Ogni comico che si rispetti possiede il proprio bagaglio di trucchi. Allo stesso modo ogni testo comico possiede le sue tecniche, che ne fanno uno strumento di intelligenza, dotato di proprie meccaniche interne e di un suo rapporto con il mondo e con il lettore. Queste osservazioni su Altri dodici Cesari di Stefano Tonietto, pubblicato recentemente per Exòrma Edizioni, vogliono essere al tempo stesso la recensione del romanzo, la descrizione del come della sua comicità e, in ultima istanza, l’affermazione della sua raffinatezza.
Altri Dodici Cesari si presenta nella finzione letteraria come una perduta raccolta di biografie di imperatori, la cosiddetta Historiola Augustula di tale Gaio Vanesio Svetonietto, immaginario epigono del più celebre De Vita Caesarum di Svetonio. Ognuno di questi ipotetici imperatori (se ne contano tredici se si considera l’ulteriore biografia posta in appendice al testo) è caratterizzato da una qualche priorità, sempre bizzarra o addirittura assurda: si hanno dunque il primo imperatore inesistente, il primo imperatore plebeo, il primo imperatore non umano e via dicendo. Le biografie sono inoltre tutte caratterizzate da una marcata predilezione verso «notizie spicciole e curiosità, malignità, pettegolezzi, dettagli pruriginosi», come sottolineato dall’autore stesso nel capitolo introduttivo.
Innanzitutto, ogni comico conosce il suo pubblico. Altri Dodici Cesari è un libro profondamente autocosciente della propria nicchia di lettori, e di questa autocoscienza fa un punto di forza. La comicità di Tonietto richiede una certa quantità di conoscenze pregresse, e nella sostanza si rivolge a un lettore implicito dotato di nozioni di filologia, storia, letteratura classica e moderna, nonché avvezzo alle prassi della scrittura accademica; senza queste competenze molta dell’ironia del testo nonché gran parte delle battute di cui esso è costellato, vanno facilmente perdute. L’uso insistito di note bibliografiche fittizie, di introduzioni storiche e di stilemi della saggistica filologico-letteraria rivela con una certa sfrontatezza quale sia l’idea di lettore che sottosta al testo, e al tempo stesso permette di creare con tale lettore un sistema di reciproca comprensione, una rete di ammiccamenti compiaciuti. Su tale ammiccamento fa leva e trae forza una cospicua parte della comicità puntuale delle prose di Tonietto.
Ciò nonostante, la gran parte della bellezza e della raffinatezza di Altri dodici Cesari sta nel fatto che, pur sfoggiando un simile peso di citazioni e riferimenti dotti, non risulta mai autoreferenziale. In primo luogo, a donare maggiore profondità è l’onnicomprensività carnevalesca dell’intento comico: ogni cosa del mondo è oggetto di scherzo, e quella stessa accademia che fornisce pubblico e materiali è la prima a subire un trattamento parodico. Ecco dunque che l’apparato di note e tutti i rimandi alla scrittura accademica si collocano in una strategia di ampio respiro finalizzata a prendere bonariamente (ma sistematicamente) per i fondelli l’accademia stessa. Tale irrisione trova un esempio smagliante nell’introduzione, dove i riferimenti pseudo-bibliografici raggiungono punte spettacolari di irriverenza. Si veda per esempio la nota a piè di pagina «Coefora Luciano, Non so dove sbattere la testa, in “Sala Docenti”, Nuova Serie, VII (2016), pp. 65-67», dove alla storpiatura dal sapore eschileo del nome di un certo filologo barese si sommano i titoli dell’ipotetico saggio e della relativa rivista, che non lasciano adito a dubbi riguardo all’intento ironico. Altro esempio la presenza, in coda all’introduzione, di una «Nota al testo» sui diversi testimoni dell’ipotetica Historiola Augustula con tanto di convenzioni grafiche della filologia (crux desperationis, uso delle parentesi ecc.).
In secondo luogo, il libro di Tonietto si svincola da eccessivi elitismi per la caratura profondamente umana della materia narrata. Eccoci dunque al nucleo tematico di Altri dodici Cesari: citando dalla quarta di copertina (ottimamente realizzata), «l’opera viene spacciata per la prima traduzione italiana della Historiola Augustula di un tal Gaio Vanesio Svetonietto. Che le dodici biografie di improbabili reggitori dello Stato imperiale siano false non ha alcuna importanza, non sono meno plausibili di quelle vere». E in effetti è così: le tredici storie, spesso balzane e ridicole, di altrettanti ipotetici imperatori romani sembrano essere tutte accomunate dal profondo realismo della farsa. L’assurdo, che è più reale della finzione proprio nel suo essere antirealistico, e la loro stranezza suonano sempre terribilmente familiari.
