La recensione fa parte di un progetto di collaborazione fra la rivista “La Balena Bianca” e il Master in Editoria promosso dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e dall’Università degli Studi di Milano nel contesto della quinta edizione del Premio POP – Opera Prima, coordinato da Andrea Tarabbia. A coronare mesi di discussione e lavoro in classe intorno ai libri in lizza per il premio, gli studenti del Master si sono cimentati nel recensire a gruppi i titoli giunti nella cinquina finale. L’iniziativa rispetta a pieno l’intento alla base del Premio POP: permettere un confronto tra (quasi) esordienti nel mondo editoriale e scrittori esordienti del panorama italiano contemporaneo.


Questa recensione è stata scritta dagli studenti Giacomo Bianchi, Bruno Giancarli, Eva Mascolino, Giulia Recchioni, Silvia Rialdi, Serena Sibona


«Sognavo di mischiarmi a lei, a mio padre, a mia sorella, in una specie di ritorno a un’origine sconosciuta, ma che sentivo appartenerci e guidarci ancora, nonostante i chilometri che ci separavano adesso, i fili tiravano, strappavano, manovravano le nostre braccia di legno scosse in un infinito abbraccio» (p.143).

I personaggi del primo romanzo di Valentina Maini sembrano burattini guidati da fili invisibili, figure tridimensionali la cui libertà di pensiero e azione, però, viene perennemente frenata dal disordine dell’esistenza. I due gemelli Gorane e Jokin, figli di due militanti dell’ETA, sono cresciuti senza regole o punti di riferimento, sviluppando caratteri contrapposti. L’una, rigida e introversa, ha rifiutato la causa dei genitori e vive in una realtà allucinata, cristallizzata fuori dal tempo; l’altro, batterista eroinomane, ha aderito alla causa basca e si è fatto trascinare dagli errori fino a perdere il controllo. Presto le strade dei due si separano: Jokin si trasferisce a Parigi, dove si innamora di una misteriosa piromane di nome Germana, mentre Gorane, rimasta a Bilbao a occuparsi dei genitori, ne perde le tracce.

La mischia in cui i due sono costretti a muoversi cela una sotterranea armonia – e da questo punto di vista non è casuale il richiamo alle parti di una sinfonia nei titoli dei capitoli, la cui struttura articolata e complessa ricorda una partitura musicale: preludio, Primo e Secondo movimento, chiusura. Tuttavia, a differenza di una composizione classica, tale armonia non si risolve mai in direzione della tonica che si aspetterebbe il lettore. Anche in questo senso è valido il paragone, più volte richiamato dalla critica, con Bolaño: se ne ritrovano le coincidenze che cadono nel vuoto, l’inseguirsi senza confluire mai, le aspettative disattese. L’architettura su cui si regge il romanzo è ulteriormente arricchita da una polifonia di voci, stili e focalizzazioni. Si va dalla prima persona di Gorane, che riecheggia la Malina di Ingeborg Bachmann, alla prima plurale dei genitori di ispirazione beckettiana, per approdare alla fredda oggettività dei verbali di polizia e dei referti psicoanalitici.

Uno dei temi portanti dell’opera sembra quindi il caos, a cui si affianca la disillusione. Gorane e Jokin crescono senza regole, ma non sono mai liberi; cercano ma non trovano; amano senza che l’amore li risolva. La famiglia non è luogo di coesione e sicurezza, ma di disgregazione: l’ennesimo mito da sfatare. Il vero punto di contatto tra i due fratelli, nonché baricentro delle tensioni emotive, si rivela inaspettatamente Germana, che con la sua carica vitale riecheggia la Maga di Cortázar (Rayuela).

Al filone principale Maini aggiunge un secondo livello narrativo, adottando l’espediente del romanzo nel romanzo: Gorane rintraccia il fratello tra le pagine di Entangled, un libro scritto da Dominique Luque, padre di Germana. La narrazione è condotta in prima persona proprio dal punto di vista di Jokin e, esaltata da questa coincidenza, Gorane decide di perlustrare Parigi nella speranza di riunirsi al fratello. L’autrice non commette l’errore di usare questo strumento come un esercizio di stile fine a se stesso. L’operazione è condotta in maniera equilibrata e soprattutto funzionale, nella misura in cui permette un’intelligente riflessione sulle potenzialità e i limiti della scrittura, che trasfigura inevitabilmente i due protagonisti, rielaborandoli e rendendoli personaggi:

«La narrazione potrà forse sembrarle sconclusionata, e a ragione. Non solo per la materia su cui si regge, una materia fragile, incerta, pressoché priva di colpi di scena: le sole svolte narrative, le sembreranno forse ripetizioni, amplificate, di uno stesso evento incendiario, elucubrazioni sterili su un rapporto ambiguo cementato sul niente» (p. 157).

Questa breve rassegna non pretende di esaurire la ricchezza del romanzo, ma di suggerirne le potenzialità. Al riguardo va detto che a tratti le sue stratificazioni richiedono uno sforzo non banale, considerato il panorama della narrativa italiana contemporanea. In un certo senso, si può dire che il romanzo della Maini evochi già il successivo. A differenza di tante, troppe prime uscite in cui è evidente che l’autore non avrà più nulla da dire, in questo caso le capacità di Maini fanno ben sperare in un’ulteriore fatica. Non è forse la trama in sé il vero punto di forza de La mischia, bensì la sicurezza con cui padroneggia plurime tecniche descrittive e compositive. Se, da un lato, un testo più snello avrebbe forse agevolato la lettura, dall’altro è proprio nelle parti più complesse che Maini dimostra la sua abilità di narratrice sperimentale, modulando volta per volta la lingua a seconda del personaggio con grande originalità. Il suo esordio si configura come un’opera dalle coraggiose peculiarità stilistiche e tematiche, per il quale è stata pensata una veste grafica curata e funzionale, coerente con l’immagine di una casa editrice che in passato con le proprie copertine ha fatto scuola, anche grazie a collaborazioni di spicco, come quella con Enzo Mari.

Non a caso, inserendo questo titolo in Varianti, Bollati Boringhieri ha arricchito una collana già di prestigio che, nata nel 1987, si ripropone di valorizzare importanti opere narrative: eleganti testi di vecchia data, autori di grande successo e veri e propri classici come le opere di Georges Perec. Accanto a nomi affermati della letteratura italiana e straniera, in una eterogeneità che il nome stesso suggerisce, la collana ospita anche autori esordienti, ai quali la casa editrice ha dedicato una speciale  attenzione. Nel caso specifico, rivolta a un’autrice dal promettente futuro editoriale. 

«Mio fratello si chiama Jokin, sto andando a riprenderlo. Senza di me si perde, senza di lui non vado da nessuna parte. Non siamo gemelli siamesi ma forse avremmo dovuto esserlo. La nostra vita sarebbe stata più facile, io di certo avrei commesso meno errori se fossimo stati attaccati. Anche per lui le cose sarebbero andate meglio. Se Jokin avesse tirato troppo lo avrei fermato. Se io fossi rimasta troppo immobile lui mi avrebbe portato in giro e spinto nella mischia» (p. 209).


Sull’opera prima di Valentina Maini la Balena Bianca ha pubblicato anche la recensione di Marco Mongelli e il commento di Giacomo Raccis.


Valentina Maini, La mischia, Bollati Boringhieri, Torino 2020, 512 pp. 18 €.