Il gruppo di lettura torinese Sul ponte diVersi propone per «La Balena Bianca» una serie di interviste a critici letterari di poesia contemporanea italiana. L’occasione offerta dall’intervista permette di articolare meglio un dialogo che non dimentica di coinvolgere e interrogare i critici selezionati e parte delle loro opere e produzione, in modo da circoscrivere di volta in volta gli argomenti enucleati e proiettarli verso ambiti problematici più ampi e generali. Apparirà evidente, così facendo, quanto nessuna ricerca critica sia inizialmente concepibile se non, volendo chiosare un’affermazione di Gianfranco Contini, «come esercizio sui contemporanei».
Nella quarta intervista (qui, qui e qui le prime tre), Federico Masci e Jacopo Mecca del gruppo Sul Ponte diVersi dialogano con Giacomo Morbiato, studioso di lingua, stile e metrica del testo letterario. Giacomo Morbiato ha pubblicato le monografie Forma e narrazione nella Camera da letto (libreriauniversitaria.it edizioni, 2016) e Una sola digressione ininterrotta. Cosimo Ortesta poeta e traduttore (Padova University Press, 2021) insieme a Jacopo Galavotti; ha curato, insieme a Jacopo Galavotti e Vito M. Bonito, Tutte le poesie di Cosimo Ortesta (Argolibri, 2022)
1) Ritenere la Bufera montaliana un materiale privilegiato per ipotizzare modificazioni che sono interne al percorso personale dell’autore, come avviene in una parte del saggio Implicazioni teoriche e storiche dell’approccio stilistico alla metrica, diventa possibile dal momento in cui si concepisce, dentro alla raccolta, la compresenza di spinte divergenti: «convivono apertura e chiusura della forma, correlative rispettivamente di un arretramento del soggetto e del suo arroccamento critico […] davanti alla tempesta storica»[1]. Da questo particolare punto di vista la raccolta può anche essere interrogata «come allegoria del destino insieme formale e gnoseologico della poesia italiana del secondo Novecento»[2]. Su questa matrice poeti come Sereni, Bertolucci, Luzi, Raboni, Zanzotto e Pagliarani, applicheranno strategie di relativa apertura della forma poetica che possono risaltare per opposizione «al conservatorismo di Montale»[3], pur essendovi indirettamente legate. Quanto in là possiamo ancora spingerci per ritrovare o ipotizzare una influenza montaliana, dissimulata o dispersa che sia, nella storia della poesia italiana degli ultimi anni del Novecento?
GM: Pur non essendo uno specialista montaliano, credo in effetti (con l’ausilio di autorevoli esperti) che sia possibile interpretare La bufera e altro come un libro di crisi e di passaggio tra il “primo” e il “secondo” Montale: a considerazioni fondate da un lato sulla metrica e sulla forma (per es., la gestione delle enumerationes), dall’altro sull’organizzazione del macrotesto (più corposo e meno compatto rispetto a quello dei primi due libri) vanno aggiunte le osservazioni di Niccolò Scaffai sul manierismo, da intendersi come rapporto di «rincaro e complicità metaletteraria» con le Occasioni (cito dall’introduzione alla nuova edizione commentata Mondadori) e più in generale come aumento dell’allusività letteraria e culturale. Potremmo dire, sintetizzando in maniera un po’ brutale, che nella Bufera sono visibili, seppure non con la stessa chiarezza, entrambe le posture della poesia montaliana: da una parte la posizione sopraelevata di chi si colloca più in alto del male che rappresenta (qui mi rifaccio, contraddicendolo, allo Zanzotto critico del saggio montaliano L’inno nel fango), per giunta contrapponendogli un bene se pure precario e per altrui, ed enuncia le proprie verità in una forma concentrata e monumentale; dall’altra la posizione più bassa di colui che dismette le antiche protezioni e si lascia annegare in un realtà presente vissuta come dominio dell’informe e del colloso; e dunque, nella prospettiva che sarà di Satura, una poesia-chiacchiera che mima ironicamente l’inautentico e rinuncia alla selezione dei suoi oggetti e delle sue forme. Credo che l’influsso di Montale sulla poesia italiana a lui successiva (anche oltre il Novecento) possa essere misurato, oltre che in termini di influenza diretta (come ad esempio è stato fatto egregiamente da Gianluigi Simonetti nel suo Dopo Montale, 2002, per il primo Montale e in particolare per le Occasioni nei poeti della terza e quarta generazione), soprattutto accertando la pervasività delle due distinte funzioni-Montale qui sopra rapidamente sbozzate. Senza ovviamente negare la persistenza di un’influenza più diretta e capillare del modello montaliano, quale ad esempio quella che si può riscontrare nella poesia di Guido Mazzoni, in particolare nella fase d’avvio rappresentata da I mondi (2010), alle cui spalle si collocano non a caso i saggi montaliani raccolti in Forma e solitudine (2002). La presenza di Montale, quello degli Ossi più ancora di quello delle Occasioni, è evidente, per menzionare due soli tratti, nella dizione composta e lapidaria (per la quale conteranno certamente anche altri modelli a cominciare da Wallace Stevens) e nella dialettica tra elenchi e apoftegmi conclusivi.
