1. Negli ultimi anni sembra diventato difficile sfogliare un libro di versi italiani che non includa almeno un testo o una sezione in prosa, più o meno riuscita; per non parlare dei libri interamente votati a una delle tante declinazioni della prosa poetica, che nel XXI secolo ha conosciuto una vera e propria rinascita. La recente apparizione di uno studio monografico dedicato a questa ormai venerabile tradizione (Claudia Crocco, La poesia in prosa in Italia. Dal Novecento a oggi, Carocci, Roma, 2021) conferma la vitalità e le molte ramificazioni di un genere anfibio e ossimorico, eppure sempre più pervasivo nel nostro panorama letterario. Cade dunque in un momento opportuno questa antologia di un maestro della prosa poetica americana finora poco conosciuto e ancora inedito da noi, Russell Edson (1935-2014), tradotto per il giovane e dinamico editore Taut da Clarissa Amerini e Bernardo Pacini. Questa fatica arriva a breve distanza dalla versione in lingua italiana, da loro curata per i tipi di Pequod, di un altro importante poeta ‘irregolare’ americano del secondo Novecento, quel Bill Knott (1940-2014) che proprio insieme a Edson era fra i punti di riferimento del più celebrato, e recentissimamente scomparso, Charles Simic (1938-2023).
Il volume antologizza un ventennio abbondante della produzione di Edson, attingendo a sette raccolte diverse (da The Very Thing That Happens del 1964 a The Wounded Breakfast del 1985), ma al contempo funziona bene come libro organico, tanto le marche formali e tematiche dell’autore restano coerenti e distintive attraverso gli anni. Pacini, raccontando la propria esperienza di lettore e traduttore, delinea chiaramente le ossessioni tematiche di Edson: le “figure familiari […] (il Padre, la Madre, il Figlio, il Vecchio, la Vecchia, il Marito, la Moglie), […] gli animali parlanti” inseriti in “ambientazioni domestiche” dove hanno luogo “metamorfosi inaspettate, […] risse […] dialoghi grotteschi e […] scene surreali”. Eppure, nota sempre il traduttore, “[i]l tono della narrazione riman[e] ironico e sagace anche negli episodi più conturbanti e orrorifici”.
Questa scrittura si colloca dunque abbastanza lontano sia dalla prosa d’arte ad alto tasso di lirismo, sia dai gelidi congegni della prosa in prosa con la loro comicità calcolata e straniante. Sue marche precipue sono quelle, forse, del vernacolare nordamericano tutto: il ritmo anzitutto (la cui corposa musicalità emerge bene dalla lettura in originale), e una qualità ironica, spassosa, genuinamente funny anche quando sfiora l’orrore e la tragedia. Se la traduzione riesce nell’impresa di rendere la lingua di Edson in italiano senza farlo parlare come Bernardo Pacini, alcune sintonie più profonde non sfuggiranno a chi conosca e apprezzi l’opera poetica di quest’ultimo. Ad esempio, le varie trasformazioni in roccia, albero o cespuglio dei personaggi edsoniani, questo Ovidio ridotto a misura rurale e domestica, possono richiamare le pagine insieme funamboliche e commoventi sulle metamorfosi vegetal-minerali del nonno in Fly Mode. Lo sguardo assurdistico gettato sui piccoli gesti quotidiani e sui rapporti generazionali, che squarcia abissi metafisici a partire da una disturbante modificazione corporea, mi ricorda anche certe vignette di Rory Blank. E qualcosa di cartoonistico, nel miglior senso della parola (immediatezza, visività, humour, colloquialità), sta innegabilmente nelle prose edsoniane, insieme a qualche cosa di teatrale: non stupisce che l’autore fosse figlio di un noto fumettista.
