È uscito lo scorso 28 novembre Franco Fortini – Memorie per dopo domani, documentario realizzato dal filmmaker e fotografo Lorenzo Pallini. Una vera e propria «produzione dal basso», resa possibile grazie al contributo di 225 crowdfunders, e visibile a offerta libera su OpenDDB.
Nato dalle iniziative sorte nel 2014 in occasione del ventennale della morte dell’autore, il documentario si avvale di preziose collaborazioni. Dalle testimonianze di amicizie, allievi e studiosi alle ricchissime fonti d’archivio – Centro studi Franco Fortini, AAMOD -, fino a partner come Marmorata169 e SMK Factory.
Franco Fortini – Memorie per dopo domani è realizzato con il patrocinio della Regione Toscana e del Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne dell’Università di Siena. Il coronamento di sei anni di lavoro e di studio, ma anche e soprattutto di viaggi, incontri e legami. Questa intensità si avverte soprattutto nel montaggio, che spesso fonde piani di realtà solitamente destinati alla rigidità dell’alternanza e della separazione. Il materiale di repertorio trascolora nel girato vero e proprio; la voce dei partecipanti al documentario sfuma in quella di Fortini, conservata su vinili e musicassette d’archivio.
Non è insomma la semplice (per quanto meritoria) riattualizzazione di un «classico dimenticato» del secondo Novecento; quanto piuttosto la ricerca di un tempo e un luogo comuni per un incontro umano. È a questo tempo e questo luogo che allude la forma-documentario; ed è a questo incontro che il «libro della vita» di Fortini si offre come oggetto e pretesto.
Il titolo riprende quello di una raccolta di scritti politici fortiniani, riediti nel 1984 a cura di Carlo Fini per i «Quaderni di barbablù». Come spesso accade quando si tratta di Fortini, anche questo libro funziona come frattale entro cui la sua poetica e la sua postura si riproducono per intero.
Il primo dei testi che compongono la raccolta è Quelle giornate, un elzeviro apparso sull’«Avanti!» per il secondo anniversario dell’Armistizio, in cui Fortini esprime tutta la paura e la speranza di quei giorni caotici e vitali.
Il secondo è Un comizio per il Vietnam. Pronunciato a Firenze nell’aprile 1967, segnerà forse la prima grande rottura di piazza tra le diverse anime del movimento operaio.
L’ultimo è «Un vero veduto della mente», sofferta testimonianza poetico-politica all’epoca della sconfitta dei movimenti sociali che avevano costellato gli anni ’60 e ’70. Un fatto evidente fin dal titolo (una citazione manzoniana), così come dalla data e dalla destinazione editoriale. I primi due interventi si contendevano la scena tra le pagine di un quotidiano a tiratura nazionale e le piazze d’Italia; quest’ultimo era invece apparso in una rivista specialistica, la «Rassegna della letteratura italiana», nel 1981.
«Quelle» Memorie per dopo domani sono dunque un monito per tre momenti esemplari, differenti per genere, stile e contesto. Dalla prosa testimoniale fitta di rimandi letterari, forma della compresenza di arte e vita; passando per la messa in forma orale e poetica della lotta; fino al ritiro, provvisorio o definitivo, imposto o volontario nella pagina di letteratura. Dalla quale tuttavia qualcosa può ancora sorgere, anche se solo obliquamente, non ora e non qui.
Tre momenti, insomma, che raccontano di un progressivo allontanamento dalla Storia; e del differente significato e utilizzo che «di fronte» o «contro» si può intendere e fare della letteratura. Traspare, in controluce, la conflittuale consonanza tra destini generali e particolari nel xx secolo; e la politicità intrinseca in ogni gesto.
