Forse che sì
Forse Queneau
Il 22 giugno è scomparsa Giulia Niccolai, l’ho appreso il giorno dopo. Giusto un paio di mesi prima avevo riletto tutta la sua poesia, trovandoci i fenomeni più originali tra quelli che stavo studiando. Non l’ho conosciuta di persona, lo confesso subito, ma naturalmente fantasticavo sull’occasione adatta a presentarmi. Ho sempre avvertito una profonda familiarità con la sua poesia, tant’è che in biblioteca o in treno devo fare attenzione, perché non riesco mai a trattenere qualche sogghigno. Ma cominciamo dall’inizio, o meglio, dall’inizio secondo Niccolai:
Io mi presentavo sempre come
“traduttrice”, se poi mi capitava
di aggiungere: sono anche poeta,
immancabilmente l’interlocutore
mi correggeva: vuoi dire “poetessa”?
La volta successiva, con un’altra persona,
se dicevo: sono anche poetessa,
venivo comunque corretta con un:
vuoi dire “poeta”?
Insomma, una beffa.
Ora sono monaca.
(Frisbees della vecchiaia, Campanotto, 2012, pp. 26-27)
La traduzione offre uno spaccato delle anime che hanno caratterizzato il suo lavoro. Niccolai ha tradotto Virginia Woolf (La vedova e il pappagallo, Emme Edizioni, ‘84), Gertrude Stein (La storia geografica dell’America, La Tartaruga, ‘80), Dylan Thomas (Il mio Natale nel Galles, Emme Edizioni, ‘81), Beatrix Potter (La favola dello scoiattolo Nocciolina; La favola di Tom Miciozzino, Emme Edizioni, ‘81). Con Emme Edizioni ha adattato e reinventato alcuni testi di Angela Carter (Gatti gaudenti & gravi, ‘80), Colin Pearson (Bestie buone & beffarde, ‘81) e Monika Beisner (Centouno indovinelli, ‘84).
Questa minima selezione mostra già con quale complessità di scritture Niccolai è stata in grado di misurarsi e, allo stesso tempo, con quale assiduità ha visitato la letteratura per l’infanzia. Collaborò in special modo con la casa editrice milanese Emme Edizioni, per cui uscirono Caccia alla balena (‘73), La nave nel prato (‘73), L’isola (‘74), e Francobolli francobolli (‘76).
Tradusse anche per Longanesi, Bompiani e ovviamente Geiger. Quest’ultima venne fondata nel ‘67 dal poeta Adriano Spatola e dai suoi fratelli Maurizio e Tiziano. Niccolai conobbe Spatola nel ‘68 lavorando nella redazione di «Quindici», la rivista ufficiale della Neoavanguardia. Nell’estate del ‘70 si trasferì con lui nella casa rurale del poeta e avvocato Corrado Costa ubicata a Mulino di Bazzano, sulla sponda parmense del torrente Enza. Lì allestirono una stamperia domestica con cui realizzavano le edizioni Geiger e, dal ‘72, la rivista «Tam Tam». Per Geiger Niccolai tradusse Paul Vangelisti (‘75, ‘76), Gerald Bisinger (‘77) e gli Zeroglyphics (‘77) di Spatola. Nel ‘75 tradussero a quattro mani John Thomas (Geiger), Jean de La Fontaine e Prosper Mérimée (Emme Edizioni).
Il termine Geiger fu scelto perché era il nome del contatore che misurava la contaminazione radioattiva: proprio la contaminazione era alla base del progetto artistico di Spatola, che intendeva ampliare il discorso della Neoavanguardia superando i confini tra i linguaggi artistici e letterari. Con Geiger Niccolai pubblicò le raccolte di poesia concreta Humpty Dumpty (‘69) e Greenwich (‘71), il poemetto lineare Singsong for New Year’s Adam & Eve (‘82). Le prime due sarebbero poi confluite in Harry’s Bar e altre poesie. 1969-1980 (‘81), uscito nella gialla Feltrinelli; l’ultima sezione del libro si intitola Prima e dopo la Stein e testimonia l’impatto esercitato da quella traduzione sulla sua crescita artistica.
Sempre per Geiger uscì la sua raccolta concreta destinata a diventare iconica: Poema & Oggetto (‘74), con quattordici oggetti incollati o cuciti (poi mantenuti nella ripubblicazione del 2015 uscita per le edizioni del verri cfr. https://www.alfabeta2.it/2015/06/20/pungente-ironia/). L’unico di questi oggetti conservato nel volume Poemi & Oggetti. Poesie complete (Le Lettere, 2012) stravolse l’idea della poesia che avevamo da studenti prima di frequentare il corso di poesia del Novecento all’università, e rappresenta tuttora l’esempio di più immediato impatto che ci viene in mente per raccontare le sperimentazioni della Neoavanguadia emiliana: l’ago vero che davvero buca la pagina del primo poema tautologico.
da Poema & Oggetto (Poemi & Oggetti pp. 133, 122)
Durante la rilettura di questa primavera, mi sono imbattuta nel testo concreto con la parola sagittario e, alcune pagine dopo, nei due frisbee dedicati al corrispondente segno zodiacale. Mi hanno subito fatto venire in mente la mia amica Elena Giulia. A dire la verità, incontro spesso dei frisbee che d’istinto collego a persone che conosco e, quando succede, non mi do pace finché non li leggono anche loro.