Esempio magistrale di tale profondità umana è la terza biografia del libro, la Vita di Flavio Apoculato. Questi sarebbe stato, nella creazione di Tonietto, il primo imperatore inesistente: frutto dell’«unico caso di una congiura non organizzata per far morire un Cesare», bensì proprio per farlo continuare vivere pur essendo una invenzione di fantasia, Flavio Apoculato nasce da una menzogna improvvisata ingegnosamente da due liberti, Encolpio e Gitone, per salvarsi la pelle nella baraonda successiva alla morte per avvelenamento del precedente imperatore Palindromo. I due, insieme a un piccolo manipolo di altri congiurati, manterranno per un breve periodo la facciata costruendo menzogna su menzogna, fino a che l’insostenibilità del castello di carte verrà svelata in una sola frase da un bambino, che vedendo vuota l’armatura dell’imperatore inesistente portata in trionfo la dichiarerà nuda. Fittissima è la rete di riferimenti, che vanno dalla fiaba celeberrima di Andersen I Vestiti Nuovi dell’Imperatore, palesemente citata nel momento dello smascheramento, al chiaro riferimento nei nomi dei due liberti ai personaggi principali del Satyricon di Petronio, dalla citazione a Il cavaliere inesistente di Calvino (che tuttavia Tonietto fa diventare debitore della più antica Vita di Flavio Apoculato, con una divertente inversione della storia), alla storpiatura del Carme XVI di Catullo pronunciata dal congiurato Bòmbice al patibolo, che da minaccia e insulto diventa rivendicazione della propria furbizia (e, comunque e sempre, insulto, in questo caso rivolto all’autorità costituita gabbata).
Tuttavia tale denso citazionismo fa solo da cornice a quello che è il reale oggetto di indagine di questa pseudo-biografia: l’assurdità e vanità dell’Istituzione. Ecco quindi che, oltre al divertente gioco di menzogne che richiama a secoli di commedia del servo ingegnoso, oltre alle tante battute puntuali (tra le quali, la ricorrente menzione dell’espulsione dei Giudei dall’Italia come una vera e propria tappa inevitabile per ogni imperatore romano, variamente citata da tutte e dodici le biografie) e alla fitta maglia di citazioni, traspaiono momenti di sarcasmo in vena sociopolitica, che riconducono l’assurdo al reale mantenendo un sorriso sornione. Tale sarcasmo si concretizza nel testo su un duplice livello: innanzitutto trova la sua primaria concretizzazione al livello della narrazione, ossia nelle descrizioni dei vari personaggi che approfittando del vuoto effettivo di potere cominciano ad arrogarsi titoli salendo sul carro della menzogna e fingendosi amici, parenti, addirittura consorti dell’imperatore immaginario; a un livello ulteriore tale sarcasmo si trova oggettivato nelle parole quasi leopardiane del congiurato Bòmbice, in un momento di pluridiscorsività bachtiniana: «Voi non capite (disse) che gli esseri umani vogliono essere ingannati, e non perdonerebbero chi si permettesse di scuoterli dalle loro illusioni».
È in ultima istanza nella trasfigurazione comica del reale che Altri dodici Cesari trova la sua dinamica più potente. Tutte le biografie, da quella del primo imperatore plebeo a quella di Decimo Petronio, primo imperatore accanitamente sportivo, nella loro esagerazione hanno sempre qualcosa di familiare. Ci fa ridere la ricontestualizzazione in epoca romana, tecnica frequentissima spesso spinta al grottescamente anacronistico; ci fa altrettanto ridere, se non di più, notare quanto i bizzarri personaggi ideati da Tonietto siano vicini a noi e risultino, in definitiva, semplicemente umani. È proprio grazie a questa umanità che Altri Dodici Cesari elude tanto il rischio di una farsa completamente innocua tanto quello di un macchiettismo esasperato, donando così al testo momenti di profondità notevole. Questo libricino di poco più di centosessanta pagine risulta così una piccola perla di comicità intelligente, intellettuale ma al tempo stesso genuina.
S. Tonietto, Altri dodici Cesari, Roma, Exòrma, 168 pp., € 16.