«Potrei chiamare disastrologia questo trattato, questo regesto degli amori morti di cui lo sganciamento astrale è radice, è matrice. Forse c’è una maledizione nel mio destino; forse il mio cuore è nato su un cimitero indiano» (p. 125).
Così Daniela Ranieri descrive il suo ultimo romanzo nel suo stesso svolgersi. Antropologa culturale, giornalista e scrittrice, Ranieri pubblica il suo quarto libro per Ponte alle Grazie, per la collana “Scrittori”, confermandosi perspicace nell’osservare nonché abile nel rappresentare il nostro tempo.
Si può dire che Stradario aggiornato di tutti i miei baci sia l’autobiografia sentimentale di un’autrice che racconta le proprie esperienze amorose per indagarne i caratteri e comprendere se stessa, ma si tratta di un’autobiografia del tutto particolare. La narrazione intradiegetica delle esperienze affettive (e non) appare inizialmente un espediente sfruttato per costruire un caleidoscopio narrativo pop, che inquadra le tematiche più diverse e attinge da ambiti disparati, ostentando i suoi caratteri postmoderni tanto nei contenuti quanto nello stile.
Si tratta di un romanzo – se di romanzo si può parlare – torrenziale, che prosegue lungo il suo corso assecondando curve, brusche deviazioni e movimenti disomogenei, pur producendo nel complesso una paradossale impressione di staticità. È un monolitico e monologante romanzo di idee, affidato a una sola voce che gestisce tutto il materiale narrativo; è un diario clinico dei disturbi della narratrice, scritto secondo l’idea che amore e psicosi tendano a influenzarsi sviluppandosi quasi congiuntamente.
L’opera è insieme una collezione di opinioni sull’attualità e una galleria di ritratti di tipi umani e professioni: «Il Tirchio, il Sadico, l’Impotente, il Leggero, il Traditore… La mia personale Damnatio ad bestias: i condannati all’oblio appesi nel mio Colosseo mentale e dilaniati dai denti feroci delle mie parole» (p. 190). Ranieri tratteggia bozzetti di uomini: più che personaggi veri e propri, essi rappresentano le tappe di un percorso affatto personale e interiore, che si arricchisce di esperienze rilette secondo una sorta di studio antropologico dell’umanità maschile incontrata dalla narratrice.
La moltitudine delle vicende e delle divagazioni fa da sfondo al focus che si concentra sulla postura sentimentale della narratrice e sul dolore che questa comporta: «Investo il qualcuno accidentale della capacità di realizzare la mia felicità: compito impossibile, destinato a generare risentimento e sofferenza» (p. 123). Pertanto, la riflessione intorno alla sofferenza umana,che si genera nella tensione fra intelletto ed emotività, diviene uno dei temi cardine dell’opera, e i disturbi psichici tendono a operare modificando profondamente la forma mentis della narratrice, che vive l’ansia come «unica risposta umana sensata ai colpi del caso» (p. 152).
Nel romanzo sono presenti dunque le tematiche più diverse, che complessivamente rimandano a una critica del nostro tempo, ora più ironica, ora più tagliente, sempre filtrata dall’autopatografia dell’io narrante. In essa si legge una chiara volontà di problematizzare le posizioni morali più ampiamente condivise rispetto ad alcune questioni di attualità particolarmente sentite, volendosi mostrare controcorrente anche quando questo significhi apparire tradizionalista. Le notazioni intorno al valore del denaro, dello scambio, del lavoro rivelano la posizione socialista dell’autrice, la quale infine chiude il romanzo sognando la solidarietà più che l’amore. Da questo punto di vista Ranieri scrive la sua opinione su molti e notevoli fenomeni del mondo contemporaneo.
Il tessuto prettamente episodico permette il dispiegarsi del pensiero dell’autrice fra autoanalisi e riflessioni sulla realtà che la circonda, ostacolando la possibilità dello sviluppo di una trama vera e propria. Qualora la si voglia ricercare, comunque, quest’ultima si può ritrovare da una parte nel percorso esperienziale che prende corpo dall’insieme delle vicende, dall’altra nello sviluppo del rapporto con A., l’unica figura maschile che ritorna con costanza all’interno della narrazione. A. occupa la dimensione del presente, perciò la relazione intessuta con lui, mentre sembra confondersi fra le altre, riesce a spiccare occupando un posto di rilievo nella fabula. Il movimento cronologico ondivago non consente di afferrare pienamente le sue coordinate, ma garantisce l’intreccio dei racconti che si alternano a quello della relazione di riferimento.
