Se siete sopravvissuti al Whamaggedon, se volete spicy up all’ultimo i vostri ascolti wrapped, se cercate ispirazione per regali sofisticati o, anche solo, se volete affacciarvi e sbirciare fra le preferenze musicali della redazione, allargata per l’occasione, tornano i consigli musicali della Balena Bianca.
Bad Decisions, Subnormal (Voodoo Rhythm), 2022 (Giacomo Micheletti)
Dai bassifondi sonici della Bucarest underground arriva l’album d’esordio del duo Bad Decisions: post(?)punk minimalista (batteria, basso e voci) per una scarica di pezzi, alcuni cantati in spagnolo, che svariano dal trash ‘n’ roll più sguaiato di Playa de los Peligros alla new wave in salsa kraut di Aire Negro, fino alla cavalcata distorta di Time Ghetto con cori quasi liturgici. Ritmi che schiacciano come una cappa di nubi gelide: ma la ballata conclusiva Books, su un tappeto di chitarre, organetto e archi, mette voglia di uscire di casa e cercarsi un angolo di sole.
Lucrecia Dalt – ¡Ay! (Rvng Intl.), 2022 (Francesco Vara)
Lucrecia Dalt, nome d’arte di María Lucrecia Pérez López, artista colombiana berlinese d’adozione, dopo un decennale percorso fra ambient, IDM ed elettronica, ci regala ¡Ay!, uno fra i dischi più belli del 2022.
Ricodifica la musica delle sue origini colombiane contaminandole con elementi sci-fi, rumori di giungla o forse stridori di fabbriche, contrabbassi sinuosi come serpenti, synth come rospi nel fogliame liquido equatoriale, cadenze e fiati alla Nino Rota, misteri notturni afosi e sussurrati, ritornelli sensuali e chiarificatori, scoppi di lamiere, mariachi non umani.
Un bolero del 3000.
Marco Centasso, Hidden rooms (Parco della musica Records), 2022 (Massimiliano Cappello)
Per Parco della musica Records, l’esordio da compositore del contrabbassista Marco Centasso: il quotidiano rivisitato come take alternative di uno sviluppo fotografico, tra l’“odor del salso mar” e il mondo. La riflessione di Centasso sulla forma-composizione consiste, prima di tutto, nel tentativo di dissolvere lo scarto tra scrittura e improv; ne risulta un discorso profondamente melodico, ipnotico ma dissimulato nell’apparente “facilità” dei pretesti che spesso danno vita ai brani, e dove l’interplay non si avverte soltanto nel carattere informale della “situazione” trovata o preparata, ma anche nell’interscambiabilità degli elementi fonico-ritmici. È un disco da cui traluce, inoltre, l’attraversamento spesso in prima persona di alcune tra le più intense esperienze musicali transitate a Venezia degli ultimi dieci anni: Steve Coleman, Pauline Oliveros, Amir ElSaffar… ma soprattutto la line-up, formata da compagni di strada di lunga data come Raul Catalano (batteria), Alberto Collodel (clarinetto basso), Giovanni Mancuso (pianoforte).
Le nove tracce che compongono il disco sembrano quasi un analogo di certe scritture autofinzionali, per la tendenza a divorarsi i generi e per una certa insistenza sul sé che, in fondo, è sempre metafora di tutte e di tutti. Soltanto un esempio: verso la fine della seconda traccia, Metamauco, nella nebbia o caigo che avvolge i passi onirici e notturni sui masegni immaginari di un’isola scomparsa, basta un la del pianoforte per ritrovare, nel bordone in re del clarinetto basso, quella che Lukács avrebbe definito una “patria trascendentale”: qualcosa a metà tra Music for airports e In a silent way.
Pomme, Consolation (Sois sage musique), 2022 (Giulia Sarli)
A volte, quando sono le sette del mattino e si è in macchina, con le dita fredde sul volante e la coda delle auto davanti agli occhi mentre si va al lavoro, è facile sentire delle voci che ti dicono che è il momento di stare male. Ma la musica salva e il nuovo album di Pomme, Consolation, cambia le regole e il traffico diventa una scusa per trovare il tempo di ascoltare le note del pianoforte e gli arrangiamenti in elettrico a cura del musicista Flavien Berger, che accompagnano la voce dolcissima della cantautrice lionese, giunta al suo terzo album.
