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Varcare le cupe frontiere. Su “Empatia negativa”

«L’empatia negativa è un’esperienza estetica consistente in un’empatizzazione catartica di personaggi, figure, performance, oggetti, composizioni musicali, edifici e spazi connotati in maniera negativa e seduttiva in modo disturbante, o che evocano una violenza primaria destabilizzante, capaci di innescare una profonda angoscia empatica nel fruitore dell’opera d’arte, di chiedergli insistentemente di intraprendere una riflessione morale, e di spingerlo ad assumere una posizione etica (non sempre determinabile a priori)» (p. 70). È forse sufficiente la lunghezza e la densità semantico-concettuale di questa definizione ad attestare come Empatia negativa. Il punto di vista del male sia un testo articolato, complesso e ricco di riferimenti. Il libro, scritto a quattro mani da Stefano Ercolino e Massimo Fusillo e uscito per Bompiani nel 2022, si inserisce in un filone di riflessione sulla risposta empatica del fruitore aperto da Platone e che negli ultimi anni, dopo un periodo di oblio dettato soprattutto dal predominio di istanze teoriche di stampo formal-strutturalista, ha prodotto numerosi interventi degni di nota, grazie anche all’interesse interdisciplinare sul tema e al supporto di discipline quali le neuroscienze e la psicologia cognitiva.

Fin da Platone, indagare i meccanismi di risposta empatica significa non limitare il discorso all’estetica, ma aprirlo in una direzione etica e, in maniera indiretta, politica. Anzi, è la fondazione stessa del discorso ad essere intrinsecamente politica, poiché decidere di parlare dell’empatia negativa si configura già come una precisa scelta di campo. Il volume si presenta infatti come un tentativo di riportare al centro del «dibattito critico, teorico ed estetico la questione del potere tellurico, sovversivo, antigerarchico (…), sublimante e catartico dell’arte» (p. 13). In un’epoca in cui la letteratura viene neutralizzata nelle maglie di «un discorso più o meno edificante al servizio di categoriche e manichee agende internazionali del bene comune» (p. 12), come lamentato anche da Walter Siti in Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura (Rizzoli 2021), e in cui si insiste sul ruolo prosociale dell’empatia, Empatia negativa non ha invece paura di scandagliare gli abissi del male e i suoi effetti in una maniera «intellettualmente libera» (p. 13). Non è pertanto un caso che la destinazione editoriale sia la collana Agone, curata da Antonio Scurati, che promuove un neo-impegno scevro da schieramenti ideologico-partitici. Un libro politico, dunque, o forse contropolitico, che parla di Humbert Humbert, Macbeth, Walter White, ma anche delle performance di Marina Abramovich o delle installazioni di Anselm Kiefer. Perché in tutti questi casi, secondo gli autori, ci troviamo di fronte a ‘oggetti estetici’ che provocano una reazione destabilizzante nel fruitore, che sperimenta un avvicinamento empatico moralmente problematico.

La definizione da cui abbiamo preso le mosse viene fornita da Ercolino al termine del primo capitolo, quello più orientato in senso teorico e dunque più denso e ricco di stimoli. Inizialmente l’autore passa in rassegna una lunga serie di contributi interdisciplinari sul tema dell’empatia negativa, ma mostra presto una certa insoddisfazione verso le definizioni operative date dalla psicologia e dalle neuroscienze. Si passa così a una ricognizione del dibattito filosofico in cui l’autore discute criticamente le posizioni di diversi pensatori a partire da Theodore Lipps, primo teorico dell’empatia negativa.