È proprio questa politicità allegorica e pedagogica a guidare Pallini nel suo lavoro. «Queste» Memorie per dopo domani sono incentrate prevalentemente sulla nascita della fisionomia fortiniana. Il fascismo, la guerra, la Resistenza, il «miracolo economico»: anni di scelte inesorabili e senza scampo, cristallizzati forse troppo in fretta da una vulgata storica che spesso non riesce a coglierne la sostanziale ineffabilità.
«Forse, col trascorrere degli anni, il ricordo perderà i contorni, come è sorte di quelli d’infanzia e d’amore; ed i figli ne ascolteranno la narrazione come si fa di un’alta avventura». Franco Fortini – Memorie per dopo domani, in questo senso, contribuisce davvero a «tenere a fuoco» il fuoco del ricordo. Abbiamo posto qualche domanda al suo realizzatore.
Con la pubblicazione del documentario Memorie per dopo domani si porta a compimento un progetto lungo 6 anni. Dove e quando è cominciato tutto?
A Siena, presso la libreria indipendente «La Zona» della mia amica Valentina Faleri, un presidio culturale scomparso ahimè troppo presto. Lì nel 2013 ho conosciuto Luca Lenzini, «anima» del Centro Fortini, nonché uno dei massimi conoscitori e curatori della sua opera. L’anno successivo, in occasione del ventennale della morte di Fortini, Luca propose a me e Valentina di collaborare a una serie di iniziative culturali tra Siena e Firenze.
Per quel ciclo fu scelto il titolo Memorie per dopo domani e oggi, 6 anni dopo, il mio documentario si ricollega idealmente a quell’esperienza comune. Come spiego nelle prime sequenze del film (qui il trailer), il mio percorso di avvicinamento a Fortini non è avvenuto all’interno dell’accademia. La scintilla è scoccata mettendo letteralmente le mani tra le sue carte e i suoi disegni, allestendo le teche con i materiali d’archivio e le foto, montando videoinstallazioni e curando proiezioni.
In una delle più belle poesie di Fortini si dice che «Nulla che prima non sia perduto ci serve» (Gli ospiti). Mi sembra particolarmente evocativa per parlare dei presupposti e delle finalità di Memorie per dopo domani. Tanto che quella poesia l’hai anche postata sulla pagina Facebook del progetto a pochi giorni dal centenario della nascita, nel 2017…
Tutta l’opera di Fortini – sia poetica che saggistica – è leggibile come una sorta di sintesi inconciliabile e inesauribile tra passato, presente e futuro. La dimensione dialettica e diacronica dei suoi ragionamenti e dei suoi scritti colpisce immediatamente, così come la profondità del suo pensiero critico e autocritico, e la necessità che lo muove all’inesausta ricerca delle Verità. Rileggendo la poesia che tu hai ricordato, il pensiero è andato immediatamente alla fulminante definizione di «Comunismo» fornita da Fortini. Ne cito qui un frammento:
Il combattimento per il comunismo è il comunismo. È la possibilità (scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior numero di esseri umani viva in una contraddizione diversa da quella odierna. Unico progresso, ma reale, è e sarà un luogo di contraddizione più alto e visibile, capace di promuovere i poteri e le qualità di ogni singola esistenza. […]
Il comunismo in cammino (un altro non esiste) è dunque un percorso che passa anche attraverso errori e violenze tanto più avvertite come intollerabili quanto più chiara sia la consapevolezza di che cosa siano gli altri, di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca anche gli altri. Comporterà che gli uomini siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce; invece che, come oggi avviene, per un fine che non è mai la loro vita.
Penso a quanto forte debba essere stata in Fortini (come in molti altri) la convinzione che solo attraverso la conoscenza del passato (e la presa di coscienza di questo spesso contraddittorio e oscuro legame) sia possibile agire concretamente e collettivamente per cambiare il presente e sperare così di costruire un avvenire differente. Oggi viviamo lontani anni luce da quelle «tensioni». Eppure io credo sia importante recuperare tra le «macerie del passato» ciò che ancora può essere prezioso per il nostro presente e utile per il nostro futuro.
