Tra i tanti titoli che l’editore Il Saggiatore ha messo a disposizione in free download per un periodo limitato nell’ambito dell’iniziativa “solidarietà digitale”, nata in tempo di lockdown, c’è anche La Dragunera, il romanzo d’esordio di Linda Barbarino, la cui uscita nelle librerie era inizialmente prevista per il 12 marzo. Questa operazione ha salvato il titolo da una pubblicazione in sordina, e ha suscitato subito l’interesse dei lettori e della critica – portandolo oggi tra i dieci romanzi finalisti del Premio POP indetto da Fondazione Mondadori.
Ambientato in una Sicilia rurale, calda e magica, La Dragunera è, fondamentalmente, il racconto di un amore impossibile. Rosa Sciandra è una donna cresciuta troppo in fretta, malinconicamente legata a un passato deformato dalla sua stessa memoria. Il suo desiderio più grande è quello di ritornare nella “casuzza dietro al Duomo” in cui è cresciuta insieme alla madre e alla sorella, simbolo di un’infanzia dove tutto era ancora possibile. Quelle stanze, però, sono abbandonate da anni, e Rosa – ormai sola – si è trasferita in una piccola casa ai margini del paese. Lì riceve ogni giorno i suoi clienti, in mezzo a tutti gli oggetti che si è guadagnata con il suo “mestiere di puttana”. Gli uomini che passano per le sue stanze sono per lei tutti uguali, figure senza volto che entrano, consumano, si rivestono con una lentezza disarmante e se ne vanno. Rosa vorrebbe solo sparissero il più in fretta possibile: «Ogni volta sente il cliente di là che si sistema, e allora si alza a chiudere la porta, comincia a fare baccano, a smuovere forte le sedie, ma quello di là la cintura se la allaccia lo stesso e lei non può farci niente, si schiarisce la voce e lei si sente aggrinciare la pelle, e non di piacere».
Rosa, detta “la Sciandra”, è una donna apparentemente sconfitta dall’esistenza, che tuttavia conserva in sé qualcosa di ineluttabile, una profondità d’animo e un’integrità di sentimenti capaci di elevarla al rango di una novella eroina tragica. Le sue stanze pulite e ordinate, con i centrini dentro le vetrinette, riflettono una dignità che la Sciandra non perde mai, nemmeno quando è vittima delle sue impetuose emozioni. Nemmeno quando si lascia trascinare dal più maligno e illusorio degli amori. Nella folla di uomini senza volto che abusano del suo corpo, ce n’è uno solo di cui Rosa riesce a ricordare i lineamenti anche a occhi chiusi: Paolo Rizzuto. Paolo è un contadino, lavora nelle vigne di famiglia, e tutti i sabati fa visita alla Sciandra. Per lui, lei mette alla porta tutti gli altri clienti, sfoggia la biancheria pulita e prepara il letto in modo tale che, dopo, possano rimanere un po’ insieme a parlare o anche solo a fumare una sigaretta. Entrambi sanno di avere un rapporto speciale: Paolo, dai modi brutali, con lei si sente come “un cagnolo che non conosce bastone”, e finisce a parlarle delle sue preoccupazioni, del raccolto, del padre che si aspetta sempre troppo da lui. Rosa, dal canto suo, sa che quel contadino brusco e ruvido le è “entrato nel sangue” come nessun altro. Quello tra Rosa e Paolo è un sentimento spietato e impossibile, a cui entrambi hanno paura a dare un nome. Un amore sulla cui sorte gravano due fantasmi: il primo è la morale comune, che mai ammetterebbe un’unione tra un uomo come Paolo – benvoluto nel paese, gran lavoratore e piccolo proprietario terriero – e una prostituta. Il secondo è quello di un’altra donna, conosciuta da tutti come “La Dragunera”.
Nella tradizione contadina di Enna, paese natale di Linda Barbarino, si usa il termine “Dragunera” per riferirsi a una tempesta, una tromba d’aria che porta rovina al raccolto. È una forza antica e maligna, e l’uomo può solo ricorrere alle preghiere per contrastarla. «Mia nonna diceva che quando c’è la dragunera bisogna accendere una candela a Santa Barbara per allontanarla», spiega l’autrice in diverse interviste. Traslato nel sapere popolare, la dragunera va a indicare una donna pericolosa, una “magara” dai poteri straordinari, capace di togliere virilità agli uomini e portare rovina nelle famiglie.