In questo primo capitolo incontriamo uno snodo concettuale fondamentale, che permette di capire il senso complessivo dell’operazione, di comprendere perché il volume non si limiti ad elaborare una categoria di empatia negativa che renda ragione della nostra risposta empatica verso i personaggi malvagi di narrativa, teatro o cinema, ma si ampli a una casistica che comprende intere performance, installazioni, fotografie ecc. Questo passaggio, per nulla ovvio, è individuato come potenzialmente problematico dagli stessi autori; Ercolino osserva infatti come empatia e identificazione, due concetti distinti ma spesso accomunati, siano «per definizione ancorate all’Altro» (p. 68) e ricorda, con Rita Felski, la natura mediata dei personaggi, il loro darsi al lettore sempre attraverso una certa presentazione estetica mediata dallo stile, dalla trama ecc. Dal punto di vista della fenomenologia della risposta, in altre parole, il personaggio non è un’unità discreta che si mostri al fruitore nella sua purezza. Ma se queste riflessioni, in Felski, nascevano intorno al problema dell’identificazione con i personaggi, Ercolino va oltre: il personaggio non viene più visto come ente centrale nei meccanismi di risposta empatica, i quali possono invece sorgere anche in contesti non antropici. Così, è possibile identificarsi o empatizzare non solo con un personaggio, un autore o un attore, ma anche con «una situazione, un’ambientazione, uno stile, o un certo tono emotivo» (p. 68) dell’opera.

Questo passaggio risulta fondamentale nell’impianto concettuale del libro, perché l’ampliamento degli orizzonti dell’empatia permette agli autori di non limitarsi alle arti narrative o incentrate su personaggi in azione. È a partire da questi presupposti che il libro può proporsi, e può essere, un libro veramente inter-artes. Nei capitoli successivi, il lettore troverà infatti esemplificazioni del concetto di empatia negativa nella letteratura (cap. 2) e nella fotografia (cap. 4) ad opera di Ercolino, mentre Fusillo affronta i domini del teatro, del melodramma e della performance (cap. 3), della fotografia e delle installazioni (cap. 5) e del cinema e delle serie TV (cap. 6). Ognuna di queste pratiche artistiche viene presentata attraverso un case study rappresentativo, ma non è raro trovare riferimenti ed aperture verso altre opere. Ogni capitolo diventa perciò un saggio intorno all’opera in oggetto, letta attraverso la lente dell’empatia negativa.

Tuttavia, la diversità delle arti e la complessità delle opere analizzate impongono agli autori un continuo aggiustamento della teoria; ne derivano un costante e fruttuoso dialogo fra aspetto teorico e prassi dell’interpretazione e un’analisi di quelle tecniche che permettono agli artisti di sollecitare nel fruitore una reazione di empatia negativa: il monologo a teatro e nel melodramma, per esempio, con l’accompagnamento della musica ad aumentare le sfaccettature dei conflitti interiori e a orientarne il senso, o l’uso di dispositivi narrativi quali la prima persona nel romanzo o la camera posta in soggettiva nei film e nelle serie TV. Nel caso di Medea, studiato da Fusillo, diviene evidente come un aspetto importante per suscitare l’empatia negativa sia lo spazio dedicato all’esposizione della vita interiore. Euripide mette Medea in primo piano, suscitando così «un primo livello quasi meccanico di empatia, che deriva dalla scelta narratologica della prospettiva», e concede poi «uno spazio inedito e molto corposo alla [sua] vita interiore» (p. 123). Attraverso il monologo, lo spettatore conoscerà le sue ragioni e i suoi conflitti e sarà spinto ad abbracciarne i tormenti e a comprenderne le azioni.

È così ben messo in evidenza ciò che Ercolino scriveva nel primo capitolo, ovvero che la possibilità di sviluppare una risposta empatica è strettamente connessa alla quantità e alla modalità di presentazione delle informazioni offerte. In questo senso, differentemente dal caso di Medea, appartenente al dominio estetico, «le informazioni che avremmo sui mostri in carne e ossa sarebbero probabilmente assai più limitate» (p. 56). Oltre a ciò, vi è però un altro elemento fondante nella risposta empatica: la distanza.

