«Educatore più per caso che per vocazione», così Luigi Monti nella sua introduzione al volume delle Edizioni dell’Asino I vagabondi efficaci e altri scritti (con la traduzione di Chiara Scorzoni e una cronologia di Sandra Alvarez di Toledo), definisce Fernand Deligny, nato nel 1913 nell’alta Francia a Bergues e morto nel 1996 a Graniers. Un «deragliatore» si definiva invece Deligny stesso e in effetti nel corso della sua vita si è impegnato a cercare di far deragliare bambini e ragazzi provenienti da situazioni sociali e familiari complesse dai binari che arrivavano direttamente a riformatori, case di rieducazioni e manicomi. Deligny è stato un maestro ed educatore libertario, poco incline a incasellamenti, antiaccademico e dall’alone mitico (fattore che, ricorda Monti, lui contribuì a non dissipare) e in questo libro, preziosa operazione editoriale che rimette finalmente in circolo scritti da tempo colpevolmente introvabili, oltre al testo che dà il titolo al volume sono raccolti gli aforismi di Seme di canaglia e una serie di articoli e interventi, coprendo un arco cronologico che arriva fino all’esperienza della “Grande cordata” degli anni Sessanta. Si tratta di un personaggio oggi poco conosciuto, ma che ha avuto un ruolo fondamentale ed è tuttora attuale nella storia dell’educazione per le sue modalità di lavoro attive, non convenzionali e spesso in anticipo sui tempi e anche per l’influenza che ha avuto su intellettuali e filosofi suoi contemporanei (ispirò, com’è noto, François Truffaut per la celebre scena finale di I 400 colpi, quella dove Antoine Doinel corre sulla spiaggia per tuffarsi in acqua e Gilles Deleuze e Felix Guattari si ispirarono ai suoi scritti e alle sue esperienze per i loro lavori).
Educatore per caso più che per vocazione, poco incline all’alta considerazione che si poteva avere nei confronti del suo lavoro con i bambini tanto da arrivare a scrivere una prefazione negativa alla ristampa di una sua opera troppo mitizzata («Non ho mai avuto gusto, né talento, per modellare dei caratteri» scriverà), ma resta il fatto che Deligny, da quando nel 1939, dopo gli studi di psicologia e filosofia, ha iniziato a lavorare come istitutore specializzato al manicomio (dal 1937 “ospedale psichiatrico”) di Armentières, nei pressi di Lilla, non ha più lasciato i bambini e i ragazzi, ai quali ha dedicato il lavoro e gli sforzi di tutti i successivi anni di vita. In questo luogo eccezionale nei pressi di Dunkerque, a maggior ragione negli anni della Seconda guerra mondiale, pare risuonare una domande ineludibile, quella che mette in campo il concetto di libertà per «ragazzini devianti a causa della permanenza nei riformatori» che parevano non avere davanti a loro molte possibilità di uscire dal manicomio, sballottolati da un padiglione di Armenitières a un altro, controllati sempre da guardiani, bloccati da serrature di sicurezza e fossati: «volevano la loro libertà – scrive Deligny in un intervento nel 1967 – a maggior ragione, coloro che erano stati rinchiusi là, in manicomio e presagivano che se ne sarebbero andati a cinquanta o sessanta, passando dall’obitorio». Ecco che Deligny intercetta la richiesta più radicale di questi ragazzi («Bisogna aver vissuto in quel modo per credere che la libertà esista. Dell’uguaglianza se ne fottevano abbastanza, così come della fraternità. La libertà, dicevano, nessuno ha il diritto di togliertela») e su questa imposta la sua azione pedagogica e educativa. A dire il vero l’esperienza di educatore di Deligny cominciò qualche anno prima, quando si è trovato a insegnare nelle cosiddette classi di perfezionamento delle scuole elementari di Parigi, destinate all’educazione di «deficienti intellettivi e anormali pedagogici» con i quali ha intrattenuto la relazione eccezionale e di sorpresa continua che caratterizzerà il suo lavoro, come annota in I ragazzi hanno orecchie: «Mi trovavo ad avere a che fare con ragazzi anormali esperti in modi di fare e di essere che sorprendevano il ragazzo che ero».
