Proseguiamo la presentazione dei libri finalisti del Premio Narrativa Bergamo 2022. Gli incontri con gli autori si terranno alla Biblioteca Tiraboschi di Bergamo: dopo Francesco BianconiAndrea Inglese e Maurizio Torchio, è il turno domani di Davide Orecchio, che incontrerà alle ore 17.30 il pubblico del premio.


Dopo averla interrogata con ostinazione e perizia nel corso dei suoi precedenti quattro libri, con Storia aperta Davide Orecchio cerca in maniera definitiva di fare i conti con la storia del Novecento, ricorrendo ancora una volta a quella forma di racconto che mescola fedeltà all’archivio e potere immaginifico della narrazione romanzesca che abbiamo imparato a conoscere e – nel caso di chi scrive – ad apprezzare. E lo fa percorrendo dall’origine alla fine, dalla nascita alla morte, la vita di Pietro Migliorisi, «bambino diacronico», figlio del secolo e che di quel secolo ha incarnato le anime contraddittorie – il nero e il rosso –, facendosene al tempo stesso l’interprete più fedele e l’anticorpo più resistente, perché «i bambini diacronici non hanno la capacità di uscire dal tempo».

Storia aperta è il romanzo di una nazione che non può dirsi né fascista né comunista, pur essendo stata sia l’una che l’altra (e torna alla mente la centralità che nel Regno dei fossili ha un archetipo democristiano come Giulio Andreotti); è il racconto di un’identità mai risolta, in costante tensione dialettica e che necessita di percorsi paralleli e ipotetici per comprendersi e riconoscersi.

Nell’aprire un racconto di Città distrutte dedicato al personaggio di Pietro Migliorisi, Orecchio si poneva una domanda che allora poteva sembrare anodina ma che ora comprendiamo pienamente: «Quando racconterò Pietro Migliorisi?». Quel racconto, intitolato emblematicamente Episodi della vita di Pietro Migliorisi (1915-2001), offriva per frammenti il compendio di una vita che andava invece ricostruita per intero, senza lacune. Qualche anno dopo, in Il mondo è un’arancia coi vermi dentro, contenuto in Mio padre la rivoluzione, affiorava un altro episodio di quella biografia, breve, seppur importantissimo. Ma molto rimaneva ancora nell’ombra. Così ora, «dopo quasi vent’anni di pensieri e letture, di lavoro e scrittura», la storia integrale della vita di Pietro Migliorisi è pronta ad essere raccontata ed è, letteralmente, un monumento.

Non è semplice condensare in poche righe il contenuto di questo romanzo, in cui peraltro le 85 pagine di Materiali valgono quanto, se non più delle 570 pagine precedenti. Ma forse non è neanche necessario. Basterà dire che la vita di Pietro Migliorisi lo vede protagonista di un’infatuazione precoce per il fascismo, che lo spingerà addirittura ad arruolarsi volontario nella campagna imperialista d’Etiopia, da cui tornerà però turbato, al punto da avvicinarsi – grazie alla mediazione di Felice Chilanti – a quelle frange critiche del regime che oggi sintetizziamo con il termine di “fascismo di sinistra”. Per il regime però continua a combattere, nella sua Sicilia e poi in Grecia, sul Monte Tomori; poi sarà al confino a Ventotene e addirittura partigiano comunista nella Roma occupata dai tedeschi, mentre la moglie Michela, in Sicilia con il figlio Vasco, matura un distacco dal marito che è ideologico, prima ancora che affettivo. La guerra è il momento delle sliding doors di Migliorisi: qui avrebbe potuto diventare Pietro il nero o Pietro il rosso, due parabole alternative e opposte che Orecchio tratteggia brevemente, ma che sono entrambe, paradossalmente, sbagliate. Perché la guerra consegna un Pietro “rosso a metà”, costretto a combattere contro le ombre del suo passato («E devo uccidere il mio fascismo, ora o mai più, ora o mai più, ora o mai più devo ucciderlo») che alimentano la diffidenza dei compagni del PCI, nonostante il lasciapassare offerto nientemeno che dal padre del partito, Palmiro Togliatti. Il fatto poi di diventare una delle firme di punta dell’“altro” giornale di partito, «Paese sera», ancora insieme all’amico Chilanti, porta su Migliorisi ulteriori sospetti, che la sua pervicace lotta contro le prevaricazioni sociali e gli interessi economici che emergono dal processo Montesi non riesce a dissipare. La crisi del 1956, con il rapporto Chruščëv e i carri armati sovietici a Budapest, segna l’allontanamento di Pietro dal partito, a cui però rimarrà sempre affezionato: seguono anni da giornalista anziano e abitudinario, che vede tornare gli spettri del fascismo nelle stragi di stato; spettri che non saranno scacciati dall’illusione che Enrico Berlinguer possa essere la nuova guida che mancava al partito, perché il comunismo sembra aver accumulato un irrecuperabile ritardo rispetto al secolo che continua a scorrere («Vedevi i giovani sputare sul tuo comunismo. Volevi che il tuo comunismo scansasse lo sputo») e a un certo punto finisce. È poco il tempo che Migliorisi trascorre lontano da quel Novecento che l’ha generato e definito; presto se ne va anche lui, lasciando dietro di sé solo un «gigante di inchiostro», una montagna di pagine scritte nel corso della sua vita e che attendono ancora di essere lette: «Romanzi per nessuno. Poesie non percepite».

