Oliver Sacks, in uno dei suoi libri più belli, sottolinea come la parola «allucinazione» sia entrata nell’uso del linguaggio comune nel Cinquecento quando significava «semplicemente un vaneggiare, una “mente errante”». Fu nel corso dell’Ottocento che la parola ha assunto il significato attuale mentre prima quelle che noi chiamiamo allucinazioni erano indicate, in maniera molto semplice, come «apparizioni». Definire e distinguere i significati delle due parole, continua Sacks, non è semplice, ma nel nostro parlare comune possiamo forse individuare un discrimine tra le allucinazioni che si avvicinano più a eventi che nascono in «assenza di una qualsiasi realtà esterna» e le apparizioni che invece hanno un punto di origine che incrocia e tange il mondo fenomenico.
Il nuovo libro di Andrea Gentile, Apparizioni appunto, pubblicato da nottetempo, si compone proprio di un quadro disomogeneo e complesso di immagini improvvise, squarci nella regolarità del pensiero e dell’esistenza che, se attivano un pensiero, si tingono di caratteri rivelatori: «Non c’è apparizione – scrive Gentile – se non c’è sensazione. Non c’è presente senza sensazione. Non c’è sensazione senza consapevolezza. Non c’è consapevolezza senza contemplazione». Ciò che Gentile cerca di costruire attraverso il suo libro è una comprensione del mondo assolutamente personale, tale infatti è il carattere delle apparizioni (perché «tutto appare, viene alla luce», ma un’apparizione, per essere tale, deve generare un mutamento e grazie a esse, aggiunge Gentile, «ci sentiamo vivi»), proprio a partire da lampi improvvisi: così si affastellano una serie di quadri differenti che muovono in chi li vive qualcosa spesso di inspiegabile ma che, processato dalla mente, si fa memoria e luogo di nascita di un nuovo pensiero.
Uno dei primi avvenimenti di questo tipo di cui Gentile parla ha a che fare con un tragico incidente mortale di due giovani ragazze filmato da loro stesse in diretta su Instagram e nelle pagine successive torna spesso a concentrarsi sulle immagini che popolano il web e sottolinea come il mondo digitale, nonostante sia «lo spazio più in grado di generare apparizioni», un vero e proprio aggregatore di apparizioni, nasconda però in sé, soprattutto se l’esperienza arriva direttamente ed esclusivamente dallo schermo, il rischio di «depotenziare» la realtà. Walter Siti già nel 2006 in Troppi paradisi parlava di un depotenziamento della realtà di cui era responsabile il mezzo televisivo («Quella che di solito, sbagliando, chiamiamo “irrealtà televisiva” è invece realtà depotenziata. La realtà mostrata in tivù deve essere accettabile (e produrre denaro): dunque è bene tenerla sotto controllo, aggiustarla prima che la telecamera la riprenda»), ma questo processo è negli ultimi anni esploso e la sovraesposizione continua di immagini e contenuti ha finito per anestetizzare la percezione del reale di ognuno («L’ipercomunicazione distrugge invece sia il tu sia la vicinanza, le relazioni sono sostituite dalle connessioni» ha scritto in Psicopolitica il filosofo coreano Byung-Chul Han, che torna anche nelle pagine del libro di Gentile). Dove sta allora il carattere importante delle apparizioni in una società in cui il lampo improvviso è sempre pronto a essere sostituito da un nuovo input senza alcuna soluzione di continuità? Sta all’interno di un paradosso banale e ripetuto come un mantra negli ultimi anni: una dose così massiccia di informazioni e immagini, la possibilità così ampia di poter conoscere e comprendere attraverso la rete si trasforma in un grande buco nero, dove ad avere la meglio sono spesso gli sviluppi “peggiori”, le fonti non accreditate, la violenza di gruppo, il senso di invincibilità che dona un profilo anonimo.
Eppure il libro di Gentile, che pure dedica spazio alla realtà digitale e a ciò che accade sui social, come la tragica e inquietante vicenda di una ragazza che chiede ai suoi follower se vivere o morire e al termine della votazione si lancia dal terzo piano, si pone intelligentemente nella posizione di un osservatore curioso e attento a non cedere del tutto a questa che oramai più che una verità è una semplificazione, trovando una via di fuga percorribile dal paradosso avvolgente cui si è accennato sopra. Perché, come emerge dal libro, ed ecco una delle sue risorse maggiori, le apparizioni sono molto altro e sono strettamente legate all’esperienza concreta, fisica, piacevole o dolorosa che sia: sono per esempio dei lampi improvvisi che si realizzano quando si è vicini a una persona in fin di vita (ed è interessante il fatto che l’apparizione simbolo di vitalità del pensiero dialoghi così da vicino con la morte), sono i ragionamenti che nascono da una conoscenza e coscienza dei processi che avvengono nella mente (numerosi sono i riferimenti alla filosofia della scienza e alle neuroscienze) o le improvvise illuminazioni che genera l’arte, la musica o la letteratura. Però si tratta sempre, come è evidente e naturale, di spezzoni, particelle, dettagli di quadri incompleti: qualsiasi cosa si voglia conoscere la nostra padronanza non sarà mai totale, perché questa cosa ci è esterna e così resterà, e a nostra disposizione esiste solo la sensazione, quella che fa in modo che un’apparizione sia tale e che si spalanchino le porte dell’ignoto e movimenti inediti del pensiero.
Gentile, che in Apparizioni fa uso di una narrazione che parte da esperienze autobiografiche che sembrano come il centro di ragnatele ampie e resistenti dalle improvvise e numerose ramificazioni, immerge questa esperienza nella quotidianità perché questa è l’unico supporto con cui ci possiamo confrontare concretamente. Stride talvolta, nel corso del libro, questo appigliarsi al mondo fenomenico con una riflessione che sembra ogni tanto scordarsi di tale ancoraggio fondamentale, ma forse sta anche in questo leggero e persistente scarto la natura più profonda del nostro rapporto con il mondo e la riflessione su di esso, proprio nell’impossibile addomesticamento del pensiero nel suo lanciarsi, libero, lungo gli itinerari dell’interpretazione. La natura spezzettata del mondo è infatti l’espressione più aderente del contemporaneo e allora, per usare le parole di Gianni Celati nel suo saggio Il bazar archeologico, indagare «l’oggetto dimenticato che emerge come scarto o detrito» è avvicinarsi alle apparizioni, a questi relitti di reale in cerca di attenzione ermeneutica.
Andrea Gentile, Apparizioni,
Nottetempo, Roma 2020,
240 pp., 18€