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Asimmetrie relazionali e altre angosce. L’esordio di Sheena Patel

Esiste una tipologia comune di amore, ed è l’adulazione fanatica. La protagonista di Ti seguo, romanzo d’esordio di Sheena Patel, è invischiata in un triangolo amoroso dalla struttura paradossale. Accasciata lungo la base, si divide tra la fissazione per l’uomo con cui vuole stare e la donna da cui è ossessionata, che occupano il vertice in maniera congiunta. 

Non sapremo mai i veri nomi dell’uomo e dell’altra donna: ridotti a una stringa di testo, le etichette la donna da cui sono ossessionata e l’uomo con cui voglio stare sono l’unico loro tratto identificativo. Del resto, anche la protagonista è senza nome: non è nessuno e perciò, potenzialmente, è chiunque di noi.

La rivelazione dell’altra coincide con il raddoppiamento delle proprie angosce. Poco importa che non sia l’unica amante dell’uomo con cui vuole stare: è l’unica ad aver catturato l’attenzione di lui in maniera incontrastata. Non c’è un’altra, c’è l’altra, e questo basta a sfaldarla in una spirale di ossessioni nevrotiche. Controllarle il profilo Instagram, studiarne le foto, le composizioni, gli accostamenti cromatici, scomporre le parole delle caption, dissezionare ciò che dice nelle live. L’altra, nella sua assenza, diviene l’aspetto più tangibile della sua relazione con l’uomo con cui vuole stare.

Alcune opere di narrativa contemporanea hanno analizzato le asimmetrie relazionali tra protagoniste. Ne Il profilo dell’altra di Irene Graziosi, il divario tra Maia e Gloria è dato soprattutto dalla differenza d’età e di preparazione intellettuale. La prima scriverà e riscriverà da autrice il ruolo per la seconda, influencer, rispecchiando e rimescolando di continuo i contorni di entrambe. Ma nell’altra persistono dei confini irriducibili, che consentono di identificare i propri, in un gioco continuo di riassestamenti. Anche nella celeberrima saga dell’Amica geniale di Elena Ferrante l’altra è esperita e raccontata in un gioco asimmetrico (è sempre e solo Lenù a scrivere e raccontare Lila, mai il contrario). Ma la dinamica oscillatoria della loro relazione, talvolta salvifica, talvolta nociva, è comunque formativa: è comunque la presenza dell’altra, coi suoi limiti e le sue reazioni, a consentire a entrambe di scoprirsi e soggettivarsi. In questo filone narrativo si può intravedere la traccia teorica della filosofia della narrazione di Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Solo gli altri (o, in questo caso, le altre) possono scorgere il disegno di un’identità nel corso della sua esistenza e raccontarla in presa diretta, in sua presenza, anche conflittuale.

In Sheena Patel, invece, la donna da cui è ossessionata non è lo specchio dell’altra, non è espediente oscillatorio, dinamico e contrastivo, necessario per consentire il fluire di una relazione paritaria. L’asimmetria è assoluta: la protagonista sa dell’altra, che ignora del tutto la sua esistenza. E per questo non esiste nessun rimescolarsi, non esiste scontro aperto. Esiste solo un’ossessione occulta. Qui, la traccia teorica seguita è Io che ti seguo, io che mi racconto. L’altra (o l’altro) è il pretesto contrastivo non per scoprire la propria identità all’interno di una relazione ma per raccontare la propria inesorabile differenza, il proprio irrimediabile asservimento. 