2) Nel volume Forma e narrazione nella Camera da letto di Attilio Bertolucci la considerazione delle varie questioni che, nel percorso bertolucciano, si aprono alla “scoperta” di una diversa coscienza formale basata, come testimonia l’interpretazione della Poetica dell’extrasistole, su «uno spostamento d’asse del discorso […] attorno alla poesia dai termini propri del metalinguaggio metrico-ritmico a un uso figurato della terminologia medica riguardante i disturbi cardiaci»[4], comporta tutta una serie di conseguenze di rilievo. Stilisticamente questa giustificazione fisiologica della consapevolezza metrica può implicare, nell’ opera di Bertolucci, «per l’endecasillabo […] un trattamento fondato sulla variazione costante e l’elusione dell’isometrismo»[5]. Ma dal punto di vista storico-critico questo singolo caso serve a dedurre un cambio di paradigma che riguarda «la distinzione tra metro e ritmo in poesia»[6] in vari momenti della tradizione poetica del Novecento. Come si inserisce, in sintesi, il caso di Bertolucci in questo processo di trasformazione dei rapporti tra gli istituti metrici, intesi nella loro modificabile convenzionalità, e gli autori che, da un certo momento in poi, possono percepire il ritmo «come scelta all’interno delle possibilità lasciate libere dalla “legge dei numeri”»[7]?
GM: Alla base di questo discorso vi è la distinzione tra metro e ritmo così come l’ha formulata, tra gli altri, Marco Praloran (penso alla sua Guida anomala ai fondamenti della versificazione italiana): detta in modo spiccio, essa oppone il metro in quanto struttura formale predeterminata al ritmo in quanto discorso soggettivo che sostanzia tale struttura, riempiendo liberamente gli spazi lasciati vuoti dallo schema, si tratti del modello di un verso o di uno schema strofico. Così definita, è la dialettica tra elementi oggettivi ed elementi soggettivi che costituisce il fulcro della poesia tradizionale, ed è precisamente ciò che la liberazione metrica otto-novecentesca va a mettere in questione. Non solo perché la poesia che ne consegue in molti casi rinuncia programmaticamente al confronto con l’oggettività, ma perché, anche quando fa ricorso a un elemento istituzionale, essa lo filtra soggettivamente, di fatto rimotivandolo. Da questo punto di vista, Bertolucci rappresenta un caso esemplare sia per la sua metrica sia per i modelli e le esperienze che vi confluiscono. La sua fase iniziale è tutta all’insegna di una metrica libera integrale, aperiodica e pienamente espressiva; ma nel seguito egli si riavvicina all’endecasillabo, che diventa una componente fondamentale di una metrica mista, cioè ricorsiva anche se non periodica, e allusiva della tradizione, il cui punto d’arrivo è rappresentato da La camera da letto: in parte