2. Meritevole di collocazione nelle intricate mappe della prosa non-narrativa è anche un autore italiano, Paolo Brunati (1943-2021), che dopo una vita di appartato sperimentatore fra parola scritta e arti figurative ha pubblicato proprio in punto di morte, due anni fa, i Colloqui con il Pesce Sapiente. I 160 brevi testi, che fin dai loro titoli giocano con la forma del trattato, possono sembrare molto diversi dalle buffe vignette di Edson, e il loro stile intellettualistico e lessicalmente estroso è certo più debitore del Barocco che dello slapstick. Laddove Edson mostra, Brunati racconta. Eppure, anche in queste godibilissime prose non-narrative e divaganti (a cui decisamente manca la natura di canovacci teatrali ridotti all’osso, tipica di Edson) troviamo un gusto per la creazione di scenette bizzarre, in cui uno sguardo indagatore si deposita sulle evenienze apparentemente meno clamorose della quotidianità per trasformarle in mirabilia grottesche sotto la sua lente. Così, corpi, animali e oggetti (archetipizzati dalla maiuscola pure di ascendenza secentesca: “il Tempo”, “le Colpe”, ma anche “gli Ornitorinchi”, il “Moscerino della frutta”) subiscono le conseguenze paradossali di un interrogativo filosofico spinto fino all’assurdo. Un po’ come in Edson, l’attenzione di Brunati si sofferma particolarmente spesso sui legami familiari (il Marito, la Nonna…); e se l’autore italiano si diverte a immaginare strani modi di fare figli (“Trovarli dentro una coppia preziosa e antica […] scoprire l’Albero dei Figli e trapiantarne in vaso dei germogli […] prenderli vivi al volo con una sorta di enorme acchiappafarfalle […] partorirne infiniti dalla bocca”), troviamo varie nascite non convenzionali anche in Edson, dove un uomo fa nascere un rospo dall’ascella della moglie, o un giocattolaio costruisce un bambino-giocattolo.
Spesso Brunati rivolge la sua contemplazione ai Morti, trattati come una specie misteriosa e un po’ incongrua, che suscita ammirata perplessità o al massimo il fastidio concettuale del classificatore enciclopedico davanti a un fenomeno contraddittorio. Tipico è lo scandalo di fronte al cadavere, un “coso affatto estraneo alla morte”, imbarazzante nella sua fisicità di burattino inanimato, che sembra mimare malamente quella dei vivi. “I Morti […] ancora parlano, ma senza effetto”, e se “la Morte non può che cogliere nel pieno della vita”, le trasformazioni “sbalorditiv[e]” a cui va incontro la salma suscitano “una curiosità di paure”: anche al cadavere di un animale “sono possibili emozioni ed avventure altrimenti invivibili”, ma gli toccherà viverle in stato d’immobilità. Anche in Edson troviamo morti trattati alla stregua di vivi dalla strana, inaccettabile inerzia. Fra le prose più memorabili, l’apologo del Raccoglitore di legna, che appena deceduto è rimesso prontamente all’opera dalla moglie, a cui la morte sembra solo una scusa per non lavorare: ma al vecchio taglialegna ormai cadavere l’ascia cade maldestramente di mano, di modo che finisce per amputarsi una gamba; al che la donna si adira (“hai tagliato la gamba del mio vecchio”) e impadronitasi dell’ascia fa definitivamente a pezzi quel corpo che non è più, ormai, il marito (il quale, anzi, la incita dal cielo). In un’altra pagina, un defunto viene riportato in vita (ma senza che si arresti la putrefazione) e accompagnato in giro per fiere, ristoranti e festini, dove continua a perdere pezzi con grande disgusto e scandalo dei presenti. Altra soluzione ancora è quella dello scultore che esuma i cadaveri per riportarli in vita, “rimpolpati con una specie di argilla viscida”.
Così nascita e morte, i due termini del percorso terrestre, vengono svelate nella loro assurdità dalla penna dei poeti, che sembrano non volersi arrendere a darne per scontata la naturalezza e si ostinano a presentarceli come esotici, goffi misteri. E lo stesso vale, naturalmente, per tutte le sfaccettature della vita tesa fra questi due estremi. Ma in entrambi gli autori i perturbanti interrogativi suscitati dalle prose non fanno in tempo a generare inquietudine, perché sono invariabilmente proposti con tocco ironico e lieve. Gettano piuttosto i semi di un possibile sguardo altro sul mondo, come ogni poesia (in prosa o meno) dovrebbe fare.
Russell Edson, Il tunnel – Antologia di poesie in prosa. Con introduzione di Charles Simic. Traduzione di Clarissa Amerini e Bernardo Pacini. Taut, Milano, 2022, 120 pp., € 10,00.
Paolo Brunati, Colloqui con il Pesce Sapiente. Miraggi, Torino, 2021, 288 pp., € 19,00.