L’ossessione originaria e radicale rimane comunque quella verso l’uomo con cui vuole stare. Lo squilibrio qui è dato dalla totale assenza di specularità: specchiarsi in lui non è mai un rispecchiarsi, un rivedere sé stessa sulla base di affinità qualitative, ma soltanto un vedersi frammentata in tanti pezzi quanti le varie amanti, altrettanto ossessionate e in balìa del proprio desiderio; è proprio questa esperienza a rivelare il divario di genere tra lei e l’uomo con cui vuole stare. La credenza che qualunque cosa possa fare un uomo la puoi fare anche tu si rivela in tutta la sua inconsistenza: lui sarà sempre e solo uno, integro, pienamente e indiscutibilmente soggetto. Non esisterà alcun uomo spezzato, né lei si dedicherà con la stessa disinvoltura di lui alla coltivazione di relazioni multiple con vari amanti. E, soprattutto, lui non si abbasserà mai a scrivere un romanzo sull’ossessione per il nuovo amante della sua amante. In basso, dunque, c’è solo la protagonista, prostrata dalla consapevolezza dei limiti del suo genere. L’asimmetria assume allora i contorni di un divario di dolore, del tutto incolmabile. In mancanza di una evidente infrazione legale o di tangibili azioni violente, come sostiene Rayne Fisher-Quann in the pain gap, il dolore sentimentale di una donna è derubricato a follia. 

Ma il divario di sofferenza non dipende unicamente dalla differenza di genere. «Quando litigo e discuto con lui, mi sento come se stessi combattendo contro le strutture fondamentali delle vecchie forze coloniali: lui possiede, detiene, prende; io do, offro, e non chiedo nulla in cambio» (p. 227) rivela a un certo punto la voce narrante. E in effetti, la differenza di genere tra l’uomo con cui vuole stare e la donna da cui è ossessionata è lavata via dalla comunanza di classe e privilegio: entrambi ricchissimi, entrambi bianchissimi.  

La donna da cui è ossessionata seleziona e mostra una soffocante sequela di oggetti di design, di frutta e verdura biologica e di stagione, di opere d’arte contemporanee opportunamente illustrate ai propri follower. Un’immensa cornucopia di benessere trasuda dal suo profilo e si riverbera nel feed di chi la segue. Precisa, classifica ogni pianta con un’etichetta scritta in latino, che ne rivela la specie. Tutto viene categorizzato e spiegato dall’alto della bianca bontà di questa donna che, benevola, elargisce stralci della propria conoscenza. «Questa è l’essenza dei bianchi. C’è bisogno della loro presenza per sanificare, per mettere ordine creando una gerarchia»(p. 186). Nessuna ruga solca la sua fronte in segno di sforzo, nessuna sbavatura o inceppamento rivela d’improvviso la fatica necessaria a mantenere immacolato il progetto ingegneristico che è la donna ideale.

Di contro, la protagonista incarna l’archetipo della feral rat girl che rigetta l’autodisciplina e la costante tensione a un automiglioramento estetico e intellettuale. Volutamente trasandata, inconcludente, troppo esausta per essere realmente produttiva, cronicamente online, emotivamente sciupata, fieramente indifferente alla cura di sé.

Ti seguo è allora la lunga disamina di un divario inesorabile che palesa l’unica modalità relazionale nei rapporti di potere privi di orizzontalità: l’umiliazione fanatica. Accostato ad Atti di Sottomissione di Megan Nolan e all’impronta narrativa dei romanzi di Sally Rooney, non si limita però a rivelare i desideri oscuri e spietatamente sgradevoli della protagonista, ma il congegno stesso (dagli ingranaggi ben oliati di supremazia bianca, classismo e misoginia) che sorregge e innesca la formazione dei desideri individuali. Può una rabbia reattiva e grezza (comprensibile, necessaria di fronte alla scoperta di gerarchie ingiuste e asfissianti) eroderne un funzionamento così rigoroso?

La donna da cui è ossessionata ha appeso nella sua nuova casa un quadro originale di Chris Ofili, con una cornice artigianale realizzata su misura; è anche probabile che conosca l’artista di persona, che lui le componga dediche personalizzate. La protagonista, che li guarda dallo schermo del PC o dal telefono, in casa appende poster con la gomma adesiva o dentro cornici di plastica prese su Etsy a 20 sterline. Poco importa l’impatto che può avere su una donna di colore l’arte di un artista nero, le implicazioni profonde e poetiche di questa vicinanza. La protagonista non potrà mai permettersi l’arte vera, potrà solo osservarla in una breve parentesi di tempo una sera, in una galleria, con la fretta che le grava addosso: sa che a breve le chiuderanno i cancelli davanti al naso. Come una qualunque fan. 


Sheena Patel, Ti seguo, Blu Atlantide, Roma, 2022, pp. 233, €17,50.