Un riuscito esempio di poesia di ricerca; una plaquette sperimentale; una raccolta postlirica; l’ultimo libro di Marco Giovenale si intitola Delle osservazioni e, volendone scrivere, si avverte il desiderio di non fermarsi alla triade definitoria iniziale e rispondere così a una domanda tanto semplice quanto preziosa: cosa accade in questo libro? 

L’autore ha composto un’autoantologia in cui si trovano una parte di Criterio dei vetri (Edizioni Oèdipus, 2007), l’intera raccolta Storie dei minuti (Transeuropa, 2010) e altri testi sparsi provenienti da opere precedenti; non si tratta però di una semplice somma bensì di un profondo lavoro di organizzazione della macrostruttura testuale che in molti casi ha compreso anche un’operazione di riscrittura. Il risultato risponde a un titolo, Delle osservazioni, che ha diverse funzioni; intanto è ambiguo, può far sovvenire ricordi scolastici e classicheggianti, il de + ablativo o il περί + genitivo, i complementi di argomento insomma, ma allo stesso tempo anche chi non è incline all’analisi logica avverte che il libro nasce dalla capacità visiva dell’autore che con lo sguardo ha colto una quantità indeterminata della realtà per poi trasformarla sulla pagina.

L’operazione di trasferimento è condotta sul binario della scrittura non-assertiva che incontra a più riprese quello delle scritture liriche più tradizionali, posto che se, come afferma Gian Luca Picconi nel suo ultimo saggio, «tutte le scritture poetiche sono, in un certo senso, almeno metaforicamente non-assertive» (La cornice e il testo, Tic Edizioni, 2020, p. 12), l’opera di Giovenale è certamente più non-assertiva di altre. Sotteso a essa, infatti, c’è un programmatico disturbo della funzione comunicativa della lingua, che assegna al lettore la responsabilità di muoversi nel testo per girarlo in lungo e in largo e cogliere le molteplici inferenze.

Dal punto di vista formale, la superficie tonda dei caratteri è scompigliata, con una certa frequenza, dai corsivi che danno voce ai discorsi riportati, stralci di conversazioni, domande impertinenti che si susseguono, petulanti: «C’è una vita dopo la morte?  | -È la canzone incapsulata. | c’è ancora lavoro dopo la morte? – i paragnosti, furbi, furbi» (p. 33). Le anse delle strutture sintattiche deformate accolgono neologismi dolorosi come logoalgia (p. 8), tecnicismi medici come ronco, cauterio, scatola celeste (p. 5) che si accostano ad altri lemmi tecnici specialistici come forgia, benna, tornio (p. 26); e ancora, in un così piccolo numero di componimenti (Delle osservazioni conta ventinove testi), si addensano anche figure etimologiche o paraetimologiche come Osservazione osservata; legáti, legáli (p. 21); pensáti, | pensando (p. 24);  e paranomasie: Adam nell’eden (p. 9); appena sei nel corridoio esiti, | esisti solo nella camera, | chiusa» (p. 25).

Come quando, stando seduti in mezzo alle persone che passano veloci, arrivano all’orecchio stralci di conversazioni, così, leggendo Delle osservazioni si raccolgono frammenti di realtà, descrittivi e propulsivi di una immaginazione personale del mondo. Questo meccanismo è uno dei maggiori effetti poetici, intendendo con questa espressione un «effetto particolare di un enunciato che ottiene gran parte della sua pertinenza grazie ad un’ampia gamma di implicature deboli», per rimandare alla definizione dell’antropologo cognitivo francese Dan Sperber e della linguista britannica Deirdre Wilson, nella traduzione di Picconi presente nel già citato saggio (p. 6). Nel meccanismo ideato da Giovenale gli elementi tematici tipicamente poetici, come le relazioni, il tempo, addirittura la natura incarnata nell’acanto, pianta dal nome montalianamente poco usato, sono messi in una sequenza verbale piramidale che non a caso porta il titolo di De architectura (p. 17).

tipico trittico edipico
dove in realtà la realtà
non accade, continua curva
con rantolo, (curva
continua) (maschio maschio
femmina) – due invecchiano – il vecchio
ha invero (inverso) ucciso il piccolo
– la curva finisce su sé
(acanto)

Una tale moltitudine tipologica riflette le impressioni di un soggetto che attraverso lo sguardo tenta di stabilire un collegamento tra la propria interiorità e uno spazio esterno che pare essere dominato dalla solitudine e dalla consunzione.

La riorganizzazione della sfera semantica orchestrata dall’autore fa sì che gli schemi interpretativi, nella lettura, siano messi sotto scacco e le parole non si susseguano stancamente appoggiandosi l’una all’altra ma chiedano a gran voce a chi legge di essere messe insieme, ogni volta in modo diverso.

Delle osservazioni è infatti il risultato di un montaggio eversivo, fondato da continue rotture formali e semantiche, in cui la successione delle stringhe verbali costringe chi legge a comporre uno dei possibili sensi dei testi.

E qui possiamo tornare alla domanda inziale e accennare una risposta: in questo libro accade che una congerie di spie linguistiche illumini la pagina e invece di spandere chiarezza ci fa allontanare dalla pretesa di letteralità che si avanza solitamente nei confronti di un testo. 


Marco Giovenale, Delle osservazioni, Blonk, Pavia 2021, pp. 41, € 2,99/6.