Su questo tema si gioca tanta parte del discorso filosofico intorno al concetto di empatia, fin da Lipps. In particolare, per quanto riguarda la sfera dell’estetico, un riferimento importante lo si trova in Jauss, il quale si rifà a sua volta ad Aristotele e al motivo già lucreziano del naufragio con spettatore. Per poter empatizzare è necessario che vi sia una asimmetria esperienziale fra il soggetto empatizzante e l’oggetto empatizzato; la distanza è, contemporaneamente, un meccanismo protettivo e un meccanismo che crea la condizione di possibilità della risposta empatica. Sulla scorta di Morton, Ercolino nota come nella vita reale sia difficile empatizzare con una persona malvagia e che, per farlo, occorre superare numerose ‘barriere’ mentali. E tuttavia un punto che resta complessivamente estraneo alla trattazione, mentre avrebbe forse meritato qualche accenno, vista la sua importanza nella contemporaneità, è la risposta del fruitore nel caso di opere non finzionali. Ci si potrebbe cioè domandare che cosa cambi nella risposta empatica del lettore ove il personaggio di cui si racconta non sia personaggio d’invenzione, ma persona reale. In vari passaggi del testo la questione viene lasciata in una potenziale ambiguità; se è vero che anche una storia vera – quella, poniamo, di Jean Claude Romand raccontata da Carrère – subisce nel racconto letterario una ‘estetizzazione’ che la rende assimilabile alla vicenda di un personaggio romanzesco, è altrettanto vero che Romand resta un personaggio del mondo reale che ha prodotto vittime reali. Pertanto, parlare di “mondi di invenzione” (p. 78), di finzionalità (p. 62) o di “contesti di finzione” (p. 314) rischia di essere fuorviante se, come ci pare di capire, gli autori non rilevano una differenza nella risposta empatica verso personaggi reali presentati attraverso il filtro della narrazione, o limitante, nel caso in cui invece si intendesse parlare soltanto di personaggi finzionali.

Abbiamo citato Platone nelle prime righe e con Platone ci avviamo verso la conclusione. È noto come la sua indagine su una proto-empatia negativa l’abbia condotto a bandire i poeti, corruttori di anime, dalla polis ideale. L’empatia negativa, insomma, aveva un effetto etico negativo; la grande sfida lasciata da Platone è stata quella di una ‘rivalutazione positiva’ degli effetti dell’empatia negativa. Di fronte a questa sfida, Ercolino e Fusillo, piuttosto che tentare una risposta, pongono in questione la legittimità stessa della domanda e infine la rigettano, rifiutando ogni forma di consequenzialismo. È ancora una volta attraverso Jauss che si giunge a questa posizione, attraverso la sua «visione aperta e possibilista» (p. 67) del rapporto fra identificazione catartica e agency: gli effetti sul fruitore e il suo cambiamento morale non sono prevedibili e, ai fini del problema, sono quindi ininfluenti. Così, una volta che il lettore avrà chiuso i conti con il protagonista delle Benevole di Jonathan Littell, non potremo sapere quale postura etica assumerà, ciò che conta è che avrà affrontato una «riflessione morale sui limiti dell’umano» e che «continuerà probabilmente a rimuginare per un po’ sulle velenose parole di Aue» (p. 113).

Analogamente, la teoria letteraria continuerà a interrogarsi sull’empatia e sui meccanismi di identificazione del fruitore, ma non potrà non fare i conti con questo libro, che si configura già come un riferimento imprescindibile per la chiarezza e la profondità con cui gli autori delineano un concetto potenzialmente molto proficuo sia in ambito critico che in campo teorico. Un libro decisamente ambizioso, finanche rischioso, per l’ampiezza che i due autori hanno voluto dare al tema. Un libro, sicuramente, che ci permette di meglio comprendere le forme e i meccanismi che ci pongono nel punto di vista del male.


S. Ercolino, M. Fusillo, Empatia negativa. Il punto di vista del male, Milano, Bompiani, 2022, 400 pp., € 14.