La sessualità come fondamento segreto e ineluttabile tanto delle pulsioni più feroci quanto della sofisticazione culturale più elaborata – il sesso, per dirla con D’Annunzio, come «il più certo mezzo di conoscimento offertoci dalla Natura»: è questo il teorema intorno a cui si svolge il nuovo libro di Garth Greenwell, recentemente tornato in libreria con Purezza (Einaudi): una radiografia del desiderio tracciata in una scrittura implicita e sospesa, costruita intorno a una rete di suggestioni, intuizioni, citazioni, come del resto sa bene chi conosce l’opera di quest’autore già internazionalmente affermato.
Greenwell è nato in America, ma ha trascorso molto tempo a Sofia, in Bulgaria – e proprio a Sofia sono ambientati i suoi romanzi, e allo stesso modo intellettuali e scrittori protagonisti di questa storia ricalcano il profilo dell’autore. Il suo primo libro, What Belongs to You, estensione del racconto Mitko, era uscito in Italia per Mondadori nel 2017 con il titolo Tutto ciò che ti appartiene. Era un libro duro: un romanzo di formazione crudele, la storia di un’educazione sentimentale feroce e senza scampo – la stenografia, scrupolosa e lirica insieme, di un abbandono erotico ed emotivo. Greenwall, lo si è capito, è un autore che parla di sesso, un sesso estremo e liminare, spesso violento e sadomasochistico. Un’etichetta che risulta essere limitante: Greenwall lavora, lontano da ogni rappresentazione esotica del desiderio, proprio per portare diverse declinazioni della sessualità all’interno del vocabolario erotico, da cui con troppa pudica facilità certe pratiche vengono escluse a favore di una fin troppo convenzionale retorica della perversione. Purezza sembra evocare sistematicamente un celebre passaggio di Sigmund Freud: «Si può dire che non ci sia nessun individuo sano che non aggiunga al normale scopo sessuale qualche elemento che si possa chiamare perverso; e la universalità di questo fatto basta per sé sola a farci comprendere quanto sia inappropriato l’uso della parola perversione come termine riprovativo».
Il protagonista di Purezza è un professore d’inglese a Sofia; un uomo ferito, incompleto, coinvolto in un’irrequieta ricerca d’identità e, forse, di salvezza. Il romanzo si struttura come una successione di scene, capitoli che funzionano come racconti autonomi, legati l’uno all’altro solo dal protagonista e dalla sua quête. Solo nella seconda parte, Amare R., tre capitoli si annodano in un nucleo narrativo, come a segnalare che solo all’unità amorosa può corrispondere l’unità narrativa, che vita e letteratura fanno tutt’uno al punto che la frammentazione dell’una si rispecchia in quella dell’altra.
Memorabile è l’apertura del libro: in un bar qualsiasi, pieno di fumo, a Sofia, dove uno studente racconta al professore le sue pene d’amore e i tormenti di essere omosessuale in Bulgaria:
«Lei non ha idea di come sia, disse, pronunciando il mio nome, e facendomi trasalire, non so bene perché, e io provai di nuovo lo shock avvertito, anni prima, la prima volta che uno studente mi aveva chiamato per cognome. Mi era risultato così estraneo, così poco connesso alla mia persona. […] Ci avevo pensato anche prima, alla perdita che comporta ottenere questa visione più autentica di noi, quella a cui avevo esortato il mio studente, a cui ero in dovere di esortarlo, anche se ci allontanava dal nostro sogno di noi stessi, dalla grandezza dei romanzi e delle poesie che avevo comunque il dovere di trasmettere. Quanto ti sei rimpicciolito, dissi a me stesso, attraverso un’erosione forse necessaria alla sopravvivenza, e di cui forse devi ancora pentirti, riducendoti a dimensioni sopportabili».
Così come il ragazzo cerca uno specchio, un varco, un appiglio nell’adulto, a sua volta il professore, mentre il ragazzo parla, cerca in qualche modo di portare in salvo se stesso: che quel racconto, quel ragazzo, quelle sensazioni altrui lo aiutino a recuperare un filo – il filo di sé – che è ormai andato dimenticato. Il protagonista è il risultato di un’educazione sentimentale fallita, turbata dai fantasmi di un desiderio che non considera mai le ragioni dell’ordine. Nel secondo capitolo si procede infatti nella casa di un uomo conosciuto su internet, uno di quelli che Charlotte Gainsbourg in Nymphomaniac definisce “gli uomini pericolosi”. Nell’appartamento dello sconosciuto va in scena il desiderio di annullarsi, che prevale su ogni altro istinto del protagonista, perché «da certi posti non si è mai tratti in salvo». Per una sensibilità continuamente scossa dalla precarietà, dalla contraddizione, dal poco e dal moltissimo della vita, il desiderio di annullarsi non si può cancellare, ma solo sublimare nell’amore. Il regno di cupio dissolvi si contrappone a quello romantico, generando un cortocircuito egotico e indissolubile – dal Sé risulta ora impossibile uscire.