affidata a una scansione para-endecasillabica, in parte a una metrica globalmente aperiodica che trova una fonte di regolarità nella ripetizione lessicale e in figure collocate all’incrocio tra metro, sintassi e retorica. Ne risulta una sorta di summa delle possibilità di strutturazione del testo poetico novecentesco, la cui motivazione ultima risiede non a caso sul piano dei temi, mirando a separare finanche nelle forme il Romanzo familiare [al modo antico] dei Bertolucci e dei Rossetti dalle vicende individuali del protagonista-narratore A. Alle spalle dell’opera e della coscienza metrica in essa depositata sta una vasta costellazione di riferimenti, di cui da conto in parte la precoce Poetica dell’extrasistole (1951), e anche qui abbiamo l’impressione di una summa provvista di un valore più generale: la metrica “liberata” del D’Annunzio delle Laudi, la traduzione italiana dei versetti whitmaniani, l’esperienza maturata come traduttore dei blank verses del Prelude di Wordsworth, il ritmo fisiologico di Charles Olson e dei poeti beat americani, il quale fa da filtro a una rilettura della Liberata. Il precedente tradizionale dell’ottava tassiana, supremo esempio di rapporto dinamico e teso tra metro e sintassi, va incontro a una trasformazione radicale: l’endecasillabo passa attraverso il corpo, il soggettivo e il fisiologico precedono e rimotivano quel che fu oggettivo.
3) Nel saggio Metrica e forma nella poesia di oggi, uscito per Ticontre nel 2017, viene proposta una mappatura stilistica, metrica e formale sulla poesia strettamente contemporanea. Vengono presi in considerazione quattordici libri, usciti dopo il 2010 di altrettanti autori nati tutti negli anni Ottanta (Bernasconi, Targhetta, Mancinelli, Corsi, Borio, Di Dio, Rusconi, Durante, Gallo, Sinfonico, Bellomi, Leonessa, Mazzotta, Galimberti). Il campione analizzato è ampio e vario, ma è possibile individuare alcune tendenze comune a livello metrico, come per esempio «l’assenza di forme chiuse e versi regolari, il che significa indifferenza a ogni neometricismo e prima ancora alla periodicità come vincolo cui ancorare la scrittura in versi»[8]. Tuttavia sembra rimanere, anche come principio strutturante, una debole récurrence che «si concretizza presso molti come ricerca di un gruppo versale dominante e/o dell’omogeneità ritmica»[9]. Ci puoi parlare meglio di questa tendenza e proporre alcuni esempi dai libri presi in analisi nel tuo studio? L’omogeneità ritmica cui alludi è per lo più traducibile con la tendenza da parte del poeta a seguire un ritmo proprio, interiore, come una voce che da dentro detta i tempi, le pause, la lunghezza del verso? Infine, quali altri procedimenti sono individuabili sul piano metrico e formale negli autori nati negli anni ’80?