Tra le pagine di Storia aperta, il lettore più affezionato ritrova molti dei caratteri che rendono unica e riconoscibile la scrittura di Orecchio. Innanzitutto lo stile, condotto sulla linea di un’ispirazione figurale che trasforma la realtà in una continua, ma coerentissima fantasmagoria di immagini che ha il potere di sovvertire i consueti codici di riconoscimento.

Ora Pietro è nudo e vede la propria miseria, da qualche parte negli anni trascorsi al convitto Alighieri ha deciso che il suo abito è scrivere e lo userà per coprirla con mutande di parole, calzini di strofe, camicie di versi, casacche di componimenti per volumi futuri, ma Pietro deve riscaldarsi, dimenticare le gambe storte, gli sgorbi sulla pelle, i denti mai curati, il rachitismo, le scapole alate e si chiede scrivere cosa?, parlare in forma di carezza o di sberla?, per l’ascolto lirico o letture politiche?, poi dice anche io sono bravo, io sono giovane, io voglio che il regno mi premi, e dice: io sono fascista, sono fascista, sono fascista.

Qui, in un lampo, ci viene mostrato un uomo che decide di fare della scrittura la propria divisa, brandendo la parola come fosse una mostrina che definisce i gradi raggiunti. Una parola che diventerà poi anche strumento per una più giusta lotta di classe, ma che sarà anche pietra di scandalo e oggetto di censura. Una parola che, comunque, non cessa mai di essere una richiesta di cittadinanza nella storia. Ma c’è anche, in questa scrittura, la capacità di modulare di volta in volta un’ipotassi esuberante ma attentamente scandita e una paratassi asindetica, accumulativa e iterativa, che avvolge il lettore in un flusso narrativo avvolgente che deve senz’altro qualcosa alla parola poetica (e a quella poematica, più precisamente, come l’uso di alcune frasi in corsivo con funzione di leitmotivsembra suggerire). 

Ritroviamo inoltre l’impeccabile lavoro sulle fonti storiche che permette a Orecchio di fare di Storia aperta, oltre che un romanzo a tutti gli effetti, anche una monumentale storia d’Italia raccontata con le autentiche parole di chi l’ha vissuta, da una parte e dall’altra della barricata ideologica (e ne è testimonianza la ricchissima bibliografia consegnata alle Fonti). Ancor più di quanto accadeva nei precedenti libri di racconti, appare qui evidente come il rapporto con il passato non possa che essere mediato dai testi, dai documenti, dai racconti. Sono questi che compongono la nostra immagine della storia, questi che testimoniano le diverse voci che quella storia ha prodotto e che di quella storia possono dare versioni discordanti. Così la narrazione di un’intera epoca come quella fascista assume le fattezze di un conflitto tra le fonti, da un lato l’Enciclopedia del fascismo, il Libro del regno e l’Enciclopedia della guerra a restituirci la voce del potere, della propaganda, della nazione ufficiale, e dall’altro i Bestiari fascisti e i Sillabari rossi che registrano invece ciò che la censura non consente, le parole clandestine che troveranno ascolto solo nel dopoguerra (quando diventerà centrale, invece, la Prosopografia del comunismo italiano, perché la storia consente anche agli sconfitti di diventare vincitori e costruire il proprio glorioso racconto). Per un procedimento analogo, i personaggi che si muovono sulla scena di questa Storia aperta sono fatti di parole, sono la somma di discorsi, esperienze e “biografemi” propri di figure storiche differenti: così, ad esempio, dietro il Comunista ci sono, tra gli altri, Giaime Pintor, Mario Alicata e Maurizio Ferrara. Ma lo stesso vale per Pietro Migliorisi, personaggio ispirato abbondantemente al padre dell’autore, Alfredo Orecchio, ma che porta su di sé tratti di Franco Calamandrei e Fidia Gambetti, Davide Lajolo e Fabrizio Onofri, Ruggero Zangrandi e, ancora, Mario Alicata.

