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Meteorologia dello stile. Su “Di chi è la colpa” di Alessandro Piperno

È impossibile non porsi il problema delle strategie di agganciamento del lettore quando si legge Alessandro Piperno, che alla teoria degli inizi letterari ha dedicato illuminanti interventi (ad esempio questo) e che, nel panorama italiano, è un virtuoso dell’ouverture. Come già nel suo penultimo romanzo (Dove la storia finisce, 2016), Piperno sceglie di avviare Di chi è la colpa (Mondadori, in libreria dal 14 settembre) con un passo disteso, decisamente più pacato e meno rapinoso rispetto agli incipit delle prime prove narrative.

Di alcuni aspetti del suo nuovo romanzo Piperno ci aveva parlato alcuni mesi fa, intervistato per la rubrica Fuori dagli schemi. Per chi leggerà il romanzo sarà forse interessante tornare all’intervista, dove tra le altre cose l’autore si sofferma su alcuni ostacoli tecnici incontrati nella stesura del capitolo ora intitolato Breakfast in America.

Le due campate iniziali sono dedicate ai ritratti del padre e della madre del narratore, rispettivamente un commerciante fallito e una professoressa di matematica. Il fondale è quello della Roma degli anni ’80 su cui erano proiettati anche racconti precedenti; ma la famiglia posta al centro del romanzo è, questa volta, di collocazione piccolissimo-borghese. Il gradino sociale superiore resta per loro un’aspirazione o un miraggio, perché gli inconcludenti progetti del padre si traducono in debiti e umiliazioni che mettono alla prova la tranquillità del ménage familiare. E a proposito di famiglia, una misteriosa cortina di reticenza occulta il passato della madre, di cui il narratore bambino si rende conto di non sapere quasi nulla. Così, almeno, finché un incontro fortuito offre l’occasione per fare chiarezza sulla storia di famiglia…

Verrebbe da dire che un vero inizio “piperniano” si incontra verso la metà del libro (p. 258), quando il narratore assiste a un fatto di sangue – non svelo niente che non sia dichiarato nell’aletta –, in seguito al quale la sua vita muta radicalmente.

E allora torniamo alla teoria dell’incipit: Piperno ha mostrato con buoni argomenti come quella dell’inizio fulminante sia una fissazione tutta moderna, da considerare di concerto con la massificazione del mercato librario, la competitività commerciale delle case editrici e le mutate pratiche di lettura. Rivolto a un numero di lettori più contenuto, spesso pubblicato a puntate su giornali e riviste, il romanzo ottocentesco poteva concedersi un’allure molto più rilassata. In una certa misura, poteva anche prescindere dagli incipit magnetici che invece caratterizzano i page turner contemporanei.

Nello svolgimento del racconto sono numerosi i richiami alla narrativa vittoriana, più volte evocata dal narratore stesso, la cui vicenda è esplicitamente paragonata a quella di Daniel Deronda, protagonista dell’omonimo romanzo di George Eliot. Lungi dall’essere un tentativo fuori tempo massimo di rivitalizzare una tradizione sorpassata, Di chi è la colpa convoca tutta l’enorme cultura letteraria di Piperno e dialoga di continuo con la memoria del lettore. Benché segmentata in capitoletti brevi, la terza sezione del romanzo, per fare solo un esempio, mette in scena un pranzo di famiglia che occupa 76 pagine dense di ritratti, dialoghi e continue riflessioni del narratore. Estensione, ambientazione e ritmo ricordano la prima parte dei Buddenbrook (la cena nella casa di Mengstraße) o le tavolate ciarliere riunite da Proust a casa Verdurin. I personaggi e i loro dialoghi rimandano a Roth e a Bellow. Le riflessioni e i rovelli del narratore hanno qualcosa di dostoevskiano. Capitoli come questo, tra l’altro, sembrano deliberatamente congegnati per mettere alla prova le (ridotte) capacità di concentrazione del lettore d’oggi e per invitarlo, se non avesse già provveduto, a farsi il fiato sul romanzo otto-novecentesco.

È come se nei due romanzi scritti dopo lo Strega, più sicuro dei propri attrezzi narrativi, meno angosciato dalle paturnie dell’esordiente e forte di un pubblico ormai consolidato, Alessandro Piperno si stia concedendo il lusso – permesso a pochissimi dei suoi colleghi – di scrivere quel che vuole e come vuole. Solo adesso, dunque, stiamo leggendo il vero Piperno? Forse è un paradosso filosofico, sarebbe come chiedersi se la cifra autentica di un regista vada cercata negli esordi – inevitabilmente condizionati dall’esigenza di procacciarsi un produttore e convincere critica e pubblico – o se emerga più tardi, nei film della maturità, quando i successi passati sono il lasciapassare per la tanto agognata carta bianca.

Comunque stiano le cose, Di chi è la colpa non lascia delusi. La scrittura è di altissimo livello, la caratterizzazione dei personaggi (anche di quelli secondari e collaterali) è come sempre eccellente, la trama è ben escogitata, la voce è compassata, ironica e tagliente insieme.

A proposito di sollecitazione della memoria letteraria, si ritrovano qui situazioni (e ossessioni) care a Piperno: alcune belle pagine dedicate a una vacanza a New York ricordano il viaggio americano del narratore di Con le peggiori intenzioni; Gianni Sacerdoti, zio del protagonista e suo iniziatore all’edonismo, condivide molti tratti con l’indimenticabile Bepy Sonnino, l’indomito nonno viveur del primo romanzo. Torna poi il tema dell’ebraismo, vissuto in modo conflittuale da precedenti protagonisti piperniani. Connesso a questo è il tema dell’impostura, affrontato nell’ultima parte del racconto, dove il già menzionato twist narrativo porta il narratore, ormai adolescente, a indossare una maschera nell’impossibile tentativo di affrancarsi dal proprio passato.

Sono le premesse perfette per impostare un discorso sulla colpa, sul suo significato e sulla possibilità solo apparentemente liberatoria di scaricarne il peso sugli altri. Ognuno affronta le proprie colpe, individuali o familiari, come può, per poi scoprire che il flagello, anche quando è rivolto contro di sé, non sferza mai abbastanza. Così c’è anche chi, cresciuto in una famiglia privilegiata, decide di lasciare Roma per trasferirsi in Israele…

Nell’intervista cui alludevo in apertura Piperno confessava: «Non è mica un caso che il mio primo libro […] sia caratterizzato da una prosa lutulenta, mentre l’ultimo (Dove la storia finisce) si compiaccia di una scrittura distesa e ironica. È il clima a dettare lo stile. Così com’è stata la storia a favorire il clima».

Il meteo degli ultimi due romanzi è un sereno-variabile che, come già detto, soddisferà i lettori affezionati. Nel 2005, quando lessi Con le peggiori intenzioni (tutt’altro clima: tuoni e burrasca), avevo la stessa età degli studenti che Piperno, non ancora ricercatore, si trovava in classe all’università. Adesso gli studenti di allora sono trentenni che navigano verso i quaranta, e gli ultimi romanzi sembrano rivolgersi più a loro e ai loro genitori che non ai ventenni venuti a rimpiazzarli. Credo che in futuro qualche altro scoppio di fulmine farebbe piacere a quanti di noi sono già stati fidelizzati da Piperno. Vedremo tra qualche anno che tempo farà.


Alessandro Piperno, Di chi è la colpa, Mondadori, Milano 2021, 444 pp. 20,00€