Nella prima puntata della miniserie di Marco Bellocchio Esterno notte, Aldo Moro (Fabrizio Gifuni) torna a casa la sera, trascurato dalla moglie e dai familiari, per cucinarsi un triste uovo in padella. La scena, come ha rilevato Marco Belpoliti, allude in modo trasparente alla solitudine da cui verrà presto afflitto il Moro pubblico, di cui Bellocchio offre una discutibile allegorizzazione in chiave cristologica. Vale la pena sottolineare un dettaglio minimo del quadretto famigliare: mentre Moro si appresta a mangiare la sua frugalissima cena, in sottofondo la radio sta trasmettendo le notizie del giorno, il 15 marzo del 1978 (siamo alla vigilia del rapimento). Le parole dell’annunciatore si colgono appena, l’audio è disturbato dai rumori della cucina di Moro. Senza dubbio, la radio riprende una notizia della Stampa: anche Alberto Moravia avrebbe visto un disco volante. Il ‘grosso personaggio italiano’, come Moravia viene definito nell’articolo del quotidiano, racconta di aver assistito al passaggio di un ufo nei cieli della Toscana in compagnia di un amico sociologo. Significativa è la chiusura dell’articolo. Dopo aver accennato alle scoperte di uno scienziato della NASA relative alla possibilità che gli alieni possano essere stati dei nostri antenati (cosa che in qualche modo spiegherebbe anche la loro presenza nei cieli del 1978), l’articolista chiosa: “lo scienziato non precisa tuttavia per quali potivi [sic] i nostri progenitori avessero scelto, allora, di abbandonare il pianeta; se il fuggi-fuggi dovesse verificarsi oggi, le spiegazioni sarebbero certamente superflue”.
Se la conclusione dell’articolo è poco più di una variazione sul tema o tempora, o mores, il dato sugli avvistamenti di oggetti volanti non identificati del 1978, annus mirabilis dell’ufologia, sembrerebbe dar ragione al giornalista. Nel 1978, infatti, si registra il picco di apparizioni di dischi volanti: se ne vedono in quasi tutte le regioni d’Italia (con una menzione speciale per l’Abruzzo e le Marche, regioni sulle quali si istruì anche un’interrogazione parlamentare in merito) e i testimoni sono spesso al di sopra di ogni sospetto. Insomma: alla gente che non ne poteva più delle “brutte” cose di quaggiù (a cui anche l’articolista della Stampa accennava), i cieli offrivano uno spettacolo mirabile. Spettacolo, beninteso, che non forniva (soltanto) motivi di evasione dalle magagne terrestri, o materia per dilettevoli divagazioni; l’alienità dell’oggetto volante e dei suoi presumibili passeggeri alludeva, nemmeno troppo velatamente, a un altrove culturale e politico che la realtà non era più in grado di offrire.
In questo côté culturale, fondamentale per la comprensione dei Settanta italiani, si innesta Ufo 78 dei Wu Ming. Il 1978 è nella memoria collettiva (fortemente alimentata dalle influenti santificazioni e demonizzazioni post-mortem à la Bellocchio) essenzialmente l’anno del rapimento Moro: la foto con il giornale, i comunicati, la Renault rossa di via Caetani. In realtà, nel ‘78 (e in quei mesi tra marzo e maggio in particolare) succede anche altro: eventi spesso di portata epocale, come la legge Basaglia o la legge 194 sull’aborto; eventi senza precedenti, come la successione di tre papi o le dimissioni di Leone presidente della Repubblica; i mondiali nell’Argentina della dittatura militare, che come quelli in Qatar suscitarono forte disapprovazione. All’ombra di questi fatti si sviluppa la trama del nuovo romanzo dei Wu Ming. Nonostante la copertina, in cui la nota Renault rossa si libra nei cieli come un’astronave, la “grande storia” di quel periodo è solo uno sfondo in Ufo 78; uno sfondo ineludibile e significativo, ma il romanzo si occupa di altro.