Si tratta di un esercizio massimalista, che sembra funzionale a mettere in risalto le linee portanti della storia, a estremizzare le opposizioni, a definire i personaggi solo in quanto “tipici” (è lo stesso Orecchio a dirlo nella Nota finale: «Mi interessava dare consistenza a un personaggio tipico di quella stagione» – ma per Migliorisi si dovrebbe parlare piuttosto di un personaggio fatto di archetipi). E se di questo ci possiamo rendere conto solo una volta terminata la lettura, quando scorriamo le precisissime note bibliografiche, prima, a lettura in corso, abbiamo fatto un’esperienza del tutto diversa, perché quella di Pietro Migliorisi è una storia di ambivalenze, di dubbi e pentimenti, di atti di fede e dimostrazioni di incoerenza. E questo accade principalmente grazie alla perizia con cui Orecchio ha raccolto e poi collazionato le fonti, ma soprattutto grazie alla sensibilità narrativa con cui le ha poi rimodellate. Perché l’archivio è fondamentale per raccontare la storia, ma non è infallibile (una lezione che abbiamo appreso anche grazie al Regno dei fossili) e le fonti non parlano da sole, ma devono essere messe nelle condizioni di dire anche quello che apparentemente non sembravano in grado di dire. È questo il fondamento creativo e altamente poetico di Storia aperta (e davvero dovremmo smetterla di ripeterci che Orecchio lavora sulle fonti “come uno storico”, giacché fa l’esatto opposto).

Resterebbe, a questo punto, da dire qualcosa sul fatto che Pietro Migliorisi è, in qualche modo, la controfigura del padre dell’autore, il Doppelgänger di Alfredo Orecchio. Si tratta di un’informazione che cambia radicalmente l’esperienza di lettura, ma che può essere ignorata fino alla fine senza che questo intacchi il valore profondo di questo romanzo. D’altra parte, non basta a svelare il vincolo famigliare e affettivo il ricorso al noi narrante nella prima parte del romanzo; e non basta nemmeno il fatto che da un certo punto in poi quel noi diventi un io che vorrebbe rivendicare una conoscenza speciale del proprio soggetto («Tu vorresti scrivere ogni giorno una lettera a Palmiero Togliatti. Io lo so. Perché ti conosco»), ma che di fatto dipende dalle fonti e dalla loro reticenza come qualsiasi biografo a distanza («Tu non mi parli se non tramite medium che traducono male. La vita che scrivo è sfocata. La biografia non ha le fonti che occorrono»).

Dare del tu alla storia è un privilegio che pochissimi possono concedersi. Nella Nota finale Orecchio ci rivela che, anche per lui, quel tu ha rappresentato solo l’illusione di una confidenza, il miraggio di una verità storica. E per provare a recuperarla ha dovuto mettersi al lavoro, affrontare il “gigante d’inchiostro”. Nato da un bisogno personale, Storia aperta rivela il suo valore più alto nel tentativo di costruire una narrazione dall’indubitabile valore politico e collettivo. Nelle opere di scrittrici e scrittori delle ultime generazioni pare che l’ossessione per la Storia che ha segnato tanti romanzi dell’ultimo ventennio sia venuta meno – venendo meno forse un passaggio generazionale diretto; offrendoci questo ritratto dialettico del Novecento, Davide Orecchio ci ricorda invece che non è possibile smettere di fare i conti col secolo passato.


Davide Orecchio, Storia aperta, Bompiani, Milano 2021, 672 pp. 22,00€