Claudia e Piero sono sdraiati su un letto a una piazza. I loro corpi nudi, abbracciati sono disegnati in una ripresa dall’alto. I loro nasi a punta simili a due coltelli si sfiorano senza tagliarsi. I colori a pastello, costretti nei limiti a matita delle figure, danno un’idea di costante movimento. Claudia dice a Piero che a volte ha paura di lui, per il suo modo di mettersi tutto nelle cose che fa, mentre lei non si è mai sentita intera. Piero risponde che non vede in lei una persona a metà, ma due in una. Claudia è la protagonista di Giorni felici (Coconino Press, 2021), il secondo fumetto di Zuzu.
Il suo esordio risale al vicino 2019, con Cheese, autofiction nata come tesi di laurea allo Ied. Coconino Press lo presentava come il graphic novel della più giovane autrice da loro mai pubblicata. Quando il libro è uscito Giulia Spagnulo, in arte Zuzu, aveva solo 23 anni. Una scommessa che mostrava già i segni di una vittoria: un’impronta decisa, riconoscibile, un immaginario che occupava la pagina con urgenza.
Si tratta di due libri molto diversi. Per Cheese Zuzu sceglie la monocromia della china per rappresentare una storia fortemente autobiografica, incentrata sulle avventure minime di un gruppo di tre amici adolescenti in un quartiere della provincia italiana. Il momento della loro vita che viene descritto è quello del passaggio dall’adolescenza all’età adulta; il loro “triangolo felice” ha fonte privilegiata nel cinema francese della Nouvelle Vague e, in modo esplicito, nel Jules et Jim di François Truffaut.
L’amicizia fa da scudo protettivo alle angosce del crescere, che nella protagonista si declinano nel suo disturbo, la bulimia, rappresentato in tavole che mostrano il corpo di Zuzu gonfiarsi o addirittura spaccarsi, mostrando a cielo aperto le proprie viscere, fino a diventare il paesaggio mostruoso e torturato a cui Zuzu si aggrappa nel tentativo di riappropriarsene.
Il frequente citazionismo, gli intervalli di scritte a tutta pagina dal forte tenore lirico, le tavole oniriche sulla bulimia, seppure abbiano una fortissima carica espressiva, bucano la trama a discapito di una coesione complessiva del racconto.
Ciò non accade in Giorni felici, opera che si distacca dall’autofiction, dà spazio al colore e a una storia che riesce a essere solida, pur scegliendo un percorso non lineare. Punto di partenza, suggerito fin dal titolo, è il dramma teatrale omonimo di Beckett, del 1961. In Beckett la protagonista, Winnie, è per metà una borghese dai modi affettati e stucchevoli; per l’altra è invece sottoterra.
Nel secondo atto addirittura solo la testa si salva dalla morsa del suolo. Il suo interlocutore è Willie, il marito, seduto dietro di lei, annoiato dal continuo ciarlare a cui risponde con monosillabi o versi. I loro giorni sono scanditi da un campanello che fa da sveglia al mattino e dà il segnale per la notte. La fossa come metafora della tragedia di una vita scialba, insulsa, fatta di apparenze e di sopportazione, ha come contraltare però l’incorruttibile felicità di Winnie, l’ostinazione che la lega alla vita. Unica traccia del suo dolore camuffato è la pistola che ha nella borsa. Una pistola che però non emette colpi. Nel graphic novel di Zuzu, invece, la pistola sparerà.
Claudia, la ventenne protagonista, ha imparato il monologo di Winnie per presentarlo a un provino che le fa lasciare la casa di villeggiatura in cui si era recata con Piero per tornare a Roma. Qui incontra Giorgio, il suo compagno precedente, più grande di lei di molti anni. Il racconto si dirama nei due tempi del presente in cui Claudia accetta l’invito di Giorgio a un aperitivo in cui si perde il conto dei bicchieri vuoti e del passato, attraverso continui flashback che ripercorrono la loro storia dal primo incontro alle crisi dovute all’incapacità di Giorgio di accogliere il lato più intimo di Claudia, ferino e fragile allo stesso tempo, che spesso prende il sopravvento trasformandola in un angelo con la coda e i denti affilati. La pistola sparerà. Forse ci sarà un morto, forse no. Perché Zuzu decide di non assecondare un finale chiuso e definitivo.
Se in Cheese vi era la necessità di un citazionismo esplicito e diretto, qui l’insegnamento del cinema francese risulta acquisito e fatto proprio, nella profondità con cui vengono messe in scena le relazioni di coppia, nel gusto di dare spazio agli eventi minimi, che divagano dal ritmo serrato del racconto per un tempo sospeso, come il gioco di Claudia al fiume, in cui due pietre grazie alla sua voce prendono vita; o la pagina che mostra Claudia ascoltare dalle cuffie Perfect day, uscire in terrazza e sorridere a un uccello giallo che la chiama al volo. Si tratta di punti di fuga che rallentano il tempo della storia, momenti di respiro per il lettore, che si alternano ad altri dal ritmo più intenso, grazie alla capacità di montaggio delle vignette – si tratta di un libro di 448 pagine con molte tavole in cui si avvicendano fino a dodici quadri – e dall’uso calibrato dei dialoghi.
Forse il piano autobiografico è ancora troppo predominante, forse alcuni elementi risultano un po’ ingenui, come la costruzione della coppia oppositiva Claudia-Giorgio incentrata su uno scontro generazionale, con Claudia che critica il compagno di essersi indurito, di essere diventato qualcuno che pensa solo alle cose materiali. Mentre lei sarà sempre in grado di esporsi e mostrare la propria fragilità. Si tratta di passaggi che però vengono giustificati dall’età della protagonista e dal gusto naïf che la scelta del pastello dà al disegno; una scelta che, del resto, lo rende ancora più incisivo, soprattutto nelle scene che si fanno più crude e tese del finale.
Scrive Gipi, mago-editor che ha accompagnato Zuzu nella lavorazione di Cheese: «Zuzu, maledetto intollerabile innocente furore giovanile. Visti i primi lavori suoi, lei pareva timida. Alzai la testa dai fogli stampati: “Quanti anni hai?”. Lei rispose. Credo di averla mandata a fanculo. Troppa lucidità, troppa capacità di racconto per quell’età. Allo stesso tempo, la giovane, maledetta, con fragilissima semplicità m’aveva aperto una porta: “vuoi ricordarti com’era, essere vivi?” sembrava dire con quelle pagine. “leggi, allora”. E lessi. Era così».
Arrivata finalista con Cheese al premio Angoulême 2022, proposta con Giorni felici al premio Strega da Valeria Parrella, scelta per creare la sigla della trasmissione L’assedio condotta da Daria Bignardi e per curare una rubrica di fumetti su Robinson della “Repubblica”, Zuzu ha dato visibilità e vita nuova al fumetto italiano, riuscendo a essere pop senza esserlo. Non è facile fare fumetti. Capacità narrativa e intensità espressiva rischiano di intrecciarsi male, eccedendo o da un lato o dall’altro. Zuzu sa raccontare storie. E sa farlo con immagini che sono come quelle citazioni che appena lette si riscrivono sul quaderno per trasformarle in un tesoro personale.
Zuzu, Giorni felici, Coconino Press, Roma 2021, 448 pp., 25 €