Esistono tanti modi per influire sulle vite degli altri, sia che questi siano accanto a noi sia che siano a chilometri di distanza, sia che lo si faccia volontariamente sia che non si abbia il controllo delle proprie azioni. Questo lo spiega benissimo Giorgio Biferali nel suo libro Il romanzo dell’anno pubblicato per La nave di Teseo nel 2019, servendosi di toni semplici e indagatori in cui i drammi personali e quelli collettivi si fondono in un racconto dinamico e introspettivo.
Siamo in piena Roma, è la notte di Capodanno tra il 2015 e il 2016, quello che sarà un anno intenso e costellato da eventi tragici e inaspettati. Dopo aver litigato con Niccolò, Livia scappa via in moto, scivola sui sampietrini ed entra in stato comatoso. Per non farle perdere nulla dell’anno in corso, il giovane romano inizia a scriverle una serie di lettere in cui racconta alla ragazza tutto ciò che accade nel mondo e nella sua vita, senza tralasciare la sofferenza che prova nel non poterla aiutare a svegliarsi. Le lettere d’amore, lo sa Niccolò, sono sempre le più difficili da scrivere, in quanto si va incontro ad alcuni imbarazzi naturali come la paura di essere banali e desueti.
Le lettere d’amore sono ridicole. Anzi no, chi scrive lettere d’amore è ridicolo, soprattutto oggi che nessuno le scrive più. Chi ha il tempo di prendere carta e penna, di fermarsi a pensare, cominciare una lettera, riscriverla più volte fino a che non viene bene, rileggerla, piegarla, chiuderla in una busta, uscire di casa e andare alla posta, o magari cercare una buca dove infilarla? […] Ormai, le ultime lettere d’amore rimaste sono scritte sui muri delle città (p.15).
L’autore, dunque, si serve di uno strumento difficile e inusitato di questi tempi e per ovviare a tante incertezze impiega uno stile fin da subito coinvolgente, fluido e colloquiale. Sono presenti anche molti riferimenti pop ad artisti indie italiani, a classici del cinema, a più serie tv, e non solo.
I personaggi del romanzo si presentano a chi legge in modo vivido e concreto, con i problemi della frammentazione e della liquidità caratteristiche dell’uomo di oggi, abbracciando il lettore in una contiguità spontanea. Gli amici di Niccolò discutono di applicazioni e siti d’incontri, gli appuntamenti si organizzano tutti su Whatsapp e i viaggi si organizzano per via telematica.
Si tratta di una scelta efficace che si inquadra perfettamente nel “contemporaneismo” di tutto il libro; il testo così comunica direttamente al lettore, mettendo a nudo la vulnerabilità di Niccolò senza filtri o reticenze. D’altro canto è necessario accostare una forma di scrittura chiara e accessibile a un vortice di sfoghi difficili da ordinare, come si legge nell’estratto riportato.
Buonanotte, che bello che non sei tra quelle persone che scrivono Buona notte, e accanto ci metti anche due piccoli cuori rosa che sembrano sospesi per aria. Non lo so quante volte leggo i tuoi messaggi, prima di aprirli, penso a cosa risponderti, e come, penso a tutto quello che è appena successo, vorrei aprire Youtube, mandarti una canzone di Dente, Baby Building e scriverti “Ma che begl’occhi che hai, chissà come mi vedi bene”, ma non lo faccio, sarebbe troppo, meglio limitarsi all’anch’io, all’anche per me è stato così, almeno siamo pari, più o meno, perché comunque me l’hai scritto prima tu, però poi mi vengono degli strani pensieri, non tanto belli, tipo che questo è stato il nostro primo appuntamento e tu, al nostro primo appuntamento, mi hai fatto un pompino in macchina, in pieno centro, anche se eravamo appartati, allora penso cose stupide come Ma non è che lei fa così con tutti? (p.109).
Le lettere sono raggruppate in tre momenti di scrittura che raccolgono le peripezie dell’intero anno esposte – quasi sempre – attraverso il punto di vista Niccolò. È curioso, inoltre, il modo in cui alcune domande di vario tipo intervallino i racconti e prendano ognuna lo spazio di una pagina intera. I quesiti si impongono sul ritmo di lettura perché, nonostante la finzione letteraria indirizzi queste domande a una persona in quel momento incosciente, non possono lasciare indifferente il lettore; si tratta di domande casuali e apparentemente sconnesse tra loro, alcune più banali, altre quasi esistenzialiste. Insieme però compongono il mosaico di una psiche in cui facilmente ci si può immedesimare. Quelle domande possono essere state poste da chiunque e chiunque può provare a rispondere. In questo senso possono sembrare decontestualizzate rispetto alla cornice del romanzo, ma non passerà molto tempo prima che trovino la loro risposta in colei che è la culla degli stessi quesiti: Livia. Rovesciando ogni certezza che avevamo acquisito durante la lettura e stravolgendo la prospettiva del romanzo, il viaggio invisibile che l’animo turbato dell’amante compie nel tempo torna ciclicamente al punto di partenza, nell’epilogo decisivo che suggella tutte le lettere strappalacrime di Niccolò.
