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Sulla punta del desiderio. “Fifty-fifty” di Ezio Sinigaglia

Com’è fatta la lingua dell’erotismo quando viene tesa al limite e incatenata da una promessa di appagamento che si sposta sempre un po’ più in là? È sospesa sulla soglia del piacere, attenta a cogliere le più sottili variazioni sotto pelle, è la lingua di Ezio Sinigaglia nel suo ultimo romanzo e inno ai chiaroscuri, Fifty-Fifty. Warum e le avventure Conerotiche (TerraRossa Edizioni). La prima parte della storia è abbastanza semplice (per la seconda bisogna aspettare la prossima pubblicazione): Warum è innamorato di Stefano, soprannominato Fifì (Fifty-fifty) dallo stesso Warum perché «molte cose in lui son fifty-fifty. Di qui appunto Fifí. Nomignolo presago. Glielo imposi da subito. Tre anni e mezzo fa. La prima sera. Rispondeva sì e no, sì e no, su quasi tutto. Metà e metà. Anche alla domanda che non facevo ancora, se non con gli occhi». Il problema è che questo vivere dimezzato di Fifì è allo stesso tempo promessa e divieto, attesa del piacere e diniego dell’occasione: «Non vuol saperne, Fifí, di far l’amore. Non ne ha voglia. Ma non esclude che la voglia possa venirgli, un giorno o l’altro. E m’incatena».

È questo il groviglio di desiderio inconfessabile e inattuabile che intreccerà le loro parole per i tre anni, sei mesi e dodici giorni della loro storia d’amore, un tempo riavvolto tramite strappi e flashback, ricostruiti rianimando la tessitura palpitante del ricordo. Fifì è un amante spezzato in due, ama senza saperlo, vuole ma non con il corpo. Warum si lascia spezzare, acuisce l’intelligenza, sublima il suo desiderio in propensione a captare tutti i piaceri, quando quello principale gli viene negato. Così ogni momento diventa l’occasione per un piacere rubato e rievocato, persino il restare chiusi all’interno di una piccola Panda a fumare, a prestarsi come corpi immersi in quel «filo multicolore e teso che intrecciava ogni cosa, boccali e piatti, sigarette e passi. Un parlarsi guardingo e disarmato insieme. Il rigore niveo dell’ironia disciolto nel calore del gioco».

Così, in questa concessione monca che Fifì fa di sé stesso, Warum si lascia torturare dall’incompletezza di un rapporto trattenuto sulla punta del desiderio sessuale. Quando i due partono per la settimana di vacanza sulla riviera del Conero, quando si ritrovano a trascorrere le notti in un’unica tenda striminzita e a godere l’uno della completa adiacenza dell’altro, Warum si deve arrendere a un idillio che si dà come totalità e come negazione, come perfetta fusione di anime e corpi appartenenti ormai a un’altra dimensione, là dove il sesso diventa per Fifì atto inconcepibile, per Warum atto mancato. «Fifì restava muto e sembrava respirare la notte con i miei polmoni. O io coi suoi: la cosa era del tutto indifferente. La nostra era una comunione perfetta entro la quale il problema, pur così astratto e metafisico, del come e dove la lama manichea del voler bene dovesse separare i corpi dall’amare non riusciva a intrufolare neppure l’acume della punta».

In questo pieno che nasce dall’interdizione di un atto (o ne è la conseguenza) sta tutto il cuore del percorso desiderante di Warum: la ricerca spasmodica di assoluto e un primo, ingenuo, tentativo di trascinarlo a terra, lontano dall’intoccabile essenza angelica di Fifì. Nella prosa di Sinigaglia sembrano tornare, allora, temi che hanno a che fare con la letteratura esplorativa delle grammatiche del desiderio, temi che potrebbero richiamare alla mente l’ossessione di Walter Siti per le nature angeliche di Troppi Paradisi, per l’anelito verso l’assoluto, per l’impossibilità di godere fino in fondo della promessa di un paradiso in terra, promessa di solito incarnata dall’amante. Con una differenza: in Sinigaglia l’impossibilità di attingere in maniera totalizzante all’assoluto, con il corpo, con la mente e con l’affetto, l’impossibilità di accedere simultaneamente a una pienezza totale assume una valenza erotica, più che ossessiva. Il desiderio non è – come in Siti – una condanna a esperire in continuazione lo stesso piacere corporeo (e quindi finito), ma è la sensibilità che – anche inconsciamente – accetta di posticiparlo. Sinigaglia mette in scena un rovesciamento dell’ossessione che diventa erotismo dell’attimo negato, e poi desiderio di quell’attimo sospeso. Insomma, se Siti cerca di issarsi ai Paradisi terrestri per accumulazione, Sinigaglia esplora cosa accade se alla terra si toglie la terra, se la grammatica del desiderio accetta (e ricerca) la negazione del soggetto desiderato: «Non desideravo che di sentirlo ritornare in sé stesso, fifty-fifty, con la metà che mi voleva e quella gli proibiva di volermi, in modo da potere riprendere ad amarlo. Perciò capii quella notte – indimenticabile purtroppo – che l’amore Fifì ed io non lo faremo mai, se non in forma rituale sotto le corroboranti frizioni dello sciampo. Quando lui è Fifì non vuole. Quando non è Fifì, non voglio io».

