Per definizione un habitat è l’insieme «delle condizioni ambientali in cui vive una determinata specie di animali o di piante, o anche un singolo stadio del ciclo biologico di una specie»; ogni ente – anzi, ogni stadio evolutivo di esso – ha dunque un suo habitat le cui condizioni permettono prosperità, a patto di essere conosciute nella loro indeterminatezza e ciò vale soprattutto per l’essere umano per il quale l’habitat è più un territorio da costruire che qualcosa di dato a priori.
Proprio di questa condizione si fa forza Federico Italiano che nella nuova raccolta Habitat (Elliot, 2020) dirige la sua poesia al fine di decrittare e illustrare questo concetto.
Il libro, diviso in cinque sezioni, è infatti assolutamente compatto in tale indagine che si declina nella ripetuta rappresentazione del rapporto che l’uomo conduce con ciò che di volta in volta compone l’ambiente in cui si trova, ponendo di conseguenza un’attenzione costante nei confronti delle entità non umane di cui la raccolta trabocca. Dai giardini, alle lampade, al carrello della spesa, a un passeggino, passando per piante e animali, Habitat è una raccolta in cui il dominio assoluto degli oggetti mina la supremazia antropocentrica del soggetto e la sottomette al regno del non umano. Nella quasi totalità dei testi sono infatti gli oggetti – come in un contesto di relatività fisica – a deformare lo spazio-tempo e ad emanare da se stessi le coordinate adatte alla creazione di un contesto, un habitat per l’appunto. In perfetta continuità con la poesia “cartografica” dei libri precedenti, il ruolo degli oggetti è segmentare, tracciare solchi tra le dimensioni, traghettare, creando una geografia impazzita subita il soggetto che vede di volta in volta spalancarsi varchi nel tempo e nello spazio, in una sequenza di coordinate geostoriche disarticolate, tangenti, fuggitive e rimescolate; così ad esempio:

Per montare l’amàca
tra i rami di una roverella
ho fissato due nodi siberiani […]

il nodo siberiano, solo a stringerlo,
effonde dal suo nome
boreale un refrigerio di taiga,

di betulle e di licheni,
un pensiero che mitiga
l’arsura della campagna d’estate.

La poesia orientata all’oggetto di Habitat si fa territorio multidimensionale in cui luoghi inaspettati vengono a intersecarsi, cozzando o amalgamandosi (come quando nei pressi di Galliate, Novara, si immagina «l’austera | pace di un cacciatore | appena rientrato dalla Namibia»), la cui frizione produttiva genera scenari imprevisti, slittamenti e disvelamenti di senso. Ciò accade anche da un punto di vista della cronologia del soggetto (nella relatività infatti una massa non increspa solo lo spazio ma anche il tempo). Così gli oggetti assumono anche la funzione di passe-partout temporali, creando ponti di accesso a memorie che si danno, però, come presenti e continuamente esistenti:

Percorrevo la strada
che hai disegnato a penna sul foglietto.
C’era un buon profumo di pane fresco
e un fruttivendolo con le sue ceste
illuminava gli angoli
delle case. D’un tratto,
poco più avanti, un passeggino bianco,
sbucò da un portone di legno
in stile liberty e mi accorsi
di camminare dietro
a me stesso e a una donna
con un cappotto di velluto verde,
una gonna al ginocchio
e ballerine nere in pelle lucida.
Mi giravo spesso verso di lei
sorridendole. […]

O ancora dalla poesia di apertura, Le case degli altri:

[…]
Non avevo paura delle case degli altri
da bambino, ma adesso
sono i loro fantasmi a farmi visita:

le ciabattine rosa,
che guadavano attente
le sconnesse distrazioni del gioco,

la curva parabolica
di una pista Polistil, nera
regolatrice di affetti e tensione

o il buio di un armadio,
nel fondo d’indumenti sconosciuti.

Tramite tale dimensione “territoriale”, sembra dire Italiano, nei testi il presente convive con gli altri tempi; il qui, con l’altrove. Una convivenza contraddittoria eppure congruente. La possibilità di accedere ad una totalità geografica e temporale produce un principio di non-località in base al quale vengono demoliti i concetti di presente e di presenza. È possibile insomma introdursi in ogni tempo e ogni luogo grazie a una poesia che si fa «mappa» (sempre dal testo iniziale: «cartograficamente nel presagio | di avventure future, tutto entrava | nella mappa dei tesori sepolti») ed è attraverso questo processo che si palesa la funzione “esplorativa” della poesia – recuperando peraltro una certa dimensione epica, cifra del percorso autoriale di Italiano («La morte sciolse il malinteso | che associa i corpi. || Quando la guerra terminò, | il cielo si tinse di rosa. || Poi piovve acqua mischiata a sabbia | e nacquero giganti.»). Il testo stesso, dunque, si fa habitat, sfidando la nostra percezione singolare (qui, ora) in un vortice plurivoco e sincronico in cui tutto accade ovunque e sempre, coagulandosi di volta in volta nello spazio del testo, che diviene regione in cui non accomodarsi, bensì da perlustrare.

