Nel suo famosissimo saggio dedicato all’opera dello scrittore russo Nikolaj Leskov, Walter Benjamin definisce la narrazione come la capacità di scambiare esperienze e delinea due figure archetipiche e anonime di narratori orali: l’agricoltore sedentario e il mercante navigatore. Il primo è profondamente legato alla sua terra e conosce a fondo le tradizioni della sua comunità, mentre il secondo ha viaggiato per il vasto mondo ed è entrato in contatto con le culture più lontane. Tra gli scrittori italiani, Sandro Campani è senza dubbio uno di quelli che più si avvicina alle modalità di racconto dell’agricoltore sedentario; e questo non soltanto perché nei suoi romanzi racconta di una valle immaginaria dell’Appennino tosco-emiliano che ricorda da vicino quella Val Dragone dove è nato e cresciuto, ma anche perché la sua scrittura si fonda su un’etica del racconto che risale alle radici del significato della narrazione come dialogo e scambio di esperienze tra autore e lettore.
Quest’idea di letteratura è ben rappresentata dall’ultima prova di Campani, I passi nel bosco, uscito da pochi mesi per Einaudi. Il romanzo si concentra su alcune famiglie di un piccolo villaggio dell’Appennino modenese che si ritrovano per tagliare il bosco di Fausto, un loro compaesano morto prematuramente prima di vedere realizzato il suo sogno di aprire un albergo diffuso. Per l’occasione tutti si aspettano di vedere finalmente ricomparire anche Luchino, il fratello di Fausto di cui tutti continuamente parlano. Di volta in volta descritto coi tratti di un casanova, di un trickster o persino di un Cristo deriso, è sempre capace di affascinare con la sua sola presenza donne, ragazzi, vecchi e bambini. Ma il suo comportamento e la sua aura gli attirano anche l’odio viscerale del notaio Antonello, suo rivale in amore, e di suo fratello Danielone, che da Luchino si è sentito tradito e abbandonato dopo averlo profondamente ammirato e imitato in ogni gesto. Luchino è inafferrabile e imprevedibile, appare all’improvviso in paese o tra i boschi e sparisce in modo altrettanto inatteso, dando origine tra gli abitanti del villaggio a una girandola di fantasie sul suo conto e sui suoi vagabondaggi:
Tempo qualche settimana, avevo già sentito che Luchino era sparito per sfuggire a qualcuno che lo minacciava, che aveva rubato all’albergo ma la Betti non l’aveva denunciato, che era in Belgio in galera per dei passaporti falsi, che era stato fermato a Barcellona, era andato nei casini per l’Islam, che aveva due mogli in Egitto, e che in Germania s’era messo a spacciare, anzi si era rimesso a spacciare, e che si scopava le vecchie per soldi. E così via.
Luchino è un personaggio chiave anche perché ci aiuta a capire come la scrittura di Campani interagisca con il lettore. Durante una delle sue lunghe assenze dal villaggio, Luchino decide di inviare per divertimento a una mailing list di compaesani aggiornamenti sulle sue recenti peripezie. Ma i suoi lettori più appassionati si concentrano troppo sui dettagli (veri o presunti tali) dei suoi resoconti, mentre – come spiega Antonello – il suo obiettivo è un altro: «Gli amici che ricevevano le mail dovevano capire che la cosa interessante era il racconto. Il lavoro in sé era un pretesto, non contava». Allo stesso modo, non è tanto la storia del taglio del bosco di Fausto a rendere interessante il romanzo di Campani, quanto piuttosto le modalità narrative scelte dall’autore per raccontare le vicende e per stabilire un contatto con il pubblico di lettori.
Nei libri di Campani infatti non succede molto – e lo stesso scrittore in diverse interviste non si definisce affatto un “animale da trama”. I pochi eventi che hanno segnato le esistenze dei protagonisti sono riraccontati da diversi punti di vista e con parole sempre nuove dai vari personaggi, che aggiungono una tessera per volta fino a quando non ci viene restituito il mosaico per intero. Un esempio di quanto il centro della scrittura di Campani non stia tanto nel ‘cosa’, ma piuttosto nel ‘come’ le vicende sono narrate è il romanzo che precede I passi nel bosco, Il giro del miele (Einaudi 2017). Il testo è costruito come un dialogo lungo un’intera notte tra il falegname Giampiero e l’ex-apicoltore e buttafuori Daniele, che davanti a un camino acceso e a una bottiglia di grappa ripercorrono i traumi irrisolti del proprio passato. E se questa ambientazione e questa scelta narrativa riportano subito ai racconti d’avventura dei marinai di Joseph Conrad, nei Passi del bosco Campani sceglie invece di seguire l’amato Faulkner di Mentre morivo.
La storia del taglio del bosco di Fausto viene infatti narrata da sei diverse prospettive e il dialogo tra i punti di vista dei personaggi viene creato con un sapiente montaggio in tre tempi. Tra la prima parte, in cui le voci di Luisa, Francesco, Oreste ed Emilia si alternano ogni poche pagine, dando al testo un ritmo concitato, e l’epilogo, dove a parlare è il bambino di otto anni Beniamino, si trova incastonato il lungo (e splendido) monologo di Antonello. Dopo un incipit potente (“Un giorno stavo ammazzando mio fratello”) che lo introduce sulla scena come un erede mancato di Caino, Antonello confida il suo amore assoluto per Catia e il suo odio per Luchino che gliel’ha portata via. Ma Catia e Luchino, che nel romanzo non intervengono mai in prima persona e che ci vengono presentati solo per brevi momenti dagli altri personaggi, sono fatti per stare insieme perché appartengono a un’altra specie, sono leggeri come spiriti dei boschi. Per questo Antonello non può rivedere Catia che nei suoi sogni, mentre si allontana da lui distesa in un torrente come l’Ofelia shakespeariana del dipinto di John Everett Millais:
Una volta ti ho sognata vestita di bianco, immobile, supina, e le tue braccia erano stese lungo i fianchi, scivolavi sopra il torrente fiorito. La zattera era un pezzo di lamiera, il tetto della cabina di un camion rubato, e io mi chiedevo per quale tipo di cerimonia l’acqua scorresse tra rive di fiori.
Gli aspetti rituali e magici di questa scena, che riassume l’amore infelice di Antonello per la ninfa Catia, tornano anche nelle apparizioni improvvise di Luchino o nelle visioni che i personaggi del Giro del miele avevano di una lince, animale totemico dei boschi d’Appennino. Questi elementi fiabeschi e mitici restituiscono la visione di una realtà ancestrale che nel villaggio persiste sotto una crosta di modernità, e insieme chiariscono come le vite degli abitanti siano regolate da una temporalità diversa, rispecchiata dall’andamento narrativo non lineare del racconto. Leggendole in parallelo, le opere di Campani appaiono come una costruzione per aggregazioni successive del racconto di una comunità che resiste in una di quelle zone dell’Italia interna e spopolata in cui il tempo ha un altro passo: il passo lento e misurato dell’epica.
Si ringrazia Sandro Campani per aver concesso i diritti di riproduzione della fotografia utilizzata come immagine di copertina dell’articolo.
Sandro Campani, I passi nel bosco, Torino, Einaudi, 2020, pp, 248, € 19,50