Tutto inizia con la scomparsa di una coppia di boy scout sul monte Quarzerone in Toscana nel 1976 (forse una trasposizione del piemontese Musinè in Val Susa, luogo particolarmente caro agli alieni, a prestar fede agli avvistamenti di quell’anno). A detta di molti, con la sparizione dei due giovani c’entrerebbero gli alieni. La linea gialla del romanzo si interseca però con altre tre, almeno, fondamentali linee di trama. La prima riguarda il GRUCAT (allegoria del CTRU, Centro Torinese Ricerche Ufologiche) un gruppo torinese di ufologi scettici alla ricerca della verità sulle apparizioni di dischi volanti. La seconda ruota intorno alla comunità Thanor (un po’ San Patrignano, un po’ Saman), una vera e propria comune fondata da un’ex accademica che fonde Jung con le filosofie orientali e accoglie i tossicodipendenti offrendo loro un’alternativa alla dipendenza. La terza è tutta incentrata sulla figura di Martin Zanka (chiaro alter ego dello scrittore Peter Kolosimo), il cui figlio passa per Thanor e i cui interessi ufologici si intrecciano con una fervida fede comunista. Tra i personaggi principali, Milena Cravero: un’antropologa che osserva i ragazzi del GRUCAT come Margaret Mead avrebbe fatto con gli indigeni delle Samoa. Il percorso dei personaggi li condurrà verso il monte Quarzerone, dove affronteranno questioni ben più ampie di quello che il contesto ufologico suggerirebbe a prima vista e che hanno tutte a che fare, in qualche modo, con l’atmosfera e la storia di quegli anni. Si intuisce che Thanor anticipi in nuce alcuni elementi chiave del capitalismo a venire, costruito sulla celebrazione dei concetti di individuo e di desiderio (prima fulcro delle fantasie di liberazione à la Deleuze, poi motore del consumismo e di un marketing sempre più tecnologicamente in grado di prevedere e costruire i desideri dell’individuo). Si intuisce anche che sul monte Quarzerone vi sarebbe un covo di Gladio; e che un’anziana signora del luogo avrebbe intuito per prima alcune verità sulla scomparsa dei boy scout dopo aver ingerito dei funghetti allucinogeni.
Ufo 78 apre al neofita uno squarcio importante, per quanto parziale e divulgativo, sulle controculture dell’epoca. Nel romanzo abbondano i riferimenti obliqui e non a riviste, album e paraletteratura dei Settanta. Quasi ogni personaggio di Ufo 78 trova inoltre una sua esatta (o quasi) corrispondenza nella realtà: oltre a Zanka/Kolosimo, è possibile per esempio riconoscere la figura di Juan Romulo Posadas (Casella, nel romanzo), trotskista argentino che contaminò la propria teoria politica con la fantascienza, sicuro che tra marxiani e marziani non vi fosse poi una grande differenza, dato che solo una civiltà aliena socialista avrebbe potuto essere tanto avanzata da far visita ad altri pianeti come il nostro. Posadas, insieme con Kolosimo e Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov, altro scrittore comunista di fantascienza nella Russia pre- e post-rivoluzione (già protagonista del romanzo precedente dei Wu Ming, Proletkult), è una delle fonti di ispirazioni più evidenti di Ufo 78. È già da qualche tempo, infatti, che i Wu Ming (e sono loro i primi a raccontarcelo) insistono sulle connessioni profonde tra l’utopismo socialista e l’immaginario fantascientifico, convinti che quest’ultimo non sia solo una forma di escapismo, ma un tentativo di immaginare in forma allegorica un altrove politico. Prosegue quindi, anche al di là del romanzo storico (una forma che Wu Ming sembrerebbe aver convintamente e definitivamente abbandonato), la vis allegorica e mitopoietica delle loro narrazioni, fondate sul presupposto ideologico che sia possibile sottrarre il pensiero magico alla cultura di destra per rinfunzionalizzarlo in chiave progressista e riconsegnarlo a tutti sotto forma di fantastico e di meraviglioso.
