È una poesia densa di echi quella che risuona nella Casa vuota, l’ultimo libro di Yari Bernasconi. Uscito per Marcos y Marcos nel luglio del 2021 nella collana Le ali, diretta da Fabio Pusterla, il libro ridefinisce e precisa i contorni di un paesaggio poetico ormai saldo e maturo che aveva preso il via nel 2009 con il libretto Lettera da Dejevo (Alla chiara fonte).  

Il ramo che lega il nuovo libro di Bernasconi alle sue radici è d’altronde evidente sin dalle cinque sezioni che compongono la macrostruttura del libro. Ritorno a Dejevo, la prima, ci riporta in Estonia, esattamente nella penisola di Saarema, che era il cuore di Nuovi giorni di polvere (2012); la seconda sezione, Cinque cartoline dal fronte, era invece la prima parte della silloge Cinque cartoline dal fronte e altra corrispondenza, uscita nel 2019 per L’arcolaio, così come la quarta sezione, Altra corrispondenza, ne era la seconda parte. Lo schema si ripete poi per l’ultima sezione, La città fantasma, che ha il medesimo titolo della silloge uscita nel 2017 per Nervi, e per quella centrale, Le stagioni, contenuta in A Zurigo, sulla luna. Dodici mesi in Paradeplatz (Cappelli, 2021).

La planimetria della Casa vuota, se aperta su un tavolo, si trasforma in una carta geografica cupa e precisa, segnata dalle ferite della storia che incrudeliscono il presente. La toponomastica s’impadronisce sovente dei testi, e colloca il lettore dentro un itinerario sia continentale che acquoreo: il Golfo di Riga, con le «onde | che muovono la riva, la sua sabbia, i sassi» (p. 17), Ponte Tresa, Luino, «dove gli smottamenti danno scosse leggere» (p. 26), Ginevra, e ancora Zurigo, il ghiacciaio di Plaine morte, la «strada | fra Roma e Grosseto» (p. 51) sono solo alcune delle indicazioni spaziali che concedono alla lettura un terreno esplorativo reale.

I temi della frontiera, del viaggio, della storia individuale intrecciata alla storia generale, della scrittura come corrispondenza, della natura e della sparizione, trovano così una mappa che l’io tiene tra le mani, proprio quando si chiede «dove sono | tutti?» (p. 67), citando esplicitamente, nelle note, la poeta Azzurra D’Agostino. Una domanda sempiterna che riecheggia anche quando, nella poesia eponima del libro, una prima persona singolare torna a prendere le chiavi in una casa dove ha abitato, osserva una poltrona, un centrino lavorato con l’uncinetto, dei tappeti e non trova che l’assenza: nessuna presenza familiare, non il fratello, ma solo la chiave, quindi gli oggetti soli nella loro consistenza e una polvere spessa a coprirli.

Come rileva Fabio Pusterla nel risvolto di copertina, la ricerca poetica di Bernasconi si muove quindi sulle direttrici dell’esperienza vissuta e dell’esplorazione di una storia europea incisa dalle rovine. Nei testi si susseguono crolli, apparizioni animali o fantasmatiche, memorie e abbandoni, tutte tessere portatrici dei temi cardine che sono il viaggio e la frontiera, la natura e la vita animale, il rapporto tra storia e memoria.

In un panorama di desolata e consumata distruzione l’elemento umano coincide spesso con l’io lirico (in alcuni casi è un noi) che trova talvolta un interlocutore con cui confrontarsi: «Tu parli e nel frattempo, in pochi mesi, | volano tronchi sradicati dal vento, | crollano boschi, bruciano germogli | più verdi. Le famiglie si assottigliano […] Pochi minuti e non resta più nulla» (p. 46). C’è una realtà spaziosa certo, ma quasi più nessuno sembra disposto ad abitarla: «vedi gli alberghi cupi e inabitati | e le case svuotate, mentre su è solo roccia, | strapiombo. Senti l’ansia dell’inizio, e più forte | la paura di un’altra fine» (p. 27).

Con la contemplazione del vuoto interferiscono i dati concreti, àncora al mondo e, al tempo stesso, occasione di astrazione; i frutti amari di un momento di condivisione: «Una volta, in casa, in cucina, mentre mangiamo | pane e frutta secca, ci fai provare | una bacca amarissima»(p. 14); le porte di vetro che fanno vedere al di là ma non si possono attraversare: «Ci sono porte | dimenticate, lasciate aperte come fossero | chiuse. E molte altre rozze, insignificanti, | che nemmeno guardiamo, oppure chiuse | con catene d’acciaio, murate. | Questa volta | è una porta di vetro» (p. 35); uno scivolo che traccia l’andamento di una vita: «Mi guardi e mi saluti dallo scivolo. | Altre discese e risalite ci aspettano | al varco dei crepuscoli» (p. 36); le poste a cui è affidata la speranza di trovare chi si ritiene perduto: «Non so che fine hai fatto, ma ti scrivo. | Le poste hanno risorse insospettate: | forse ti troveranno» (p. 57).

Questi temi e motivi sono modulati da una prosodia discretamente musicale, contigua al magistero di alcuni dei grandi poeti del Novecento, come Montale, Sereni od Orelli. Calibrata con attenzione, alternando misure dalle dieci alle quindici sillabe a versi brevi, la prosodia concorre alla dimensione confidenziale della raccolta, soprattutto in alcuni testi che appartengono al sottogenere della lettera o cartolina in versi (raramente in prosa). Una strategia comunicativa di questo genere, data la sua natura illocutoria, porta il soggetto lirico a uscire dalla sua prossimità rassicurante per metterlo in discussione, protendendosi alla ricerca di un altro, di un tu che, non essendo nominato, s’incarna facilmente nel lettore, interlocutore di un dialogo intelligente, spesso sommesso e melanconico, a volte, al contrario, pieno di rabbia, come nella splendida Poscritto a un discorso non mio (p. 60), che merita di essere citata integralmente:

Forse hai persino ragione: l’Europa
unita non è che un disordine di desideri.
E quindi? Ti sembra davvero abbastanza
per mostrare i tuoi denti, ridere,
ripetere il sermone del modello svizzero?
Dimenticando di dirci chi sei e da dove vieni
veramente. Dimenticando quello dà vita
alla vita: l’incerto, l’impuro, l’impossibile.
Se questa è sul serio la tua terra promessa,
puoi tenerla per te. Coltivaci i tuoi sassi.
Nel frattempo, con l’orizzonte in ombra,
tutto il resto nel buio, continuo a credere
che senza un grano di sale e senape
non siamo nulla.

L’io poetico che sillaba i testi di questa raccolta infine, è, per dirla con Hagège, «un uomo dialogale», un essere che «non si rassegna alla cancellazione di ogni traccia del mondo materiale nella lingua» ma che nello scambio comunicativo trova la ragione della sua trasformazione e della sua crescita.


Yari Bernasconi, La casa vuota, Marcos y Marcos, Milano 2021, pp. 96, 18 €.