Mai parentetica fu più indicativa del senso di una ristampa; o meglio di una riscrittura: nella premessa alla nuova edizione di Occidente uscita ora per Apogeo, Camon avverte l’esigenza di spiegare, in una parentesi per l’appunto, che la strage di Bologna fu «il più grande atto di terrorismo in Italia, 85 morti e 200 feriti nella stazione ferroviaria». Quest’avvertenza è particolarmente significativa, perché indica come il lettore odierno a cui Camon si rivolge sia profondamente cambiato rispetto a quello della prima edizione, e abbia bisogno di essere guidato nel decennio degli anni di piombo. La prima versione del libro, che tratta del terrorismo nero della Padova degli anni Settanta, è uscita infatti nel 1975, dunque nel cuore del periodo dello stragismo. La versione del 2022 subisce in questo senso un’importante operazione di riscrittura e di asciugatura, per depurarlo dai difetti che l’autore – a distanza di anni – ha creduto di intravedervi. Il testo, rispetto alla versione originale, comunque rimane invariato nella sua divisione in sei parti, che alternano descrizioni del mondo neofascista e resoconti della sinistra extraparlamentare della Padova dagli anni Settanta.

Nel 1975 Camon aveva momentaneamente abbandonato il mondo contadino (centrale nella prima fase della sua produzione: si citi per tutti Il quinto stato, anch’esso peraltro recentemente ristampato) per dedicarsi al tema più urgente e caldo di quegli anni: il terrorismo e la cosiddetta strategia della tensione. In quell’anno esce la prima edizione di Occidente, che ha come protagonista Franco, giovane capo di un gruppo neofascista, malcelata trasposizione letteraria di Franco Freda, che solo l’anno prima, nel ’74, era stato inserito tra gli imputati del primo processo per la strage di Piazza Fontana. Nella prima edizione la vicinanza temporale ed emotiva ai fatti narrati è strettissima, e non a caso Camon smette i panni dello scrittore per indossare quelli del cittadino. In questo modo rinuncia a ogni vantaggio rispetto al lettore, se non quello di avere conservato con scrupolo le fonti, di cui fa largo uso nel romanzo.

La materia trattata era scottante, e infatti ai tempi le reazioni non tardarono ad arrivare da entrambi gli schieramenti. Da sinistra Camon venne accusato, in particolare sulle colonne del «Quotidiano dei lavoratori», di eccessiva indulgenza nei confronti del protagonista e di una certa curiosità morbosa verso l’universo neofascista; per contro, proprio da quei gruppi di estrema destra, ricevette intimidazioni e minacce di vario genere. Ma sono altri due episodi a mostrare in maniera emblematica il legame strettissimo di questo romanzo con i fatti di cronaca contemporanei.

Come racconta Camon stesso nella prefazione alla nuova edizione del libro, nel corso delle indagini sulla strage di Bologna vennero trovate nella sede di una cellula neo-nazista incriminata per la strage undici pagine del romanzo copiate a mano: quelle pagine saranno citate nel processo dall’accusa e figureranno anche nella sentenza di condanna. Inoltre, quando nel 1978 la RAI trasse dal romanzo uno sceneggiato, Franco Freda si riconobbe in uno dei personaggi rappresentati e querelò Camon, ma, siccome nel frattempo era stato condannato all’ergastolo e aveva perso dunque i diritti civili, vide la sua querela cadere nel vuoto. Anni dopo, quando la Cassazione annullerà la sentenza di condanna, Freda non persisterà nelle vie legali, ma chiederà un confronto con Camon, confronto che avrà effettivamente luogo e verrà pubblicato in appendice a Occidente; appendice che però è purtroppo assente nella nuova edizione.

Nel romanzo il fuoco della narrazione è centrato, come si è detto, sulla città: non una generica città, ma la Padova degli anni a cavallo tra il 1969 e il 1974, epicentro del terrorismo nero e degli scontri tra la sinistra extraparlamentare e i gruppi neonazisti. Infatti i due protagonisti della vicenda appartengono alle due opposte fazioni: da un lato Miro, militante di sinistra, dall’altra Franco, capo della formazione di estrema destra «Gruppo d’ordine», riferimenti non troppo velati a «Ordine nuovo» e a Franco Freda.