I Wu Ming come al solito offrono sul proprio blog una serie di paratesti utilissimi per comprendere il romanzo, tra cui una lista di modelli e di figure (Posadas e Kolosimo su tutti) che hanno fortemente ispirato la scrittura di Ufo 78. Occorre sempre dubitare delle dichiarazioni d’autore, se non per inguaribile scetticismo, quantomeno per fedeltà all’ermeneutica. Nella autogenealogia dei Wu Ming su Ufo 78 vi sono infatti dei silenzi significativi. Innanzitutto, dietro la figura dell’anziana dedita ad illuminazioni lisergiche sulla sorte dei due boy scout si agitano gli sciamani benevoli di cui Carlo Ginzburg ci ha raccontato tanto, da I benandanti a Storia notturna. Ginzburg si conferma quindi un riferimento ideologico e storiografico fondamentale per i Wu Ming, fin dai tempi di Luther Blissett e di Q. Sorprende un po’ la mancanza di un accenno anche minimo a Luca Rastello. I Wu Ming gli dedicarono L’invisibile ovunque nel 2015, ma un paio di elementi suggeriscono che Rastello possa essere stata una figura fondamentale anche per Ufo 78. Per prima cosa, il romanzo di Rastello sui Settanta, Piove all’insù, insisteva già sulla connessione tra letteratura fantascientifica e pulsioni utopistiche dei movimenti giovanili del ‘77: ogni capitolo di Piove all’insù si chiude con un riassunto di un libro della collana Urania, in dialogo stretto (ma non in sovrapposizione) con quanto raccontato dal narratore Pietro Miasco. In secondo luogo, l’idea che le istanze comunitarie e le fantasie di liberazione tipiche del Settantasette abbiano involontariamente alimentato il successo incontrastato del capitalismo successivo, ispirandone anche alcune innovazioni, è tematizzata e resa con forma eccezionale da Rastello sia in Piove all’insù, sia ne I Buoni. Manca infine nell’autoricostruzione autoriale della genesi di Ufo 78 la segnalazione di una serie di interventi recenti sull’Italia lunare, sul folk popolare e sulla fantarcheologia. Nella bibliografia reale di Ufo 78 (non in quella fittizia che i Wu Ming pongono in chiusura e che va letta, come sempre, come parte integrante del romanzo) i saggi e le antologie di Fabio Camilletti e Fabrizio Foni hanno giocato probabilmente un ruolo, insieme con alcuni articoli di Franco Pezzini: Carmillaonline, il blog in cui i Wu Ming parlarono per la prima volta di New Italian Epic, offre in questo senso un vasto repertorio di contributi sul fantastico e la fantascienza, e sembra improbabile che qualche idea, riferimento, suggestione di Ufo 78 non provenga anche da lì.
Ufo 78 è in definitiva un romanzo godibile, utile per avvicinare il lettore contemporaneo ai Settanta attraverso una copiosa e informativa serie di riferimenti ad alcune delle (solo presuntamente secondarie) connotazioni culturali tipiche dell’epoca. L’ultimo romanzo dei Wu Ming segnala anche un cambio di rotta possibile, o quantomeno un punto di arrivo nella traiettoria del collettivo. Si può infatti sostenere senza pericolo che tutti i precedenti romanzi storici dei Wu Ming costituissero già una serie di allegorie sulla storia e le lotte del decennio dei Settanta italiani. I Settanta sono in fondo il motivo principale della scrittura dei Wu Ming, ma con Ufo 78 i Wu Ming si concedono l’opportunità di liberarsi da quell’ossessione, se non definitivamente, almeno per un po’. Non è certo un male e se così fosse, come si augura Daniele Giglioli nella sua recensione apparsa sul «Corriere della Sera», un cambio di passo tematico e narrativo potrebbe prefigurare delle corrispettive innovazioni stilistiche. Avendo i Wu Ming un pubblico di aficionados che li apprezza anche al di là della loro produzione letteraria, sarebbe interessante osservare come questo pubblico reagirebbe a un cambio di marcia anche in senso stilistico. Ufo 78 non sembra smarcarsi troppo dalla lingua e dagli stilemi classici dei Wu Ming precedenti: dialoghi fitti, capitoli brevi, ritmi lenti in alternanza con scene di azione vorticosa, libri lunghi o lunghetti, pseudo-bibliografie più o meno allusive in chiusura. Sarà importante, quasi decisivo, vedere se e come il prossimo romanzo sorprenderà il lettore.
Wu Ming, Ufo 78, Einaudi Stile Libero, Roma 2022, 520 pp. 21,00€