GM: A costo di dire qualche ovvietà preciso che la récurrence in questione è categoria di Zumthor che io mutuo da Menichetti, il quale distingue due gradi di regolarità in poesia: alla periodicità intesa come ricorrenza perfetta ed evidente si oppone, su un gradino più basso, la ricorsività intesa come ricorrenza imperfetta ma comunque attiva e chiaramente percepibile dal lettore. Se la periodicità è tipica della poesia (in metrica) tradizionale, forme parziali di regolarità sono proprie di molta poesia novecentesca e successiva, fino ai libri usciti negli anni Dieci del Duemila. Nel saggio in questione facevo diversi esempi, insistendo in particolar modo sulla ricerca di un gruppo versale dominante a cui ancorare la “rotazione” delle misure versali (gruppo che di norma privilegia i dintorni dell’endecasillabo, 11-14 sillabe in Bernasconi e 8-12 sillabe in Di Dio) e sulla presenza di sacche di omogeneità ritmica nei testi (coppie e terne di versi isoritmiche o scalari, ad esempio in Targhetta e Mancinelli). Ragionando in questi termini è opportuno considerare la portata delle ricorrenze in questione (se coprono in qualche modo l’intero testo, o se invece agiscono solo localmente: sono due forme diverse di parziale “chiusura” del testo e della forma) e la loro qualità più o meno tradizionale e codificata (ad esempio misurando il coinvolgimento dell’endecasillabo). Nel mio studio sui poeti nati negli anni Ottanta sceglievo di occuparmi unicamente di poesia in versi, assumendo una posizione in qualche modo conservativa ed evitando di confrontarmi con quello che sicuramente è uno dei mutamenti più significativi occorsi nel campo poetico italiano dell’ultimo ventennio: lo sdoganamento della prosa come mezzo espressivo e la sua diffusione trasversale attraverso le generazioni e le poetiche. Beninteso, uno studio su periodicità e ricorsività nelle scritture poetiche in prosa costituirebbe un interessantissimo contributo alla mappatura delle forme odierne della poesia, consentendoci di sostanziare e sfumare la distinzione di massima tra una poesia in prosa che rifiuta i contrassegni formali della poesia e un’altra che li assume entro una certa misura. E si potrebbe immaginarlo come uno studio volto alle ricorrenze fonetiche e a quelle intonative, comprese quelle generate da ricorrenze attive primariamente sul piano della sintassi e su quello lessicale (ripetizione di parole). Quanto alla questione del ritmo interiore eventualmente seguito dai poeti nella composizione, preferirei fare un passo indietro: questo perché nella mia prospettiva la récurrence resta prima di tutto un fatto testuale, cioè concreto e concretamente percepibile, accertabile con gli strumenti dell’analisi linguistica e metrica; i dati raccolti in questo modo potranno poi essere combinati con considerazioni relative alle modalità compositive, alla poetica, alla cosiddetta ispirazione.
4) Il libro Una sola digressione ininterrotta. Cosimo Ortesta poeta e traduttore, scritto a quattro mani con Jacopo Galavotti e uscito lo scorso anno è un tentativo di proporre uno studio monografico, il più possibile a ampio spettro, sull’opera poetica e l’attività di traduzione di Cosimo Ortesta. A eccezione del libro Il gelo e lo sguardo. La poesia di Cosimo Ortesta e Valerio Magrelli, (CLUEB, 1996) di Vitaniello Bonito, gli studi sono stati pochi e poco approfonditi per un autore come Ortesta che, anche se con un esordio tardivo (a quarant’anni), ha incarnato la figura di poeta-traduttore-critico ed era inserito tra le maglie editoriali e culturali del secondo novecento[10]. Potremmo parlare di Ortesta, utilizzando una marca già usata per altri poeti primo novecenteschi, di “maestro in ombra”, per alcuni poeti più giovani? Nell’introduzione al vostro lavoro questa ipotesi sembra essere suggerita ma subito taciuta, quando si dice che è possibile scoprire «tre rapporti possibili, idealmente fecondi, con poeti più giovani la cui produzione è suscettibile di entrare in risonanza con le armoniche di quella ortestiana»[11]. I poeti chiamati in causa sono Giuliano Mesa, Mario Benedetti e Ferruccio Benzoni. Se è così quali sono o potrebbero essere gli aspetti e i procedimenti della poetica di Ortesta che entrano in risonanza in questi autori? Potrebbero esserne chiamati in causa altri anche più giovani, per esempio (forzando un po’) si può pensare a Simone Cattaneo, almeno per una certa idea di poesia vissuta come una «ricerca di una verità personale intimamente legata al trauma e alla sua indicibilità, a un’investigazione sui margini del linguaggio»[12] o ad altri?
