Se si dovesse inquadrare l’ultimo libro di Jáchym Topol, Una persona sensibile, uscito per Keller nel febbraio 2020, si dovrebbe dire, prima di tutto, che è un romanzo centro-europeo. E si dovrebbe subito aggiungere, come fa Topol nell’intervista online a cura del Centro Ceco di Milano per il ciclo di incontri La cultura in quarantena, che è erede di quella lunga e strana tradizione letteraria ceca legata ai nomi di Jaroslav Hašek e Bohumil Hrabal, in grado di rispondere all’inferno di una realtà stretta dal filo spinato con il riso duro della trasfigurazione grottesca.
Quella di Topol non è mai una comicità accomodante, il suo intento non è quello di assecondare il lettore e nel riso che nasce si insinua la scossa del pianto. E forse è proprio questa la scommessa della sua letteratura: farsi pietra da scagliare contro le interpretazioni statiche e banali degli eventi; colpire, straniare, fare male. Liberarci dai regimi ottusi di senso. Proprio per questo Una persona sensibile ha suscitato polemiche in campo politico, tanto da spingere l’ex presidente della Repubblica Ceca, Václav Klaus, a firmare un articolo chiedendosi se uno scrittore potesse dissacrare a tal punto il proprio Paese con un romanzo del genere.
Una persona sensibile è ambientato nel 2016, la più prossima contemporaneità rispetto all’uscita del libro in Repubblica Ceca del 2017, ma i continui riferimenti a dati attuali, come le manifestazioni razziste in Inghilterra contro gli immigrati dell’est o l’attentato al Bataclan, si intrecciano a episodi inventati. Ad esempio, la creazione dell’autoproclamantesi Repubblica di Ajvaristat, lembo di terra ucraina “libera” perché occupata dall’esercito russo.
In una prima parte, il romanzo traccia l’odissea picaresca di una famiglia di attori trasandati che da Bristol deve raggiungere Poříčí, una cittadina della campagna boema. Nella seconda e più ampia sezione, accanto al racconto delle disavventure di Micio e dei suoi figli, si insinuano le storie delle canaglie che popolano le rive del fiume Sázava; uomini e donne in tute da ginnastica a cui tremano le mani quando le bottiglie finiscono. Le loro vite prorompono nella struttura del romanzo, che si smaglia in un mosaico di racconti e di ritratti stupendi e disperati. Sono loro l’esercito di partigiani che deve difendere la propria terra dalla violenza dei nuovi tentativi di occupazione economica russa, favorita dal presidente Zeman.
Grande protagonista del romanzo, così come delle altre opere di Topol tradotte in italiano, è la Boemia, il centro dell’Europa che porta nella sua memoria tutta la violenza e le contraddizioni del Novecento. E proprio per questo è importante, per comprendere fino in fondo il magma narrativo di Una persona sensibile, scoprire chi è il suo autore.
Nato a Praga nel 1962, Jáchym Topol ha firmato, all’età di sedici anni, il manifesto anticomunista Charta 77. Nel 1985 ha fondato la rivista underground «Revolver Revue»; ha scritto poesie e racconti che hanno circolato in edizioni samizdat, a causa delle quali è stato più volte arrestato.
Poi il muro è caduto: il 29 dicembre 1989 il poeta e, fino a quel momento, dissidente politico Václav Havel diventa Presidente della Cecoslovacchia; dal 1993 lo sarà della Repubblica Ceca. Si tratta del primo Presidente non comunista eletto dal 1948.
È da questa esperienza che Topol matura la sua scrittura, che intreccia spinte altamente liriche alla voce dura dei suoi personaggi canaglieschi, nella creazione di un linguaggio originale reso splendidamente nella traduzione italiana delle sue opere a cura di Laura Angeloni.
In Italia sono stati pubblicati per le Edizioni Azimut Lavoro notturno (2006) e Anděl. La fermata dell’Angelo (2008), ambientati a Praga il primo durante l’occupazione russa del 1968, il secondo negli anni ’90 successivi alla rivoluzione di velluto. Entrambi non sono più disponibili. Artisti e animali del circo socialista, uscito per Einaudi nel 2011, svolge anch’esso la sua trama tra il ’48 e il ’68, le due date-voragine che travolgono il protagonista, il bambino Ilja dell’orfanotrofio casaCasa e lo rendono partecipe della missione surreale di portare in salvo il Circo di Stato della Repubblica Democratica Tedesca Hygea e di installarlo a Siřem, per dare un primo esempio dello splendore a cui porteranno gli ideali sovietici.
Nella Postfazione mancata all’edizione del primo romanzo di Topol tradotto in italiano, Lavoro notturno, del 2006, è scritto:
Sono passati sedici anni, un’eternità! Del vecchio regime sono rimasti solo ricordi e rovine, e fili spinati arrugginiti in quei boschi che una volta erano di confine. E ferite nell’anima, e due o tre canzoncine comuniste che ai più giovani suonano come incomprensibili invocazioni.
È questa ferita nell’anima la poetica di Jáchym Topol, il suo punto di vista: uno squarcio nella terra della Storia in cui emergono le rovine di un passato vicino e traumatico, una visione che ricorda la lettura dell’Angelus Novus di Klee fatta da Walter Benjamin, l’angelo della Storia che guarda alle sue spalle pieno di angoscia.
È per questo che i personaggi di Una persona sensibile sono tutti monchi. Alla madre, Soňa, manca un occhio, il figlio più grande è muto, il bambino in fasce non sa piangere, il papà dice per tutto il libro che vorrebbe scrivere ma non trova mai le condizioni che glielo permettono. In Topol però la catastrofe non mortifica e viene accolta in una narrazione tanto disperata quanto comica. La Boemia che vive in questa ferita è una terra popolata da personaggi sghembi, drogati, briganti e assassini; dissidenti non da un regime politico, ma da tutti i maldestri o colposi “tentativi di esaurimento” della loro Storia. Le contraddizioni del Vecchio Mondo e, in particolare, quelle della Boemia si rifrangono in una narrazione frenetica di eventi che non danno mai il tempo ai personaggi di cadere nella tragedia; corrono sull’orlo del precipizio, salvati da quella sensibilità che permette loro di desiderare l’amore tra le macerie. Correlativo oggettivo di questa resistenza all’abbandono si scava in un gesto lieve nel tumulto degli eventi del romanzo:
E il papà cammina a grandi falcate sulla riva. Pesca in acqua, tira fuori una pietra piena di cicatrici, incisa dall’acqua e dai secoli.
Tra le rughe, tra le fessure del sasso, si contorcono dei vermicelli.
E il papà solleva la pietra.
Vedi, ragazzo?
Le larve tremolano tra i raggi del sole, i minuscoli membri del regno acquatico giocano a nascondino nella ruggine trasudata dalla pietra.
Si vive anche senza calore!
La Storia, così come le vite che ci brulicano dentro, è fatta di crepe. Lo scrittore ha il compito di raccontarle. E poi ci sono l’alcol e l’amore per le donne a salvare dall’angoscia.