Nonostante la preminenza di questa figura, un altro amore risulta significativo dal punto di vista dell’intreccio, per quanto venga appena accennato. A metà del romanzo un’esperienza occasionale sembra costituire l’acme sentimentale, un momento di atemporalità da cui vengono influenzate le coordinate temporali di tutta la narrazione, che si disordinano producendo spinte centrifughe a partire da questo polo d’attrazione. Inoltre, sul finale il rapporto con A., che per tutto il corso del romanzo sembra un elemento sempre più imprescindibile, viene messo in discussione. C. appare sulla scena proiettando un’ombra di dubbio sulle certezze che la narratrice mostra di aver costruito. L’amore torna a presentarsi come un percorso in divenire, un continuum di storie diverse che solo nel loro insieme danno vita a un’esperienza totalizzante.
Quella offerta dal romanzo di Ranieri è una lettura plurivoca, soprattutto grazie al suo stile denso, che informa il contenuto arricchendo di sfumature i suoi significati. Un “divulgativismo” che accosta suggestioni eterogenee caratterizza una scrittura che si dimestica naturalmente fra metafore attinte dal campo della fisica e notazioni astrologiche, fra riferimenti biblici e aneddoti personali. Le citazioni colte non si contano: dalla mitologia antica alla letteratura medievale e moderna, dalla linguistica ai testi sacri, i riferimenti sono sfruttati per interpretare e spiegare la realtà e i sentimenti. Si tratta di un esibito gusto per la cultura più eclettica, di un gioco erudito che si basa sulla frizione che si crea nell’accostare allusioni a personaggi provenienti dai mondi finzionali più diversi, argomenti dai campi di studio più lontani. Ciononostante, ogni citazione si inserisce senza forzature nel tessuto della narrazione, specifica ogni ragionamento senza sviarne il corso. In questo senso assumono un ruolo di tutto rilievo i paratesti, che puntualmente introducono i singoli capitoli suggerendone la giusta interpretazione, e che, sfruttando la forma di narrativa in pillole, confermano l’attitudine pop di tutta la scrittura di Ranieri.
La sintassi riproduce l’andamento del ricordo e del pensiero, il flusso discorsivo di chi cerchi di legare il proprio passato e le proprie attuali convinzioni per restituire un senso al primo e spiegare le ragioni del formarsi delle seconde.
Il gusto per metafore, similitudini, parallelismi e sinestesie si sposa con una lingua dagli echi che sono stati giustamente definiti “gaddiani”, che tra le maglie di un lessico sofisticato accoglie termini standard, tecnici, volgari, muovendosi verticalmente e orizzontalmente fra i quadranti del vocabolario italiano.
Assecondando un’estetica del minuto e del quotidiano, la scrittura tende a impreziosire i dettagli analizzandoli con la stessa cura usata per descrivere grandi fenomeni, sottolineando i molti intrecci che legano gli aspetti più o meno secondari di una vita intera.
Lo stile e l’insieme delle suggestioni sono a tutti gli effetti gli elementi più brillanti di un ottimo risultato letterario, che pecca un po’ soltanto nella misura, forse troppo estesa per una tipologia di narrazione caratterizzata da una coazione alla digressione. Essa rischia di velare di una certa monotonia questioni e vicende che risulterebbero altrimenti assolutamente interessanti.
Per comprendere come avvicinare questa particolarissima autobiografia bisogna allora iniziare dalla fine, leggendo la nota conclusiva dell’autrice, che rimanda a una sottesa riflessione intorno al valore di verità della letteratura. L’ennesima citazione, questa volta sveviana, suggerisce che si tratti di un’autobiografia, ma non di quella dell’autrice stessa, perché qualsiasi riferimento presente è «casuale, ovvero esclusivamente letterario». D’altra parte, l’autrice sa che «solo la letteratura è fonte di verità» (p. 456), come ricorda più indietro, e perciò la scrittura di sé è in un certo senso più vera di quanto possa esserlo la propria vita reale.
In effetti, ogni lettore conosce la sensazione di realtà amplificata che la letteratura offre, come l’Amedeo dell’“Avventura di un fotografo” del Calvino degli Amori difficili, che nel suo libro ritrovava «un’adesione alla realtà molto più piena e concreta, dove tutto aveva un significato, un’importanza, un ritmo». Concretezza e significato sono ciò di cui l’autrice investe la narrazione amorosa, nel tentativo di restituire il nucleo più autentico di quell’esperienza tanto comune quanto particolare che è la relazione d’amore.
D. Ranieri, Stradario aggiornato di tutti i miei baci, Milano, Ponte alle Grazie, 2021, 696 pp. 19,80 €.