Scritto durante la pandemia e uscito gli ultimi giorni di agosto di quest’anno per l’etichetta Sois sage musique, Consolation contiene quattordici brani che compiono davvero il miracolo del loro titolo. Ogni canzone mostra nei testi un bisogno di comunione, di riconoscersi a vicenda, nonostante il peso del dolore e degli errori. Due canzoni sono state scritte in omaggio a due figure femminili di cui Pomme si sente debitrice: a Barbara, uno dei nomi più noti della canzone francese degli anni ’60 e ’70, è dedicato il brano B. che Pomme canta in vocoder; Nelly fa invece riferimento a Nelly Arcan, scrittrice canadese morta suicida nel suo appartamento di Montréal nel 2009 e autrice, tra gli altri, del libro Putain, uscito nel 2001. Le parole quasi sussurrate di questa canzone, che si alternano alla voce registrata di Ardan, sono un invito alla salvezza, da sé stessi e dal traffico.
Mauskovic Dance Band – Bukaroo Bank (Les Disques Bong) 2022 (Alessandro Freschi)
MDB, sembra l’acronimo di una nuova droga sintetica. Uscito ad ottobre, in questo secondo album, prosegue il lavoro di immersione sonora tra dub, afro rock e psicocumbia di questi quattro fratelli polistrumentisti di Amsterdam, i Mauskovic appunto. Il genere che stanno portando in giro andrebbe bene sia su Marte che in una giungla calda e umida, piena di zanzare. Bukaroo Bank è lungo con tracce brevi, cosa inusuale per un gruppo di ragazzi che ha fatto della jam session il loro punto di forza, caratteristica che emerge molto nel precedente album, dove le tracce sono più lunghe e sognate. In questo album il prodotto sonoro è molto genuino, quasi minimal, con un carico potente di musica suonata. I Mauskovic gli strumenti li sanno suonare davvero bene e infatti, durante i live, si scambiano i ruoli sul palco, esattamente come succede in una famiglia o tra buoni fratelli. Se volete andare a curiosare sono in giro a suonare per promuovere il disco. I loro concerti sono sudati, come pure gli ascoltatori alla fine di ogni brano. Il loro nome di “dance band” non è affatto un caso. La loro è musica da feste, quelle un po’ alcoliche, dall’esito incerto.
Cristina D’Avena, 40 – Il sogno continua (Warner Music Italy), 2022 (Marcello Sessa)
Negli ultimi anni, Cristina D’Avena sembra avere perfettamente compreso quanto la cover musicale possa essere un dispositivo artistico di “critica immanente”. In accordo alla sua “teoria critica” dell’avanguardia, giusto appunto, Peter Bürger definisce quest’ultima un livello preliminare dello stadio di «autocritica dell’arte», raggiunto laddove, con l’arte, si «prende di mira l’istituzione arte come totalità». La “critica immanente”, invece, è rivolta e «funziona all’interno di un’istituzione sociale», muovendo criticità nei confronti dell’arte dal cuore dell’arte stessa. A partire da Duets – tutti cantano Cristina (2017), D’Avena ha inaugurato un’operazione di stampo para-situazionista per cui ricanta le sue sigle di cartoni animati più celebri in featuring con altri artisti, proseguito con il recente 40 – Il sogno continua. Lo scopo non è svecchiare una forma originale (che invero è un idealtipo eterno, originario), ma sganciarla brutalmente dall’occasionalità, dalla Gelegenheit che l’aveva generata.
L’esornativo diviene così Motif, perché la canzone non è più funzionale premessa all’evento che accade, ma rivendica per sé sola l’intero spazio performativo. La sigla di “Hamtaro”, per esempio, da indice di grande avventure per piccoli criceti si fa – anche per la scorniciatura al modo di un détour debordiano da parte di M¥SS KETA – la grande avventura che pone per noi, criceti minuscoli, obliquamente e dialetticamente le basi per una contestazione dapprincipio solo intra moenia della società dello spettacolo.
[Ringrazio Sara Ruffetto e Chiara Ripoli che mi hanno iniziato al senso profondo dell’impresa daveniana]