Di fronte e di profilo:
sono Sagittario (fuoco)
ascendente Acquario (aria).
Finalmente a 48 anni
comincio anche a essere
terra-terra.
(L’acqua invece mi è sempre [piaciuta).
Joan Arnold
mi telefona l’anagramma
che le è venuto con Giulia Niccolai:
gioia luci lanci.
Che splendore pirotecnico,
Napule, triccheballacche e putipù!
Penso con gioia
al mio segno zodiacale
il Sagittario
che lancia le sue frecce
verso le luci delle stelle
(quando punta in alto)
da Poema & Oggetto, Frisbees (Poesie da lanciare) e Frisbees di coda e d’occasione. 1985-1986 (Poemi & Oggetti pp. 105, 223, 289)
A partire dagli anni Ottanta, Niccolai iniziò a comporre dei testi che, come scrisse nella postfazione alla seconda edizione (Campanotto, 1994), aveva denominato frisbee «per trasmettere il concetto dell’interazione indispensabile tra chi legge e chi ascolta». Alessandro Giammei li ha giustamente definiti in questo articolo «un modello di scrittura originario, che risale alle cerchie di amici medievali in cui i testi circolavano e si caricavano di letture altrui per tornare al mittente con risposte per le rime e spunti per nuova letteratura».
Si tratta di componimenti perlopiù brevi che scaturiscono da guizzi d’ingegno, giochi linguistici, corrispondenze con amici e amiche, coincidenze che non sembrano mai casuali. Mentre proseguivo la loro lettura ho continuato con gli invii, mandando a Elena quello su Gozzano, poi quelli ambientati a Salsomaggiore, Roma e Sanremo rispettivamente a Bianca, Isadora e Francesco.
Dico a Livia Candiani:
«Forse non sentiamo affinità
per Gozzano
perché lui è consapevole
di essere alla fine del lume a petrolio
e noi siamo già elettricità».
da Frisbees di coda e d’occasione. 1985-1986 (Poemi & Oggetti p. 289)
Alla stazione Tiburtina do l’indirizzo
al taxista: Via Ruggero Bonghi.
E lui mi chiede: perché non va
in metropolitana?
È l’ora di punta. Non gli va
di attraversare mezza Roma.
*
A San Remo la via Goethe
la chiamano Goette,
alla francese.
(Foto & Frisbee, Oèdipus, 2016, pp. 128, 170)
A Sara ho fatto leggere le serie sulla meditazione. Nel ‘90 Niccolai, dopo anni di pratica meditativa e viaggi in Oriente per apprendere le tecniche dai Lama, divenne una monaca buddhista. Ecco così completato il triangolo traduttrice – poet(ess)a – monaca da lei stessa tracciato in quel frisbee della vecchiaia. Tuttavia, se consideriamo il suo percorso anche alla luce delle autobiografie Esoterico biliardo (2001) e Le due sponde (2006), pubblicate con Archinto, non fatichiamo a disegnare un poligono con ben più di tre lati. Per esempio, il primo ambito artistico in cui si cimentò fin da adolescente e raggiunse risultati eccellenti fu la fotografia (cfr. https://www.doppiozero.com/materiali/le-tante-vite-di-giulia-niccolai), che sottopose alle sperimentazioni neoavanguardistiche nel suo romanzo Il grande angolo (Feltrinelli, ‘66) – avrebbe poi descritto il passaggio dalla fotografia alla scrittura nella prima sezione di Foto & Frisbee –, e nella raccolta Facsimile. Fotografie concettuali («Tau/ma», ‘79), dove proseguì il lavoro sulla riproducibilità intrapreso con la poesia concreta.
Insomma, la Neoavanguardia ha trovato in Niccolai la sua più affabile espressione: la sua pratica artistica è capace di stordire il fruitore, pungolandolo con paradossi logici e linguistici e sorprendendolo con formidabili intuizioni, senza mai smettere di farlo sentire a casa. Allora, quando lanciavo i frisbee ai miei amici, stavo davvero giocando a frisbee con lei. L’ho capito dopo, verso l’inizio dell’estate, giusto appena prima della funesta notizia. Se la prontezza di riflessi fosse stata il mio forte le avrei scritto un coccodrillo, mentre questo che sto scrivendo mi sembra piuttosto una tartaruga, una tartaruga per Giulia Niccolai.
Scendo, scendo con la mente
e la deposito nel ventre. Lì la lascio
adagiata a pochi centimetri dal pavimento.
Sono seduta per terra, su un cuscino
le spalle contro il muro, accucciata,
le ginocchia alzate, il capo chino.
(Più “peòn” messicano
che “yoghi” indiano).
Lentamente scivolo nell’assorbimento.
In quella posizione del corpo
goffa e disarmata, l’anima si espande
in una dimensione nuova, illimitata
dove si accetta tutto
non si è più sicuri di niente
non si hanno più né concetti
né preconcetti e va bene così.
È COSÌ.
L’umiltà è “scorrere come acqua
più basse dei piedi della gente”
e finalmente è questa
la condizione naturale della mente!
Lì, spontaneamente, senza artifici
senza forzature, c’è la poesia:
molto semplicemente, TUTTO È POESIA.
(Infatti, Samsara e Nirvana sono
la stessa identica cosa: la differenza
è solo nella mente).
da Orienti 1999-2003 (Poemi & Oggetti p. 334)