicazioni, offrendo ripetute occasioni per conoscere l’autrice francese. Si è spiegato da molte parti, anche qui sulla Balena Bianca, di come i libri di Ernaux mescolino autobiografia e sociologia, come scavino nel profondo dell’animo umano e delle sovrastrutture che lo collegano agli altri individui, inquadrando il singolo sempre all’interno della società da cui proviene.
L’esempio migliore in questo senso è Gli anni (L’orma, 2015), autobiografia collettiva della società francese dalla seconda guerra mondiale ai giorni nostri, ma anche l’ultimo arrivato in Italia L’evento (L’orma, 2019), è esemplificativo dello stile dell’autrice.
La storia narrata in questo volume risale al 1963, ma il tema è uno di quelli che fanno discutere ancora oggi. L’evento del titolo è infatti un aborto clandestino, avuto dalla Ernaux quando aveva ventitré anni.
Il libro prende le mosse da una visita in ospedale, in cui la protagonista, molti anni dopo l’aborto, si sottopone ad un test per scoprire se è stata contagiata dall’Aids. L’attesa dei risultati le rievoca un’esperienza di tutt’altro genere, ma che ha comunque scandito la sua vita:

Mi sono resa conto di aver vissuto quel momento all’ospedale Lariboisière esattamente come l’attesa del verdetto dal dottor N. nel 1963, immersa nello stesso orrore e nella stessa incredulità. La mia vita si situa dunque tra il metodo Ogino-Knaus e il preservativo a un franco dei distributori automatici. È un buon modo per misurarla, più sicuro di altri, in ogni caso.

Le tappe del suo percorso sono descritte attraverso brevi paragrafi, di rado superiori alla pagina, in cui l’autrice isola nuclei della sua esperienza e riassume la sua storia: la vacanza a Bordeaux con P., il ragazzo di cui è rimasta incinta, la sua quotidianità da studentessa ormai sconvolta, la decisione di abortire clandestinamente e le tappe del disperato percorso per raggiungere il suo obiettivo. Intorno a lei un variegato ambiente tra l’ostile, l’indifferente e il crudele. La giovane Annie avrà a che fare, tra gli altri, con medici bigotti e subdoli, che fingono di aiutarla ma le prescrivono una medicina in realtà contro gli aborti spontanei; con coetanei universitari che vogliono approfittare della sua debolezza e tentano di forzarla ad un rapporto sessuale. Gli aiuti arriveranno in maniera insperata: una studentessa che conosce di vista, già passata per l’esperienza, le suggerirà l’indirizzo di una “fabbricante di angeli” da cui abortire, mentre la compagna di stanza, fervente cattolica, le sarà accanto nel momento più difficile, anche se le sue convinzioni le imporrebbero il contrario. Il racconto di tutte queste vicende è intervallato da riflessioni sulla precisione dei ricordi e sul modo giusto di raccontarli:

Sento che la narrazione mi trascina e impone, a mia insaputa, un senso, quello dell’infelicità che avanza ineluttabile. Mi obbligo a resistere al desiderio di percorrere di volata i giorni e le settimane, badando a conservare intatta con tutti gli strumenti a mia disposizione – la ricerca e la trascrizione dei dettagli, l’impiego dell’imperfetto, l’analisi dei fatti – l’interminabile lentezza di un tempo che si faceva via via più denso senza procedere, come quello dei sogni.

Gli scrupoli e le precisazioni della Ernaux autrice vanno di pari passo con i silenzi e i tempi morti della Ernaux personaggio, che trascorre quei mesi in un tempo «diventato una cosa informe […] e che bisognava distruggere ad ogni costo». Non c’è suspense, il lettore sa che l’aborto sarà eseguito, ma, nonostante il preteso distacco, c’è una forte partecipazione emotiva per una ragazza costretta alla clandestinità e alla vergogna.
Qui si mostra a pieno lo stile dell’autrice: asettico, nitido, coglie l’essenza delle vicende senza ornamenti retorici in vista, e confeziona libri senza fronzoli, che rendono universale un’esperienza grazie all’indagine accurata. Il tono si avvicina a quello di una ricerca scientifica, o meglio antropologica, ma non ne adotta il lessico specifico, bensì la tensione a un’oggettività assoluta e la validità universale delle conclusioni. Si potrebbe vedere in Ernaux una seguace del Naturalismo di Zola e dei Goncourt, anche se in lei lo spirito positivistico di fine ‘800 è incorporato nel metodo, ma non del tutto nello scopo. I suoi libri sono sì costruiti come un esperimento, con le premesse disponibili anche all’osservatore, ma il suo scopo non è un miglioramento sociale, o almeno non in prima battuta, ma un’indagine innanzitutto di sé stessa: «Forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura».
Questa accuratezza è garantita a volte da referenti oggettivi, «le pagine di diario mi forniranno i riferimenti», si legge nelle prime pagine, ma non solo. La precisione dell’esperienza si concretizza soprattutto nella narrazione stessa, perché, in assenza di fonti di altro tipo, il linguaggio si avvita su sé stesso e i dubbi si affastellano a costituire le fondamenta del discorso. Manca quindi una prova oggettiva dell’evento, ma essa non è in fondo necessaria, perché la sincerità dell’autrice è una garanzia e gli scrupoli che si pone, e di cui ci mette al corrente, si ergono a garanti della veridicità della storia. Certo, si potrebbe sempre contestare in toto la forma narrativa e pretendere un resoconto incrociato, una raccolta di dati e testimonianze, ma a quel punto si uscirebbe dal sentiero del patto autobiografico (dalla famosa definizione di Philippe Lejeune) per entrare in territori diversi, con regole egualmente differenti. Perché in casi come questo alla fine quello che davvero importa non è la percentuale di verità della storia. Quello che importa è che l’oggetto del racconto, la vicenda dell’aborto e le sue sensazioni, è stato per tanti anni mantenuto all’oscuro e quindi occorrono numerose cautele nel portarlo alla luce ed esporlo. Una volta ricostruito però, da esperienza personale può essere adibito a parametro di una questione femminile universale.

(Può darsi che un racconto come questo provochi irritazione, o repulsione, che sia tacciato di cattivo gusto. Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla. Non ci sono verità inferiori. E se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo)

Non è secondario perciò il discorso socio-politico che questo libro sottende e che oggi, a vent’anni di distanza dall’uscita in lingua originale, ancora infiamma il dibattito di tutto il mondo. Solo per citare gli avvenimenti degli ultimi anni: nuova criminalizzazione dell’aborto in Alabama, aborto legalizzato in Irlanda solo grazie ad un parlamento assente, più di 80 000 aborti clandestini ogni anno in Polonia.
Comunque la si pensi, anche se non si è pro-choice, storie come L’evento esistono e sono esistite, quindi devono essere raccontate e diffuse, perché il cambiamento del mondo passa sempre dalla conoscenza, e la letteratura può ancora fare molto in questo senso. Perciò è importante dare voce alle donne che compiono questa scelta, anche con affermazioni come quelle di Ernaux, che conclude il libro collegando l’aborto alla sua intera esperienza di vita: «Oggi so che avevo bisogno di quella prova e di quel sacrificio per desiderare di avere figli. Per accettare la violenza della riproduzione nel mio corpo e diventare a mia volta luogo di passaggio delle generazioni».


Ernaux

Annie Ernaux, L’evento, trad. L. Flabbi, L’orma, Roma 2019, 120 pp. 15,00€