Così anche quando i giovani studenti si prendono le strade e le piazze di Sofia rivendicando maggiori e nuove libertà – sono probabilmente le manifestazioni del 2020 contro il governo del primo ministro Borisov, emblema di un potere oligarchico e distante dai problemi delle persone –, il protagonista rimane uno spettatore assente, descrive il suo stato d’animo e non approfondisce contestualizzando o spiegando dettagliatamente le dinamiche di quel movimento di protesta. Prova ad indagare i motivi e le ragioni che animano i suoi studenti ma resta radicalmente cinico; persino lì dove le tematiche in gioco – i diritti della comunità LGBT – lo coinvolgerebbero più direttamente, resta sostanzialmente imperturbabile, esterno. Un passeggero assorto, quasi mai consapevole di dove lo porterà il treno su cui pure ha deciso di salire.
L’atmosfera di Sofia, città spezzata dalla povertà ma che cerca di recuperare fervore ed entusiasmo attraverso rivolte che tuttavia restano fatue e inconsistenti, si rivela il panorama perfetto dove lasciar scorrere questa storia – nonché il suo perturbante correlativo. Purezza è una storia fatta di sommesso nichilismo e flebili speranze. Speranze in cui si fa fatica a credere sino in fondo, perché persistono, nel sottofondo mentale del protagonista come in quello urbano, i fantasmi del dolore, della povertà, del passato. È finita l’epoca dei sogni, l’american dream promesso non arriverà mai: niente è più possibile. Esistono solo tenere consolazioni, momenti di gioia a cui aggrapparsi, e pericolose voragini di angoscia da evitare. Il protagonista si muove in equilibrio su questo filo, una crepa che divide il soffrire troppo dal gioire troppo, lo smettere di sperare e una speranza che rischia di tramutarsi in illusione. Per questo forse nei rapporti sentimentali, che siano violenti incontri sessuali o piccoli idilli romantici, fatti di parole in codice – Skupi – e viaggi, il protagonista cerca quasi esclusivamente, disperatamente, una relazione con il corpo. Durante la gita bolognese – pagine che ricordano la prosa e il portato emotivo di Camere Separate di Tondelli – , anche l’esperienza della città diviene esperienza della materia. È il momento in cui i due, quasi per caso, s’imbattono nei quadri di Giorgio Morandi: «Era come se gli oggetti emanassero una loro luce, che […] in qualche modo vibrava, creando un senso di movimento e d’immobilità insieme. Sembrava contenere una promessa, pensai, una promessa rivolta a me, un’affermazione su ciò che la vita poteva essere».
Non sono le anime, le indoli o i pensieri degli uomini che incontra a costituire il centro del suo desiderio: è sempre il corpo, la dura e inequivocabile materia fisica dell’uomo. I corpi innocenti, sempre puri, sempre puliti quando ci si appresta al rapporto sessuale – non è un caso che il libro in inglese s’intitoli Cleaness –: purezza, sì, ma anche pulizia, una corporalità igienizzata dalle velenose ambiguità dei sentimenti e delle psicologie. Pulizia, insomma, per vedere il mondo per quello che è: un luogo sterile e impotente, da cui ci si può aspettare ben poco. Eppure il mondo è tutto ciò che possiamo aspettarci. Questo la scrittura di Greenwall sembra saperlo bene: una prosa posata e minimale, misurata e mai scialba, senza interferenze esterne, senza sussulti, in una musicale e scrupolosa continuità riflessiva: immagini, episodi, corpi e volti trovano una legittimazione nel fluire, potenzialmente infinito, del linguaggio. Raccontare queste vicende è un atto di speranza, sebbene Greenwell verso la fine del suo racconto scriva:
«Pensiamo sempre che ciò che creiamo durerà, ma non è così, o quasi mai: lo creiamo e per un po’ gli diamo importanza, dopodiché ce ne liberiamo. Non c’è nulla di metafisico, pensai mentre me ne stavo fermo a guardare quel cumulo di tela e pittura; era un processo quasi automatico, biologico, una sorta di escrezione che non conteneva significati, non ambiva ad alcun futuro».
Leggere Greenwell significa leggere qualcosa di unico e a sé stante nel panorama della letteratura contemporanea. Purezza è infatti un libro che difficilmente, in Italia, scalerà le classifiche. Un libro di cui non si parlerà a lungo sui social, e forse neanche sui giornali: un libro “difficile”, un libro che trasforma la sua tenuta stilistica in una dichiarazione politica di poetica.
Garth Greenwell, Purezza, Torino, Einaudi 2022.