In questo senso Sinigaglia mette in scena un erotismo inteso come mancanza, che trova nel voyeurismo la sua disposizione più naturale: l’occhio proteso a cogliere i segni dell’innamoramento dell’altro mentre non è “presente a sé stesso” non è un semplice lascito di Proust, ma è anche il solo incontro tra coscienze permesso in questa unione fatta di chiaroscuri e di non detti. In breve, fatta di erotismo. In questo senso la relazione sboccia attorno a una mancanza ontologica, che non riguarda solo il sesso: la fusione di queste due solitudini è impossibile perché manca sempre un io. Quando uno si svela, l’altro si ritrae; quando uno si ritrae, l’altro ripiomba nella quête più zelante. L’unico modo per dare forma a questo sottosuolo di emozioni è un vitalistico gioco delle parti, la messa in scena di ruoli e riti sempre esposti al rischio della smentita.

Come nell’Imitazion del vero, Sinigaglia ripropone una recita a soggetto che si regge su appigli stereotipati, ma che vengono continuamente ribaltati dal non detto che avvolge personaggi e lettore: «Allora inizia un dialogo che […] procede sostanzialmente per stereotipi, con ritmi stabili e variazioni paragonabili a quelle che si possono introdurre in un modulo con spazi prestampati». Il punto cieco che permette di sfuggire allo status di macchietta è rappresentato, in caso di imprigionamento nei ruoli stabiliti, in un gioco di specchi in grado di riflettere in maniera prismatica il dentro e il fuori degli innamorati, e in una scrittura in grado di rendere sensibile la sottile trama di piaceri rimasti sotto pelle. Al di fuori della coppia resta il pubblico della loro storia d’amore, una società anni ’80 con gli occhi puntati sugli innamorati, protesa a osservare lo spettacolo di un amore ai tempi percepito come straordinario (nel senso di estraneo all’ordine “naturale” delle relazioni). Questi occhi puntati entrano nella recita a soggetto, talvolta per ammirare, talvolta per biasimare una relazione che, proprio grazie a un pubblico, riesce ribaltare il gioco delle parti, donando un’ulteriore forma a quel non detto che – altrimenti – sarebbe rimasto imprigionato nell’afasia dei due. Se la norma sopportava una decenza pubblica e un’indecenza privata, proprio Fifì rovescia il suo ruolo e lo schema delle buone maniere: si lascia andare ad effusioni quando gli spettatori osservano, per poi negarsi quando il sipario cala sui due amanti. Sinigaglia si diverte, gioca con i paradossi, rende ciò che è banalmente percepito come ostacolo (la società reazionaria anni ’80) un mezzo per lo svelamento del vero, per l’ammissione pubblica (ma non privata) di un amore ai tempi straordinario.

Così, al sesso e alla consapevolezza del loro amore, si aggiunge l’ennesima mancanza, l’ennesimo compimento rimasto intrappolato nella dimensione del Fifty Fifty: la rappresentazione sociale della coppia. D’altronde, non potrebbe essere altrimenti: gli stessi diretti interessati assumono i rispettivi ruoli nei riti della coppia, ma subiscono la forza centripeta e centrifuga del desiderio, ne percepiscono le traiettorie rizomatiche, incapaci di chiudere la sessualità in un orizzonte conclamato. La stessa bisessualità di Warum è una gioiosa quête del desiderio, quasi superiore all’eterosessualità nel suo essere fedele impronta di un io volitivo che rifiuta di legarsi a un genere specifico. Anche in questo caso, persiste una felice mancanza: la bisessualità viene raccontata come sdoppiamento del desiderio che non si compie, che a volte resta costernato di fronte al vuoto incontrovertibile dell’incontro, e che non esclude nessuna via per perseguire la perfetta coincidenza con l’altro. E proprio questa coincidenza mancata e sottratta è alla base dello strusciarsi reiterato come una pregheria, l’unico moto consentito a un desiderio inteso come alimento vitale e non come ossessione deprimente.

In questo navigare a vista tra sensazioni impercettibili e sferzate della volontà, l’unica cosa che resta da fare al Sinigaglia autore e al Warum amante è cercare più appigli nella realtà narrata, donando nuovi nomi a cose e persone, nella speranza di fare ordine nel subbuglio interiore di un microcosmo proustiano. Nel farlo, bisogna accettare tutto, il ridicolo nascosto dietro il mutare dei sentimenti e la serietà che giustifica gesti ridicoli, in una grande opera di accettazione della piccolezza umana, che è poi un grandioso atto di benevolenza. Sinigaglia ci ricorda che in amore vale tutto, che il ridicolo e il tragico fanno parte di una stessa dimensione tragicomica che coincide con la vita: in questo senso Fifty Fifty è un racconto realistico, proprio in questo suo rifiuto di operare una scelta tra i piani di realtà. Così, anche noi ci ritroviamo un po’ fifty fifty: un po’ ci inteneriamo e un po’ scorgiamo le ingenuità di quella relazione, ma alla fine siamo costretti a coccolarci nella sensazione di un amore a metà, non rotondo, non perfetto, non senza impurità, e per questo un amore pieno. E allora ci viene quasi il sospetto che per Sinigaglia la vera valenza erotica della vita risieda nel verosimile, là dove risiede anche la valenza letteraria della realtà: è lì che esiste ciò che sarebbe potuto accadere ma che accade solo nel vagheggiamento, nello strato ipotetico della lingua, nel disvelamento continuo e nella sua continua smentita.


Ezio Sinigaglia, Fifty-fifty. Warum e le avventure conerotiche, TerraRossa, Bari 2021, 268 pp., 15,90 €.