Il soggetto che vi si immette si trova infatti a sottostare al primato di una realtà popolata di cose, animali, toponimi e tempi, che con la sua presenza invasiva lo induce a ricalibrarsi senza sosta, abbandonando la pretesa novecentesca di filtrare e riprodurre un proprio mondo a partire da sé, di stabilirne le regole e i confini, fuori da ogni tipo di oracolarità o verità e costringendolo invece a sottostare ai suoi sfasamenti, i suoi «mirabilia». Il mondo insieme convoluto ed espanso che confluisce nel testo forza il soggetto ad adattarvisi e a ricalibrare il rapporto ermeneutico – e ontologico – che egli conduce nei confronti del reale. Vestendo infatti i panni di un esploratore/ricercatore che di quel mondo subisce gli effetti, il soggetto poetico muta al mutare dell’habitat, obbligato a mettere in atto tenacemente nuove strategie di conoscenza e sopravvivenza. Proprio tali strategie determinano però delle inevitabili conseguenze, prima tra tutte la rinuncia al proprio statuto di solidità. Accettando di far parte del mondo in maniera orizzontale, come un elemento tra i tanti che compongono il quadro, il soggetto inizia un processo di diluizione nell’ambiente, arrivando a passare da “Io” a “Qualcuno” come nel poemetto anaforico, Pronome indefinito, passaggio centrale della raccolta in cui il soggetto si scompone replicandosi in infinite possibilità:

[…]

II

Qualcuno si smarrì tra le dune presso il mare
inseguendo uno scarabeo tigre
e la sabbia divenne muro, sesso, dimora.

Qualcuno si sedette sul tatami, sotto un cielo
di paglia, di fronte al proprio riflesso,
senza considerare l’angolazione del male.

Qualcuno affermò che la sabbia corrode
ogni cosa, fino alle fondamenta,
e che amarsi di giorno aiuta a scavare la notte.

[…]

Tale liquefazione, in un secondo momento, giunge ad una completa aderenza al sistema del reale. Così anche l’Io, adattatosi al nuovo habitat e alle sue coordinate in agitazione, si lascia piegare facendosi luogo di intersezioni, lasciandosi investire dalla realtà e divenendo esso stesso un territorio in evoluzione popolato da colori, paesaggi e alterato dalla toponomastica in inaspettate metamorfosi all’interno di un tempo relativo:

O chissà fu per il verde smeraldo
dell’Alta Austria che invadeva i cristalli
dell’autobus come un dolce incantesimo.

Forse per questo o non so cos’altro
divenni foglia, trota e gazza ladra,
lombrico, selce e gufo,

olmo, ape, lucciola e storione,
daga romana e rabbino, gesuita, fava,
mulinello, betulla, sterco,

sangue, abete, scoiattolo
cincia e agrimensore;
e vagai tremila anni

lungo le brevi sponde coronate di muschio
di un ruscello che per dieci secondi
costeggiò l’autostrada.

Come detto, il risultato “orizzontale” di questo nesso oggetto-habitat/realtà-soggetto produce rapporti fatti di opposizioni complementari. Così a volte l’ambiente circostante prende il sopravvento, assediando un io fuggiasco («Dal mio rifugio sopra la città | vedevo orti di licheni, | caprioli a due teste, ibridi | fosforescenti di gorgonie | e falene. […]») o che risulta del tutto assente in un dominio totale delle cose (o della natura), latori di una superiorità che spodesta ogni pretesa di antropocentrismo:

Tra i frassini sulla riva dell’Isar,
il carrello di un supermercato,
obliquo sulla ghiaia,

pervaso dal bagliore
del primo giorno, pareva il relitto
di una civiltà scomparsa, metallica

scoria di una guerra tra bene e male,
dentro una primavera
rigogliosa e inumana.

In altri casi invece, alternando il rapporto di forza, è il soggetto-esploratore ad avere una rivincita, dimostrando di non essere solamente in grado di patire mondi, ma anche di costruirli e immaginarli, a patto di non avere come scopo la clausura nelle proprie chimere – sempre precarie – né di abbandonare i panni di un cammino che si fa ricerca ed evoluzione. Così in Cartolina, il testo conclusivo del libro:

Ti scrivo da un posto che non conosco,
dove sembra che i venti si rigenerino
negli angoli delle case e la luna
sia un fanale ricoperto d’insetti,
un luogo privo di ogni precedenza,
dove il timbro postale è un mio disegno,
la pianura un’invenzione stilistica
e l’angoscia un concetto cartografico.
Se tu ora fossi qui, t’infurieresti
perché scrivendo ho concesso che un luogo
simile esista, ma non preoccuparti
uscirò anche da questa cartolina:
nel suo rovescio ho trovato la mappa
che conduce in un’altra dimensione.

In un libro ricco di varietà formali tra cui il ricorso alla terzina, spesso rimata; la costruzione di poemetti composti di frammenti – in una fusione della dimensione poematica e del frammento lirico –; litanie e suites tematiche e con una lingua riccamente post-grammaticale e specialistica, Federico Italiano da un lato si fa interprete della crisi del soggetto poetico di fronte a un mondo onnipresente e invasivo – in perfetto accordo con alcune istanze socio-antropologiche contemporanee –, dall’altro rimarca la natura della poesia come strumento interpretativo privilegiato di un cosmo caotico ed esploso attraverso cui il testo è in grado di edificare ponti di senso che travalicano la percezione del soggetto stesso, immettendo nel sostrato inusitato e irrazionale, costantemente metamorfico che è alla base del mondo percepito.


unnamedFederico Italiano, Habitat,
Elliot Edizioni 2020, 88 pp.,
14,50€