Ci sono autori che portano avanti la loro ossessione per anni, a volte per tutta la loro carriera. Mille variazioni sul tema, senza mai ripetersi, trovando ogni volta una nuova profondità. Per David Cronenberg l’ossessione è il corpo e Crimes of the Future è il film testamento/manifesto che più dei suoi precedenti lavori ne espone la poetica.
Ambientato in un momento storico e un luogo imprecisati, il film presenta un mondo crepuscolare in cui il genere umano attraversa una fase evolutiva, che vede lo svilupparsi di nuovi organi sconosciuti, all’apparenza privi di funzione, mentre il perfezionamento della medicina rende i corpi quasi insensibili al dolore. C’è chi interpreta questi fenomeni come una maledizione, chi invece come l’eccitante avventura del progresso: un nuovo capitolo dell’umanità. A metà tra queste visioni si colloca il nostro protagonista, Saul Tenser, noto artista, che insieme alla sua compagna Caprice, mette in scena performance di body art estrema, in cui Saul si lascia estrarre gli organi “nuovi” – e precedentemente tatuati – sdraiato all’interno di una macchina chirurgica dalle fattezze di un sarcofago alieno. Cronenberg torna quindi a contemplare il corpo come unica verità, tempio dove il sottotesto (gli organi) è più bello del testo (le superfici cutanee) e persino i tumori diventano oggetto di una rivoluzione, a cui resistere o abbandonarsi. Viggo Mortensen nel ruolo del protagonista è un uomo tormentato e al contempo stimolato da condizioni fisiche eccezionali, che lo portano ad esplorare le infinite possibilità metamorfiche della sua malattia e non è difficile riconoscere in questo artista della carne che vaga incappucciato in una città in decadenza l’alterego dello stesso Cronenberg. Fermamente convinto che l’unica forma di trascendenza avvenga attraverso il corpo, il regista canadese, infatti, solo un anno fa, era ricomparso sulla scena con un cortometraggio in cui lo si vede contemplare il proprio cadavere sul letto, annusarlo e infine abbracciarlo. Il messaggio è chiaro: non c’è realtà oltre quella del corpo, spazio politico e luogo dell’unica indagine che conta davvero, in un mondo contemporaneo che invece ne prepara l’annientamento, il dissolvimento dietro a filtri, schermi e metaversi. Oltre alle performance scioccanti offerte da Saul Tenser, nel mondo di Crimes of the future è in atto la ribellione portata avanti da moderni carbonari che sognano una nuova carne. Invece di piazzare ordigni e gambizzare politici, questi terroristi intervengono illegalmente sul loro corpo, sostituendo l’apparato digerente con un uno in grado di assimilare la plastica: dalla vita organica a quella sintetica. Saul Tenser sarà incaricato dalla polizia di prendere contatto con le milizie, ma più conosce la filosofia dietro al movimento, più ne è sedotto. Come nei suoi precedenti film Videodrome e Crash, la macchina si insinua nei tessuti, fino a fondersi con essi e rimettendo in discussione ogni regola. Così la chirurgia “è il nuovo sesso”, come ci dice Timlin (interpretata da una nevrotica e straordinaria Kristen Stewart) impiegata nell’ufficio burocratico che ha il compito di classificare la comparsa di tutti i nuovi organi, in particolare quelli di Tenser, di cui Timlin è una grande ammiratrice. Per questo, quando introduce una sonda nel corpo del suo idolo, Timlin si lascia scappare un gemito e successivamente assistiamo all’amplesso sui generis tra Tenser e Caprice all’interno della macchina chirurgica, mentre bisturi automatici tagliuzzano le carni degli amanti. Eppure la presenza gore in Crimes of the Future è meno accentuata di quanto il trailer forse abbia fatto immaginare. A parte le performance artistiche di Tenser e l’autopsia su un bambino (scena discussa già ai tempi della proiezione a Cannes, per cui diversi spettatori hanno lasciato la sala) la pellicola segue un andamento meditabondo, con sostenute scene di dialoghi in cui la dottrina si fa densa. Probabile che i fan dei film più action del regista canadese come La Mosca o Scanner potrebbero rimanerne delusi, ma di certo resteranno soddisfatti dal design delle macchine e degli strumenti adottati dal protagonista: materici e sensuali, in pieno stile Cronenberg. Il film lascia infine trapelare una certa critica al mondo dell’arte, in cui l’artista vive il perenne conflitto tra il successo commerciale e la libertà della propria espressione. Di certo Cronenberg non sembra patire più di tanto questo dilemma, offrendoci un’opera che mantiene integra la fibra poetica di uno dei più grandi del cinema moderno.