I bambini e i ragazzi con i quali ha lavorato per il resto della sua vita appartengono a un universo composto da «ragazzi ai margini», come li definisce Monti con un termine generico ma che identifica bene le storie e la provenienza di questi ragazzi, bambini residenti in un ospedale psichiatrico, poi delinquenti e infine bambini affetti da autismo (momento finale della sua vita con l’esperienza di Cévennes, dove resterà fino alla morte). Se l’opera di Deligny non è molto conosciuta in Italia, lacuna a cui si spera possa porre rimedio questo volume, c’è comunque da sottolineare come Deligny abbia scritto moltissimo, anche se manca all’interno dei suoi lavori (in Francia pubblicati da L’Arachnéen) un preciso desiderio di sistemazione metodologico del suo agire pedagogico e forse anche per questo il suo insegnamento non ha avuto qui molti momenti di discussione, uno tra i pochi in occasione del dibattito sull’apertura dei manicomi (quando fu tradotto per la prima volta, da Jaca Book, il suo Vagabondi efficaci).
Il primo testo del volume delle Edizioni dell’Asino è Seme di canaglia, una serie di 134 aforismi scritti tra il 1943 e il 1944 e pubblicati l’anno successivo: conclusa l’esperienza al Padiglione 3 di Armentières, Deligny, che non nasconde le sue simpatie comuniste, inizia comunque a lavorare per il Commissariato della famiglia del regime di Vichy e a pubblicare i suoi lavori, tra cui la raccolta di racconti Padiglione 3 ispirata ai bambini di Armentières, e con Seme di canaglia le sue idee entrano nel dibattito critico, trovando posto nelle letture anche della Cooperativa dell’insegnamento laico dei Freinet. In questi aforismi, scritti tutti in seconda persona come in un dialogo immaginario con un altro educatore, trovano spazio brevi parabole dal sapore gnomico, consigli diretti o riflessioni di carattere più generale, ma emerge soprattutto una descrizione malinconica e disincantata di alcune radicali incompatibilità pedagogiche tra la sua azione e il mondo in cui questa si esplica. Il testo centrale di questa raccolta è I vagabondi efficaci, scritto a seguito dell’esperienza di direttore del Centro d’osservazione e smistamento del Nord, a Lilla, cominciata nel 1945. Dalle pagine di Vagabondi efficaci, che da questo punto di vista proseguono il discorso di Seme di canaglia, emerge in maniera inequivocabile il contrasto tra ciò che le istituzioni scolastiche e di controllo hanno come obiettivo verso questi ragazzi («piccolo popolo di solitari, alcuni obiettivamente rifiuti umani, altri speranza di un mondo che rischia costantemente di crepare di docilità») e il suo piano di lavoro e di ricerca libertario, scompenso che scatena in Deligny indignazione e rabbia nei confronti di molti che gravitano passivamente attorno all’infanzia, tecnici, burocrati, ma anche educatori poco convinti del loro lavoro.
L’ultima parte del volume, infine, è dedicata alle vicende della “Grande Cordata”, esperimento educativo per giovani «incollocabili» per i quali la psicoterapia è inefficace: per ovviare a questa situazione Deligny immagina una rete per tutta la Francia dove i ragazzi portatori di disturbi del comportamento, dopo un periodo di osservazione, trascorrono dei “soggiorni” con possibilità di inserimento lavorativo, anche se, come nota Monti, l’obiettivo di Deligny non è quello di «generare delle vocazioni al lavoro», quanto quello di provare a dare nuova forma e ordine a esistenze difficili: «l’impegno per loro è politico – scrive Monti – e intellettuale, lo sforzo della ricerca è più importante di quello del reinserimento in società». In questa frase, segno anche della partecipata e attenta curatela di Luigi Monti, sono racchiusi alcuni dei nuclei centrali della vita e del lavoro di Deligny che questo libro mette bene in luce, come le difficoltà nel rapporto tra «vagabondi» e società, lo spirito autentico della ricerca o la valenza enorme di ragionamenti che non possono essere costretti solo nel campo dell’educazione: un lavoro che resta ancora in gran parte da scoprire e che è in grado di offrire punti di vista inediti sull’educazione e sulla sua relazione con le istituzioni e con gli organismi di controllo.
Fernand Deligny, I vagabondi efficaci e altri scritti, a cura di L. Monti, tr. it. di C. Scorzani, Edizioni dell’Asino, Roma 2020, 256 pp., 20,00€.