È proprio su Franco che si sofferma maggiormente la narrazione, portando avanti un’indagine che non è solo storiografica, ma è soprattutto psicologica. Franco è infatti un personaggio disturbato, perennemente in preda a paralizzanti crisi d’angoscia, che lo porteranno a rivolgersi a un analista, salvo però rinunciare immediatamente alla prospettiva di intraprendere un percorso terapeutico. Questo malessere profondo è vissuto dal protagonista, diversamente da quanto accadrà ai personaggi dei successivi romanzi di Camon, con un’ambivalenza tale da spingerlo a non volersene sinceramente liberare, intravedendo in esso un segnale di grandezza e di eccezionalità rispetto all’intera umanità.

Gli echi nietzschiani sono evidenti: per Franco l’angoscia è il fardello da portare per scontare una superiore consapevolezza rispetto a un mondo che gli appare destinato al disfacimento. È interessante notare come il personaggio, che si colloca in un contesto fortemente politicizzato e ideologizzato, riconduca il suo disagio proprio alla crisi dei valori, suggerendo implicitamente che anche la sua presa di posizione ideologica, per quanto forte, non sia altro che un velleitario tentativo di reagire non solo alla morte di dio, ma anche di tutti i suoi simulacri moderni.

La necessità di un’azione violenta per Franco affonda le sue radici nella necessità palingenetica di annientare un presente di vacuità e alienazione per far sorgere una nuova umanità. È dunque un peccato che, in sede di riedizione, siano state espunte le pagine molto efficaci – e giustificatrici del titolo – in cui la voce narrante descriveva l’angosciante frenesia di Padova, immagine simbolica di una crisi generalizzata dell’Occidente, in cui la coazione alla banalità quotidiana aveva (o ha) pervaso ogni istante della vita diurna degli uomini che vivono come in guerra, e in cui l’angoscia invade le notti, quando la città si trasforma in un enorme ospedale da cui si levano lamenti disperati.

Il mondo in cui si muovono i personaggi, il contesto delle loro azioni, è quindi il secondo grande protagonista del romanzo, e per ricreare questo mondo Camon affianca all’indagine psicologica una rappresentazione il più fedele possibile del clima di quegli anni, inserendo nella narrazione fonti documentarie: articoli di cronaca, ciclostilati, manifesti e stralci di comizi. Aver conservato queste fonti, per poterle riutilizzare, è l’unico vantaggio che l’autore dichiara di avere nei confronti del lettore che ormai non conosce più i fatti e ha bisogno di essere guidato in un periodo storico di cui sta progressivamente affievolendo la memoria.

Il terzo protagonista del romanzo è la lingua, che, nella sua medietà così lontana dagli esiti formali del “ciclo degli ultimi” (ossia i primi romanzi di Camon), non è neutra, ma sintomatica di una diversa posizione del narratore rispetto al suo pubblico: essendo quello rappresentato un mondo borghese, non vi è più alcuna necessità di contaminazione tra alto e basso, tra dialetto e lingua scolastica. Ormai i personaggi parlano la stessa lingua dell’autore e del lettore, in quanto fanno tutti parte della medesima classe sociale. La lingua è anche quella dei proclami e dei ciclostilati, della guerriglia e dei linguaggi in codice, che permettono al lettore di immergersi in un mondo che, se nel 1975 poteva sembrare fin troppo attuale, oggi, nel 2022, appare ormai lontanissimo e meritoriamente riportato alle stampe.

La sfida intrapresa da Camon, trasporre in forma romanzesca la cronaca più attuale e dolorosa di quegli anni, è ardua: di fronte ad essa la maggior parte dei narratori suoi contemporanei arretra, dichiarando implicitamente l’impossibilità di costruire un romanzo, proprio perché, come ha spiegato diffusamente Raffaele Donnarumma, l’essenza stessa del terrorismo mette «in crisi la possibilità di una narrazione storica». La letteratura impegnata del dopoguerra era possibile perché «la rivoluzione è il mito moderno che dà una direzione agli eventi» e li rendeva intelligibili, mentre «il terrorismo, che della rivoluzione è una parodia nera e postmoderna, dissolve quel senso», rendendo i fatti opachi e incomprensibili, vanificando a priori ogni tentativo di trasfigurazione letteraria. Da tale rischio è però immune la prosa di Camon, che, assumendosi il rischio di ibridare la letteratura fino a indebolirne lo statuto, attinge a piene mani dalla cronaca cercandovi gli indizi necessari a ricostruire il quadro di una realtà che ai più appare ormai inintelligibile.


F. Camon, Occidente, nuova ed., Adria, Apogeo, 2022, 132 pp., € 15.