In questo senso le Memorie non sono mai distanti da noi, non sono qualcosa di «rinviabile» a dopodomani, sono una parte urgente di noi stessi. Così è anche il messaggio di Fortini. «Di noi spiriti curiosi in ascolto, prima del sonno parleranno».
Tra i momenti più intensi del documentario ci sono sicuramente le letture e l’intensità dello sguardo di Cecilia Mangini, grande documentarista e collaboratrice di Fortini. Com’è stato lavorare con lei?
Anche Cecilia l’ho conosciuta alla libreria «la Zona». La invitammo assieme a Gianluca Sciannameo (tra i pochi che abbiano sostenuto sin dagli inizi il recupero e la valorizzazione del suo lavoro documentaristico) e lei accettò senz’altro di raggiungerci, confrontandosi con noi da subito con estrema libertà e sincerità. Dopo quel primo incontro siamo diventati amici.
Cecilia parla molto spesso di Fortini, del fatto che proprio lei lo abbia fortemente voluto come autore del testo di All’armi siam fascisti! e di quanto il suo pensiero sia necessario «una volta per sempre». Quella dietro All’armi è la storia affascinante di un grande sodalizio, che comprende anche Lino Del Fra e Lino Micciché. Eppure, quando le ho proposto un’intervista diretta, davanti alle telecamere, lei non ha voluto raccontarmi nuovamente questa storia. Ha scelto invece «solo» di leggermi in prima persona la poesia Canto degli ultimi partigiani, che anche Umberto Eco pone a conclusione del suo libro Il fascismo eterno.
Oggi la ringrazio per quella lettura emozionante, per quelle poche parole necessarie, per non essersi fermata al semplice aneddoto o al ricordo. L’appello lacerante contenuto in quella poesia e quel «Noi» viscerale scandito dalle sue labbra non hanno mai cessato di illuminare il mio percorso alla scoperta di questo autore, segnandone la direzione e la necessità. Questo è il debito che ho con lei e il motivo per cui ho scelto di dedicare a Cecilia (oltre che a Ruth Leiser, la compagna di una vita di Fortini) il mio film.
Memorie per dopo domani è un progetto esteso a tutta una serie di materiali da usare in chiave contemporanea. A questo riguardo, stai allestendo una vera e propria «cassetta degli attrezzi» online. Che posto occupa la forma-documentario in tutto questo?
Durante questi anni di lavorazione del film, oltre a leggere Fortini, ho seguito seminari e convegni, realizzato interviste, stimolato e registrato letture ad alta voce di sue poesie, raccolto numerose impressioni e testimonianze. Come immaginerai, si tratta di ore ed ore di girato… tutto questo materiale per forza di cose è confluito solo in infinitesima parte nel montaggio finale. Il sito Memorie per dopo domani rappresenta un modo sia per non disperdere questo grande lavoro di ricerca, sia per mantenere tale percorso aperto e, soprattutto, a disposizione di altri.
Ho la convinzione che questo grande archivio video (in continuo aggiornamento) possa rappresentare un utile strumento per quanti vogliano avvicinarsi a Fortini e «saperne di più», scegliendo consapevolmente di rallentare i tempi di fruizione imposti online per ascoltare concetti e considerazioni spesso tutt’altro che immediati. Come dice un carissimo amico, Velio Abati (anche lui presente nel documentario), non esiste conoscenza senza una forte motivazione, senza accettare la «fatica del concetto». Forse si tratta di una pia illusione, ma certo anche di una sfida affascinante.
Con Memorie per dopo domani intendi avvicinare quante più persone possibile all’attualità di un autore e di un’opera senza intenti celebrativi o commemorativi. È un intento arduo, perché sembra che con Fortini in particolare si debba attraversare questa contraddizione. Da una parte la lezione di un «classico contemporaneo» dimenticato; dall’altra il venerabile oggetto di un culto filologico per iniziati o addetti ai lavori. Qual è stato il tuo avvicinamento a questa eredità? «Come leggere Fortini» oggi?