Nel romanzo, la Dragunera è la moglie di Biagio, fratello di Paolo, una donna silenziosa e misteriosa, la cui identità viene taciuta per gran parte del romanzo. La sua esistenza prende corpo attraverso le parole di Paolo e i silenzi di Rosa, che spesso interrompe i racconti dell’amante ammonendolo: «Non ci andare troppo contra alla Dragunera. Gente tinta, sono». La dragunera viene presentata come una donna alta molto più del marito, con i capelli lisci e lucidi, bella di una bellezza sinistra. «Si vedeva che alla moglie di suo fratello ci piaceva comandare» spiega Paolo: è una femmina diversa, che non ha paura a sostenere lo sguardo degli uomini, diversa da tutte le donne del paese e proprio per questo spaventosa. La cognata di Paolo, inoltre, paga anche il pegno di essere a sua volta figlia di un’altra “dragunera”, presentata – come sua figlia – attraverso lo sguardo della gente del paese, attingendo a piene mani da leggende e archetipi popolari: la dragunera madre è una vecchia donna imponente, vestita con una lunga gonna sotto la quale nasconde gli ingredienti per «le magarie» e dove trovano rifugio i gatti randagi: «Le zampe di gallina e le code delle lucertole da dare alle femmine che venivano per convincere i mariti a tornare da loro». Sono donne indomabili, le dragunere, e giocano con ciò che più attrae e più intimorisce l’uomo, il sesso.
Così, mentre Rosa diventa taciturna e si fa il segno della croce – facendo trapelare di conoscere la Dragunera meglio di quanto voglia far credere – Paolo non riesce a contrastare l’irresistibile forza che lo attrae verso la “magara”. La cognata, che nel romanzo vediamo in carne e ossa in soli due momenti, è una donna semplice, quasi ferina, che nell’immaginazione di Paolo diventa una maga potente, un demone di sangue pronto a prendersi la sua virilità, il suo sesso e la sua terra. E più lui proverà a seguire la retta via della morale comune – sposa una ragazza che non ama, abbandona Rosa e lavora sempre più duramente nelle vigne di famiglia – più la dragunera infesterà le sue notti.
I personaggi della Dragunera sono vittime di un fatalismo che si ritrova spesso nei racconti popolari, ma che ricorda anche molto da vicina la Thyche greca, l’ineluttabilità. Linda Barbarino è un’insegnante di greco e latino, ed è evidente come la sua Sicilia sia essenzialmente intrisa di grecità. In molti hanno associato La Dragunera ai romanzi di Camilleri per la lingua e a quelli di Elena Ferrante per l’intensità emotiva. In realtà il romanzo d’esordio di Barbarino è vivido, tragico ed esemplare come solo i miti sanno essere. La stessa lingua utilizzata dalla Barbarino – un dialetto ennese ricco di contaminazioni, in cui le parole sembrano scelte anche per la musicalità – suona come un verbo arcaico, evocativo e solenne. Non si tratta di letteratura dialettale, ma di tragico antico. I personaggi femminili del romanzo, inoltre, sono vere e proprie donne del mito. E benché le figure della maga e della prostituta non siano certamente delle novità nella letteratura contemporanea, nella Dragunera assumono l’aspetto di effigi sacre e portano con sé il peso di una religione delle campagne, che mescola sacro e profano, cristiano e pagano.
La Sicilia di Linda Barbarino fugge lo stereotipo proprio grazie alla narrazione solenne e alla studiata scelta del linguaggio. Al centro del romanzo non vi è l’esaltazione forzata di una cultura contadina, né il ritratto della terra decadente tanto caro alla letteratura, quanto la messa a nudo dei sentimenti umani più misteriosi: l’amore e la paura, ma anche la fiducia, il rimpianto e la disillusione. L’ambientazione, in questo senso, funge bene da cassa di risonanza, con immagini ed espressioni che pescano dalla cultura siciliana dell’entroterra e ne esaltano gli aspetti più ruvidi e autentici, senza mai eccedere nella misura e senza scadere nel cliché.
Anche nel ritratto emozionale, La Dragunera ha poco a che vedere con lo studiato distacco della prosa di Elena Ferrante, e tende a ricordare di più le calde tenebre della Morante di Menzogna e sortilegio o le vertigini di Gesualdo Bufalino – due autori affatto estranei al fascino del racconto antico. In generale, è il mito a fare da padrone nella Dragunera, un mito commisto, fatto di credenze arcaiche e leggende contadine. E che, irrimediabilmente, affascina e trascina il lettore nelle sue calde e oscure viscere, come una bellissima e spaventosa tempesta.