GM: L’appellativo di maestro, anche se “in ombra”, mi pare problematico in un caso come quello di Ortesta, che difficilmente credo l’avrebbe accettata per se stesso. Per questo motivo mi limitavo (e mi limito) a indicare possibili punti di tangenza e somiglianze, evitando proposte genealogiche, che però possono essere forse fatte almeno per Vito M. Bonito, che di Ortesta è stato studioso e amico. Nella poesia di Bonito l’influenza (o almeno la vicinanza) ortestiana sembra emergere, oltre che in alcune comuni preferenze letterarie e culturali (il Barocco, Beckett), tanto nella poetica (che mette al centro i traumi biografici, orfanità in testa) quanto nella rete dei temi e delle forme: penso alla ricorrenza delle immagini materne, mortuarie e nevose, e alla scelta di una sintassi minima e rarefatta che riduce ulteriormente quella già per molti versi vaga e lacunosa di Ortesta. Dei tre poeti che menzionavo (Giuliano Mesa, Mario Benedetti, Ferruccio Benzoni), è soprattutto Mesa a sembrarmi meritevole di uno studio che quanto meno confronti la sua posizione con quella di Ortesta, muovendo da alcune evidenti predilezioni condivise (Beckett) e da un’indagine formale che metta al centro il connubio di rigore formale (metrico, ritmico e fonico) e opacità sintattico-testuale. Quanto al più giovane Cattaneo, la prospettiva di un apparentamento mi sembra interessante, ma anche problematica: per via dei modelli anglosassoni recenti di quest’ultimo e per il peso che nel suo fare poetico hanno le influenze musicali e narrative; infine e soprattutto per via di quella che mi sembra essere la dizione di Cattaneo, da una parte più scopertamente lirica (vedi l’insistenza sulla prima persona), dall’altra più discorsiva e narrativa, fondata su un rapporto fortemente “inclusivo” con l’immaginario contemporaneo.
Profili bio-bibliografici.
Giacomo Morbiato è borsista della Fondazione Ezio Franceschini e docente a contratto di linguistica italiana presso le università di Padova e Verona. I suoi studi privilegiano la poesia italiana contemporanea e la letteratura del Cinquecento. Ha pubblicato tre monografie (Forma e narrazione nella «Camera da letto» di Attilio Bertolucci, 2016; Una sola digressione ininterrotta. Cosimo Ortesta poeta e traduttore, 2021, con Jacopo Galavotti; «Forse più là dove meno appare». Testualità, retorica, letteratura nei dialoghi italiani di Giordano Bruno, 2021) e curato con Vito M. Bonito e Jacopo Galavotti Tutte le poesie di Cosimo Ortesta (2022).
Sul ponte diVersi è un gruppo di lettura di poesia e critica letteraria, nato a Torino dall’impegno di Riccardo Deiana, Federico Masci, Jacopo Mecca e Francesco Perardi. Organizza da marzo 20218 incontri con i poeti italiani contemporanei nel contesto della libreria indipendente Il Ponte sulla Dora. Collabora con «L’Indice del libri del mese», «Avamposto» e più recentemente con «La Balena Bianca». Da questo link (https://www.facebook.com/pontediversi) si può accedere alla pagina Facebook del gruppo.
[1] Giacomo Morbiato, Su alcune implicazioni teoriche e storiche dell’approccio stilistico alla metrica, in Strumenti critici, 32 (1), 2017, pp. 67.
[2] Ibidem.
[3] Ivi, p. 68.
[4] Giacomo Morbiato, Forma e narrazione nella Camera da letto, libreriauniversitaria.it edizioni, Padova, 2016, p. 28.
[5] Ivi, p. 20.
[6] Ibidem.
[7] Ivi, p. 22.
[8] Giacomo Morbiato, Metrica e forma nella poesia di oggi, in «Ticontre. Teoria Testo Traduzione», VIII (2017), p. 41.
[9] Ibidem.
[10] A cura Jacopo Galavotti, Giacomo Morbiato e Vito M. Bonito è appena uscita per Argolibri l’opera omnia di Cosimo Ortesta, che permetterà di scoprire e riscoprire la poesia di questo autore: Cosimo Ortesta, Tutte le poesie, Argolibri, Ancona, 2022.
[11] Jacopo Galavotti, Giacomo Morbiato, Una sola digressione ininterrotta. Cosimo Ortesta poeta e traduttore, Padova University Press, Padova, 2021.
[12] Ivi, p. 28.