Sin dall’inizio ho avuto chiare due cose. La prima è che il documentario avrebbe dovuto essere composto da molte voci, una sorta di racconto collettivo. Secondariamente, non volevo che queste voci appartenessero solo a generazioni vicine a Fortini, o a persone che l’avessero conosciuto direttamente. Ho voluto da subito coinvolgere generazioni più vicine alla mia, interrogando persone e studiosi che come me avessero conosciuto Fortini solo attraverso le sue opere, instaurando con lui un dialogo a distanza.
Ne sono venute fuori circa 15 discussioni filmate, spesso molto lunghe, durante le quali ognuno ha portato il «suo» Fortini, soffermandosi su alcuni aspetti della vita e dell’opera dello scrittore. Ma soprattutto raccontando come questo autore agisca (e reagisca) oggi nelle loro vite e nel loro lavoro. Molti di loro sono docenti, e trovo che la tensione pedagogica di Fortini (che fu appunto anche un grande insegnante) sia testimoniata molto bene dai loro racconti, e che si traduca efficacemente proprio nel divario e nel dialogo tra generazioni diverse.
Leggere Fortini oggi vuol dire essere consapevoli di un’incolmabile distanza, di una reciproca incomprensione. Ma allo stesso tempo vuol dire capire che al fondo di tutto stanno le «relazioni», l’incontro e il confronto tra esseri umani. Sono grato a Fortini per avermi permesso (lui, spesso considerato a torto soltanto un inguaribile egocentrico e un «disseminatore» di conflitti) di entrare in contatto e stringere amicizia con persone che mai avrei conosciuto diversamente e che oggi fanno parte della mia vita.
Gli anni «tragico-eroici» del Dopoguerra e del Miracolo economico sono sicuramente centrali per comprendere Fortini e l’importanza della sua opera. In questo senso, l’immagine del «vecchio» tra gli studenti dell’Università occupata di Urbino nel 1990 che si vede nei primi minuti del documentario – ma più in generale la vicenda personale e collettiva occorsa tra il ’68 e il ’94 – rimane solo un accenno. Che significato ha la scelta di concentrarti sul «primo tempo» dell’esperienza fortiniana?
Sicuramente questo lavoro è tutt’altro che esaustivo. Molte sono state le rinunce, più o meno dolorose. Penso ad esempio al maggior peso che avrei potuto dare al Fortini insegnante. Ma anche, come giustamente sottolinei, ai movimenti a cavallo tra il ’68 e Composita solvantur, da molti considerato quanto di più vicino e a noi immediatamente intellegibile di tutta la sua produzione. Questa difficoltà a comprendere «tutto» Fortini, così come la sua complessità (impossibile da rendere in un film), per lungo tempo mi hanno bloccato. Troppo ardua la sfida, troppo alto il rischio di semplificazioni e fraintendimenti.
Solo dopo molto tempo sono riuscito a liberarmi di questa «ansia da prestazione». Ed è stato durante una proiezione privata del premontato rivolta ad alcuni giovani studenti. La loro reazione e i loro consigli a caldo dopo la visione sono stati per me fondamentali. Ho capito che il mio compito non era sintetizzare «tutto» Fortini, ma raccontare con onestà ciò che ritenevo importante e urgente, consapevole dei miei limiti. Del resto, fin dal primo momento, gli studenti sono stati il primo pubblico a cui ho inteso rivolgermi.
Mi interessava mostrare loro la nascita di un intellettuale, di uno scrittore e di un «uomo politico». Uno che come loro era passato attraverso tante avversità; che come loro aveva patito la difficoltà del non sapere «da che parte stare»; che come loro desiderava un mondo migliore e più giusto. Inoltre, ero (e resto) convinto che andare alle radici del suo pensiero, ragionando sulla sua genesi e sulle sue molteplici influenze, sia fondamentale per comprenderlo.