Stile colloquiale, personaggi concreti e domande trascinanti non lasciano dubbi sull’intento di Biferali. Egli vuole instaurare un rapporto empatico tra i dolori e desideri dei personaggi e quelli di chi si confronta col suo libro. Come si evita, però, il rischio di appiattire completamente l’individualità dei singoli personaggi? Nel tentativo di far immergere mimeticamente il lettore nelle situazioni emotive vissute durante la narrazione, infatti, c’è la possibilità di rendere anonimi gli attori della storia. In realtà quello dell’autore è un esperimento, egli cerca di dimostrare quasi scientificamente che certi sentimenti, pur essendo comuni a più persone, trovano alla fine una forma di interpretazione e di espressione diversa. Se l’uno può essere centomila nel momento in cui, ad esempio, soffre, perché tutti fanno esperienza, prima o poi, del dolore, ciò che lo rende unico è il modo in cui risponde a ciò che gli fa male. Ed è nel dolore più che negli altri sentimenti che gli uomini e le donne si interrogano su se stessi. Dal dolore, inoltre, nasce l’espressione più sincera e completa del proprio io, così come dal dolore e dalla paura di aver perso irrimediabilmente qualcuno nasce Il romanzo dell’anno.
«Esiste l’effetto farfalla?» (p.76);
«Si può piangere pensando a Harry Potter?» (p.83);
«Perché alcuni non accettano che la propria compagna abbia avuto una vita prima di loro e possa averne un’altra dopo?» (p.89); «L’amore è più forte della paura di morire?» (p.90).
Prima di aspettare le risposte di (e in) Livia è pertanto impossibile non soffermarsi sulle tante suggestioni che i dubbi posti trasmettono, specie perché affondano le radici quasi sempre in un punto cardine del racconto: il peso della singola esistenza e il modo in cui quest’ultima si relaziona a ciò che la circonda.
Forse risulta difficile credere che una sola persona abbia la capacità di cambiare le sorti della storia, ma l’effetto farfalla, come scrive Niccolò, assume proprio questo: che tutto sia collegato, persino il battito d’ali di una farfalla e un uragano dall’altra parte del mondo. Una vita, secondo i dettami di questa teoria, ha dunque un doppio rilievo: il primo diretto, in cui ognuno vive secondo le proprie scelte, condizioni e contesto, potendo assistere o farsi un’idea dei risultati delle proprie azioni, il secondo invece è più un effetto collaterale su più larga scala, difficile o impossibile da monitorare.
La vita di un paziente in stato vegetativo, ad esempio, è assente al presente e in teoria si può circoscrivere solo a due piani temporali: la vita già vissuta, passata, e quella che si avrebbe voluto vivere, sperata. Tuttavia, non è forse l’assenza stessa un modo determinante di partecipare al corso degli eventi? Nella sua non-vita, Livia vincola il comportamento di più attori della storia, che a loro volta agiscono influenzati dai recinti emotivi che la sua condizione provoca.
Si potrebbe pensare che questo suo modo incidente, sebbene indiretto, di interagire con gli altri, sia in linea col suo mestiere, dal momento che la ragazza è un’attrice di teatro. Così come quando recita, Livia si trova in un tempo inesistente, slegato dalla realtà, ma riesce a trasmettere e suscitare delle emozioni agli spettatori che potrebbero decidere di comportarsi diversamente nella vita di ogni giorno alla luce di quanto provato. Pur rinchiusa in una camera d’ospedale e distesa immobile sul letto, non si può dire quindi che ella non sia presente in quello che la coppia sperava sarebbe stato il loro anno. Che si tratti di effetto farfalla o meno, è certo che in un modo o in un altro quella di Livia non è un’assenza, bensì una forma alternativa di presenza.
Il 2016 sarebbe stato il nostro anno. La differenza era che tu la vivevi con leggerezza, tipo che bastava vivere e tutto il resto sarebbe arrivato, io no, io avevo un po’ d’ansia, era come se andassi di fretta, non vedevo l’ora che arrivasse quel momento, e tu pensavi che io non facessi altro che perdermi il presente per un futuro che ancora non c’era (p.132).
Il litigio che separa subito prima dell’incidente gli amanti è emblematico, in quanto la causa sta proprio nell’eccessiva premura di Niccolò su ciò che ancora deve accadere e, poco dopo, questo stesso episodio lo costringerà effettivamente a concentrarsi sul presente come gli chiedeva di fare Livia. È come se per contrappasso fosse obbligato a capire l’importanza dell’oggi senza lasciare che un futuro indefinito (e per questo spaventoso) si metta in mezzo alle sue scelte. Per sopravvivere a una situazione tanto dolorosa, in più, è necessario appellarsi ai ricordi della loro storia. Il passato è un’ancora a cui aggrapparsi nei momenti più nostalgici e quando si inabissa nei momenti vissuti insieme prima del coma, per Niccolò la memoria diventa un modo per esorcizzare la paura di un futuro in cui la solitudine pare regnare sovrana.
In attesa di un domani al plurale, si accontenta di vivere il presente da cronista e fa di tutto affinché una volta sveglia, Livia non abbia perso nessun avvenimento di quel caotico 2016 a cui anche lei potrà dire di aver partecipato.
Giorgio Biferali, Il romanzo dell’anno, Milano, La nave di Teseo, 2019, 217 pp., € 17.