Forse il mio documentario non è abbastanza «politico», forse il filo biografico è stato svolto in maniera troppo didascalica. Sono alcuni dei dubbi che mi porto dentro. In un certo senso però ho forse raccontato ciò che di Fortini mi attirava di più: la sua formazione politica, poetica e umana. Consapevole che io non sono un teorico o un critico autorevole, ma uno che lavora con le immagini e le emozioni.
È sempre difficile mediare tra specialismo e divulgazione, soprattutto se l’ispirazione e l’«orizzonte di attesa» del proprio lavoro viene da e ritorna a un pubblico composto principalmente da studenti. Ma ancora più difficile è parlare di poesia; e nel tuo documentario di poesia ce n’è tanta. Cosa ti ha spinto dal Fortini «politico» verso il «poeta»? Ci sono degli aspetti che avresti voluto approfondire di più? E cosa invece si è rivelata una forza inaspettata?
Molto onestamente ti dirò che oggi mi rammarico di non aver inserito nel mio documentario la voce e il pensiero dei poeti. Avverto fortemente questa mancanza, anche perché nel mio film è «finita» dentro molta poesia, molta più di quanto mi sarei aspettato all’inizio. La poesia si è presa il suo spazio da sola, col tempo, per così dire. E credo sarebbe stato molto interessante sapere come i poeti (penso ai più giovani, ma non solo) si rapportino oggi a Fortini. A un poeta che tra l’altro ha impiegato molto tempo a trovare la sua voce, senza quasi mai godere in vita dei favori della critica.
Sono felice invece di aver chiesto a tutte le persone incontrate di scegliere un testo poetico a loro caro e di leggerlo davanti alla mia telecamera. Mi sembrano ancora incredibili alcune scelte del tutto spontanee, che si sono andate a «incastrare» nel montaggio solamente a posteriori. Con loro mi raccomandavo di non «recitare» le poesie, di non impostarle, di non leggerle in maniera impeccabile in termini di metrica e di ritmo, ma di farle proprie.
In questo modo forse ho «tradito» l’impostazione fortiniana, l’intonazione brechtiana, la lettura rispettosa dei canoni e delle regole. Il mio fine è stato sempre quello di veicolarne il senso e le emozioni, di far circolare la bellezza delle parole, di riportare Fortini «a fior di labbra». Ricordando sempre, come diceva Fortini, che la poesia è per sua natura ambigua: può essere una forma di denuncia e un grido di resistenza, ma anche la voce che canta «alla tavola dei potenti». Vorrei chiudere con questa nuova, lunga, citazione:
Leggere una poesia, anche fra sé e sé o ad alta voce, è eseguirla, interpretarla e quindi anche modificarla, ricrearla. In una certa misura criticarla. Quando si dice che un testo poetico non è interpretabile solo a partire da se stesso si allude alla sua situazione nella cultura e nella storia. Chiunque legga una poesia, indipendentemente dal suo grado di coscienza o di conoscenza culturale rapporta le parole a una sfera di competenza e di risonanza che non è soltanto linguistica ma che è di tutta la sua mente, di tutta la sua coscienza, di tutto il suo inconscio.
Anzi questo avviene in un modo diverso, e possiamo dire, per certi aspetti, più profondo o più coinvolgente di quanto non sia per altre forme di comunicazione linguistica proprio perché è ambigua, proprio perché ha un’apparenza informativa, comunicativa e persuasiva che viene modulata, per dir così, in una forma. Questa forma diventa deformatrice del messaggio e lo rende risonante come avviene nel sogno, in cui certe figure, certi personaggi sono dotati di doppie identità.
Franco Fortini – Memorie per dopodomani, regia di Lorenzo Pallini, disponibile a offerta libera su Open DDB
In copertina: Franco Fortini e Ruth Leiser in una sequenza del film (© Centro Studi Fortini)]